Ero stato lí nel campo a maggese. E se ero stato nel campo, allora tutto quanto – il fiume, la bruma, la luce azzurra – doveva essere accaduto davvero. Restai impietrito fra l’erba timotea e il trifoglio, con la moneta ora di nuovo in tasca, e sentivo una grande pressione nella testa, tanto che il mondo sembrava girare roteandomi intorno. M’inginocchiai nell’erba alta. Il cuore che mi batteva forte. Tirai fuori un fazzoletto dal panciotto e asciugai le gocce di sudore che a un tratto mi imperlavano la fronte. Chiusi gli occhi. Feci dei respiri lunghi e lenti.
– Hiram?
Aprii gli occhi e vidi Thena. Mi tirai in piedi barcollando e sentii il sudore che ora mi scorreva lungo il viso.
– Oddio, – disse lei, mettendomi una mano sulla fronte. – Ragazzo, cosa stai facendo?
Mi sentivo svenire. Non riuscivo a parlare. Thena si passò il mio braccio intorno alle spalle e mi riaccompagnò verso i campi. Ero consapevole del fatto che ci stavamo muovendo, ma nella febbre vedevo solo chiazze indistinte di marroni e rossi autunnali. L’odore di Lockless, le scuderie fetide, la ramaglia che bruciava, i frutteti accanto ai quali stavamo passando, perfino il sudore dolce di Thena, mi sembravano troppo intensi, opprimenti. Ricordo di aver visto balenarmi confusamente innanzi la galleria che penetrava nella Garenna, poi mi ritrovai piegato in due a vomitare in un catino. Thena aspettò che mi riprendessi.
– Tutto bene?
– Sí, sí, – dissi.
Una volta tornato nella mia stanza, Thena mi aiutò a togliermi i vestiti. Poi mi allungò un paio di mutandoni puliti e uscí. Quando rientrò, ero sdraiato sul letto di corde, con la coperta tirata su fino alle spalle. Thena prese la brocca di pietra da sopra la mensola del camino e andò al pozzo. Poi tornò, posò la brocca sul tavolo, prese un bicchiere dalla mensola, lo riempí d’acqua e me lo passò.
– Devi riposare, – disse.
– Lo so, – dissi io.
– Se lo sai, cosa ci facevi là fuori?
– Stavo solo… come hai fatto a trovarmi?
– Hiram, io ti troverò sempre, – disse. – Prendo questi vestiti, cosí te li lavo. Li riavrai per lunedí.
Si alzò e andò alla porta.
– Io devo tornare al lavoro, – disse. – Riposati. Non fare sciocchezze.
Sprofondai subito nel sonno, e nel mondo dei sogni, ma sogni che erano ricordi. Ero di nuovo alle scuderie, e avevo appena perso mia madre. Scrutavo negli occhi del Tennessee Pacer, scrutavo finché non vi scomparivo dentro e riemergevo in quel sottotetto dove mi ero cosí spesso baloccato coi miei pensieri di bambino.
L’indomani mattina Roscoe passò da me. – Prenditela con calma, – disse. – Verrà il momento che ti faranno di nuovo sgobbare. Adesso riposati.
Ma stando a letto, ero ossessionato dai dubbi e dalle paranoie che mi ronzavano per la testa: gli inganni di Hawkins, mia madre che danzava sul ponte. L’unica via di scampo era il lavoro. Mi vestii e uscii dalla galleria, girai intorno alla casa e mi trovai di fronte il calesse di Corrine Quinn che avanzava lento sulla strada principale. Quella era diventata una consuetudine dopo il decesso di Maynard. Corrine arrivava con Hawkins e con la sua cameriera Amy, e passava il pomeriggio a guidare mio padre nella preghiera. In precedenza in quella casa nessuno si era mai mostrato religioso. Mio padre era un virginiano, e per lui una certa dose di miscredenza era un omaggio ai vecchi tempi in cui tutto sembrava in discussione, una vestigia dei padri della Rivoluzione. Ma ora che aveva perso il suo unico erede, il suo lascito al mondo, sembrava che il dio cristiano fosse rimasto l’unica cosa a cui aggrapparsi. Rientrai nella galleria e osservai Hawkins che aiutava la sua padrona, e poi la cameriera, a scendere dal calesse, e tutt’e tre che salivano verso la casa. All’epoca non riuscivo a capire perché li trovassi cosí inquietanti. Sapevo solo che in loro percepivo qualcosa di ben piú terribile dello Spirito Santo.
Pensai di riprendere l’abitudine infantile di dare una mano dove c’era bisogno. Ma passando dalla cucina all’affumicatoio, poi dall’affumicatoio alle scuderie, poi dalle scuderie al frutteto, ovunque venivo accolto da espressioni afflitte, ed era evidente che qualcuno – Thena, Roscoe, o entrambi – aveva intimato di non darmi lavoro. Decisi allora di trovarmi da solo qualcosa da fare. Tornai nella mia stanza e mi cambiai, indossando una tuta da lavoro e un paio di scarponi. Poi mi diressi verso un capannone in muratura al limitare del bosco, subito a ovest della grande casa, dove mio padre teneva una collezione di agrippine, sgabelli, cassettoni, secrétaire e altri mobili in attesa di restauro. Era mattina tardi. L’aria era fredda e umida. Le foglie cadute mi si appiccicavano alla suola degli scarponi. Aprii il capannone. Un cono di luce entrava da una finestrella aperta illuminando i mobili. Vidi uno scrittoio Adam, un divano a gobba di cammello, una poltroncina angolare in legno satinato, una cassettiera di mogano alta e stretta, e altri pezzi vecchi quasi quanto Lockless. D’impulso, decisi di lavorare alla cassettiera. In quel mobile un tempo mio padre teneva cose segrete e preziose, e io lo sapevo perché Maynard aveva l’abitudine di frugarci dentro e mostrarmi quel che trovava. Ora che avevo una cosa da fare, andai alla Garenna. Presi una lanterna e frugai nel ripostiglio finché non recuperai un barattolo di cera, un flacone di trementina e un vaso di terracotta. Tornato davanti al capannone, mescolai nel vaso la trementina e la cera. Lasciai riposare la soluzione, poi, con uno sforzo non da poco, portai fuori la cassettiera. E a quel punto sentii che mi mancavano le forze. Mi chinai in avanti con le mani sulle ginocchia e feci qualche respiro profondo. Quando rialzai gli occhi, vidi Thena che mi guardava dal prato fra gli alberi.
– Torna subito nella tua stanza! – mi gridò.
Risposi con un sorriso e un cenno della mano. Lei scrollò il capo e si allontanò.
Trascorsi il resto della giornata a sabbiare la cassettiera. Non mi sentivo cosí in pace da molti giorni, era come se su di me fosse calata una sorta di placida noncuranza.
Quella notte dormii a lungo e profondamente, e mi svegliai con una gran voglia di riprendere il lavoro del giorno prima e risprofondare in quella rasserenante concentrazione. Dopo essermi vestito, tornai al capannone e vidi che la soluzione di trementina e cera era pronta. Entro la fine della mattinata, la cassettiera scintillava al sole. Feci un passo indietro per ammirare la mia opera. Proprio mentre stavo per rientrare nel capannone in cerca di un altro lavoro da fare, vidi Hawkins che veniva verso di me attraversando il prato. Evidentemente mentre lavoravo era tornata Corrine.
– ’Giorno, Hi, – disse. – È cosí che ti chiamano, no?
– Alcuni, – dissi.
Al che lui fece un sorriso che ebbe l’effetto di mettere in evidenza l’architettura ossuta e marcata del suo viso. Era un uomo magro con la carnagione da mulatto e la pelle tirata, cosí che in determinati punti si intravedevano i filamenti verdi dei vasi sanguigni. Gli occhi erano infossati, come gemme in un portagioie.
– Mi hanno mandato a cercarti, – disse. – Miss Corrine vorrebbe dirti una parola.
Tornai con Hawkins alla casa, e passai dalla mia stanza a togliermi la tuta da lavoro e gli scarponi e mettermi un vestito e un paio di pantofole. Poi salii le scale di servizio, aprii la porta segreta ed emersi nel salotto. Mio padre era seduto sul divano di cuoio, e Corrine era al suo fianco. Lui le teneva una mano fra le sue, con un’espressione addolorata, e sembrava che cercasse di guardarla negli occhi, oltre il velo nero del lutto che le celava il volto. Hawkins ed Amy erano in piedi, a rispettosa distanza, alla destra e alla sinistra del divano, con lo sguardo fisso davanti a loro, in attesa di ordini. Corrine stava parlando a mio padre quasi in un sussurro, ma in tono abbastanza alto perché io riuscissi ad afferrare qualche parola dal fondo della lunga stanza. Parlavano di Maynard, condividendo la loro nostalgia per lui, o almeno per una sua versione abbellita, perché quel Maynard – che loro vedevano come un peccatore in procinto di redimersi – io non l’avevo mai conosciuto. Mio padre annuiva mentre lei parlava, poi mi lanciò uno sguardo e le lasciò le mani. Si alzò e attese che Hawkins aprisse le porte scorrevoli. Mi rivolse un’ultima occhiata piena di dolore e uscí dalla stanza. Hawkins richiuse le porte e io mi chiesi se non avessi frainteso la loro conversazione, perché avevo la brutta sensazione che l’argomento di cui avevano parlato non fosse solo Maynard.
Notai allora che erano tutti vestiti di nero, anche Hawkins ed Amy, e che Amy portava un velo come quello di Corrine, sebbene meno raffinato. Ritti al suo fianco, i due servitori sembravano estensioni dello stato d’animo di Corrine, proiezioni eteree del suo lutto vedovile.
– Voi vi conoscete, – disse lei, – vero?
– Credo proprio di sí, signora, – confermò Hawkins con un sorriso. – Ma l’ultima volta che l’ho visto, questo ragazzo era praticamente in fin di vita.
– Ti ringrazio molto, – dissi io. – Mi hanno raccontato che sarei morto, se tu non mi avessi visto sulla sponda del fiume.
– Passavo per caso da quelle parti, – disse Hawkins, – e vedo un grosso manzo steso a terra. Mi avvicino e capisco che in realtà è un uomo. Ma non devi ringraziarmi. Ti eri tirato fuori tu da solo, un’impresa non da poco. Se ci cadi dentro, fratello, quel Goose ti trascina via. Come fai a uscirne? Un’impresa non da poco, davvero. La corrente di quel fiume è forte, fortissima, anche in questo periodo dell’anno. Ti trascina via.
– In ogni caso, grazie.
– Non è stato niente di che, – disse Amy. – Chiunque farebbe lo stesso, per uno che sta per entrare a far parte della sua famiglia.
– E noi stavamo davvero per diventare la tua famiglia, – disse Corrine. – E credo che ancora lo dovremmo diventare. Non dobbiamo lasciarci annichilire da questa tragedia. Se ci si avvia lungo una strada, quella direzione non la si dimentica, anche se un diluvio travolge il ponte.
– La donna è fatta per essere il completamento dell’uomo, – continuò. – Il nostro Padre ci ha creato a questo scopo. Ci congiungiamo in matrimonio e la costola torna al suo posto. Tu sei un ragazzo intelligente, lo sanno tutti. Tuo padre parla di te come si parlerebbe di un miracolo. Parla della tua genialità, dei tuoi trucchi, delle tue letture, ma non troppo forte, perché l’invidia rode gli uomini. Per invidia, Caino ha trucidato suo fratello. Per invidia, Giacobbe ha ingannato suo padre. Perciò la tua genialità dev’essere tenuta nascosta. Ma io so, io so.
Nel salotto la luce era bassa, e le tende mezze tirate. Riuscivo a vedere solo la silhouette del viso di Corrine e di Amy. Sotto le parole di Corrine c’era qualcosa che fremeva, dando l’impressione che a parlare fossero tre voci tremule in una, una sorta di perversa armonia prodotta da quel che di tenebroso, qualunque cosa fosse, si nascondeva sotto il velo del lutto.
E a suonare strano non era solo il tono della sua voce, ma la natura stessa del suo discorso. Adesso è difficile da spiegare, perché quella era un’altra epoca, con determinati rituali, coreografie e convenzioni fra le classi e sottoclassi della Qualità, della Servitú e della Feccia. C’erano cose che si potevano e non si potevano dire, e il modo in cui ti comportavi indicava qual era il tuo rango nella gerarchia. La Qualità, per esempio, non si faceva domande sul lavorio interiore della sua «gente». Sapevano come ci chiamavamo e sapevano chi erano i nostri genitori. Ma non ci conoscevano. Perché non conoscerci era essenziale per il loro potere. Per poter vendere un figlio strappandolo alla madre, quella madre la devi conoscere nel modo piú superficiale possibile. Per poter spogliare un uomo, condannarlo alla fustigazione, a essere scorticato vivo e poi cosparso d’acqua salata, non puoi provare verso di lui i sentimenti che provi verso i tuoi simili. Non puoi vedere te stesso in lui, altrimenti la tua mano si fermerebbe, e la tua mano non si deve mai fermare, perché in quel momento la Servitú vedrebbe che tu la vedi, e che quindi vedi te stesso. Un simile momento di profonda comprensione sarebbe la tua condanna, perché non potresti piú dominare come è necessario. Non potresti piú assicurarti che le montagnole di terra per il tabacco siano dell’altezza che hai richiesto, che le piantine vengano trapiantate in quelle montagnole al momento giusto, che le piante siano irrigate e sarchiate con diligenza, che al raccolto vengano tagliate le punte e il seme venga recuperato e conservato, che le foglie siano lasciate sul loro stelo, e gli steli appesi ai ganci alla distanza giusta in modo che né marciscano né si asciughino troppo, ma le foglie vengano essiccate, trasformandosi nell’oro della Virginia che permette al semplice mortale di ascendere al pantheon della Qualità. Ogni passo è essenziale e dev’essere eseguito col massimo scrupolo, ed esiste un unico sistema per assicurarsi che un uomo applichi quello scrupolo a un processo che a lui non frutta niente, e quel sistema è la tortura, è l’assassinio, la mutilazione, la sottrazione dei figli, il terrore.
Perciò sentire Corrine che si rivolgeva a me a quel modo, cercando di creare un legame umano, era bizzarro, e anche terrificante, perché ero sicuro che quel tentativo celasse un proposito piú tenebroso. E non potevo vederla in faccia, quindi non avevo alcun indizio di quale fosse quel proposito. Io so, aveva detto, io so. E ripensando alla versione che aveva raccontato Hawkins, e quel che invece mi era accaduto, mi chiesi cosa, con esattezza, lei sapesse.
Borbottai: – Maynard aveva le sue attrattive, signora, – e naturalmente fui rimbeccato.
– No, non aveva attrattive, – disse Corrine. – Era rozzo. Non negarlo. Non voglio sentire sviolinate.
– Certo che no, signora.
– Io lo conoscevo bene, – continuò. – Non aveva alcuno spirito di iniziativa. Non aveva alcun ingegno. Ma io lo amavo, perché io sono una guaritrice, Hiram.
A quel punto fece una pausa. Era mattina tardi. Il sole lampeggiava attraverso le veneziane verdi e c’era un silenzio innaturale nella casa, che di solito risuonava del lavoro della Servitú. Avrei tanto voluto tornare al capannone, a occuparmi dello scrittoio, o magari delle poltroncine angolari. Sentivo che era solo questione di istanti prima che sotto di me si spalancasse una botola.
– Ridevano di noi, lo sai? – disse lei. – Tutta l’alta società ridacchiava. Ci chiamavano «la duchessa e il buffone». Forse sai qualcosa dell’«alta società». Forse sai qualcosa degli uomini che nascondono i propri obiettivi mondani sotto la maschera della devozione e del lignaggio. Maynard non lo faceva. Lui non aveva alcuna attrattiva, alcuna scaltrezza. Non sapeva ballare. D’estate, nella stagione degli eventi mondani, si comportava da bifolco. Ma era un bifolco sincero, il mio bifolco.
Mentre diceva questo, la sua voce tremò in un altro modo ancora, da cui traspariva un dolore piú profondo.
– Sono distrutta, te lo garantisco, – disse. – Distrutta –. La sentii piangere piano sotto il velo del lutto, e allora mi venne da pensare che forse non c’era alcuno stratagemma, che forse lei era davvero quel che sembrava, una giovane vedova in lutto, e che quel suo impulso di avvicinarsi a me era solo il bisogno di entrare in contatto con qualcuno che fosse stato vicino a Maynard, e io ero stato il suo schiavo ma anche suo fratello, e quindi portavo con me qualcosa di lui.
– Credo che tu abbia un’idea di cosa significa sentirsi annichiliti, – continuò. – Tu eri il suo braccio destro, e mi chiedo cosa potrai fare di te stesso senza la sua guida e la sua protezione. Non voglio essere scortese. Dicono che tu mitigassi la sua impulsività e il suo agire sconsiderato. Che tu lo consigliassi nei momenti difficili. E che tu sia un ragazzo intelligente. E gli idioti disprezzano la saggezza e l’istruzione. E la tua istruzione veniva da lui, no? E ora il buon Howell Walker mi dice che ti si vede a vagare per la tenuta come un’anima in pena, cercando di fare qualcosa ma privo di ogni orientamento.
Anche tu, come me, cerchi di tenerti impegnato, di far passare il tempo con qualche attività, nella speranza di spostare i pensieri su qualcos’altro che non sia lui? Per noi donne non è molto diverso, sai? Ciascuno ha il proprio servizio. E allora mi chiedo se anche tu, come me, vedi lui in tutto quel che fai. Lui è tutt’attorno a me, Hiram. Vedo il suo volto nelle nubi, nella terra, nei sogni. Lo vedo smarrito sulle montagne. E lo vedo trascinato via da quel fiume, in quei suoi ultimi terribili momenti, nella sua nobile lotta con l’abisso. È andata cosí, non è vero, Hiram?
Sei stato tu a vederlo per l’ultima volta. Solo tu puoi testimoniare. Io non mi faccio domande sulla sua dipartita perché mi affido al mio Signore, non alle mie impressioni. Ma sono angosciata dalle cose che non so e che immagino. Dimmi che è morto in un modo degno del suo nome, in un modo all’altezza della sua posizione. Dimmi che è morto con la stessa schiettezza con cui è vissuto.
– Mi ha salvato, Miss Corrine, cosí è andata –. Non so perché lo dissi. Avevo passato pochissimo tempo alla presenza di Corrine Quinn, e tutto in lei mi metteva a disagio. Avevo parlato d’istinto, e l’istinto mi suggeriva di rassicurarla, di lenire il suo dolore piú che potevo, per il mio bene.
Lei sollevò le mani guantate e le infilò sotto il velo. Il suo silenzio mi costrinse di nuovo a parlare.
– Stavo andando a fondo, signora, e ho teso una mano, – dissi. – Sentivo l’acqua intorno a me come se fossero coltelli affilati, ed ero sicuro di essere spacciato. Ma lui mi ha tirato su, finché non ho avuto la forza di nuotare da solo. Nell’ultimo istante in cui l’ho visto era lí con me, ma il gelo e la corrente hanno avuto la meglio.
Lei restò in silenzio per qualche istante. Quando riprese a parlare, la sua voce tremolante era diventata come una sbarra di ferro. – Questo a Padron Howell l’hai raccontato? – chiese.
– No, signora, – risposi. – Gli ho risparmiato i dettagli, perché per lui è doloroso anche solo sentir pronunciare il nome del suo defunto figlio. Questa storia ci fa soffrire tutti. Ne ho parlato adesso solo perché voi mi avete cosí caldamente spinto a farlo, e spero che questo vi abbia portato un pochino di pace.
– Ti ringrazio. Ciò ti mette piú in buona luce di quanto immagini.
Rimase di nuovo in silenzio per un po’. Io restai ad aspettare la sua richiesta successiva. Quando riprese a parlare, la sua voce era salita di tono. – Dunque il tuo padrone ti ha lasciato. Sei ancora giovane… ma privo di un’occupazione. Cosa farai ora di te stesso?
– Andrò dove verrò chiamato, signora.
Lei annuí. – Forse allora verrai chiamato al mio fianco. Maynard ti voleva molto bene. Si illuminava quando faceva il tuo nome. Il mio paladino era anche il tuo paladino. Ha dato la vita per te. Forse, a tempo debito, anche tu dovrai dare la tua. Lo capisci questo, Hiram?
– Sí, – dissi.
E in effetti l’avevo capito, se non in quel momento, nell’ora di riflessione che seguí. Il lutto e il pianto potevano anche essere veri, ma ancor piú indubitabile era il suo tenebroso intento: sottrarmi a Lockless e reclamare i miei servizi, il mio corpo, come suoi. Bisogna tenere presente ciò che ero: non un essere umano, ma una proprietà, e una proprietà molto preziosa, dal momento che comprendevo il funzionamento sia della casa sia dei campi, e sapevo leggere e scrivere, e intrattenere gli ospiti coi miei trucchi mnemonici. Inoltre ero noto per la mia laboriosità, la mia affidabilità e la mia onestà. Per lei non sarebbe stato difficile ottenerlo. In ogni caso le ero già stato promesso attraverso il suo fidanzamento con Maynard. Ora le sarebbe bastato chiedere a mio padre di lasciarle almeno questo, per alleviare il suo rimpianto e il suo lutto. E allora dove sarei andato a stare? Corrine aveva delle proprietà non solo nella Elm County, ma anche piú a ovest, oltre le montagne, nella zona meno sviluppata dello stato. Era quello il segreto della sua fortuna, perché si diceva che, se era riuscita a scampare alla rovina che aveva travolto la Elm County, fosse proprio perché aveva diversificato i suoi interessi, investendo in legname, miniere di sale e canapa. Comunque fosse, dopo quell’incontro sapevo di dover affrontare un nuovo pericolo, non Natchez, ma comunque l’allontanamento da Lockless, l’unica casa che avessi mai avuto.
Il corpo di Maynard non fu mai trovato. Ma si decise che quel Natale tutti i Walker sparsi in ogni dove che ne avessero la possibilità si sarebbero ritrovati a Lockless per condividere i loro ricordi del defunto erede. Per tutto il mese ci dedicammo ai preparativi. Ripulimmo, spazzammo e lavammo il salone al piano di sopra, che era caduto in disuso dopo la morte della madre di Maynard. Io spolverai gli specchi conservati nel capannone, riparai due vecchi letti di corde e li feci portare in casa, insieme a un piccolo pianoforte. Di notte lavoravo giú nella Strada con Lorenzo, Bird, Lem e Frank. Era bello essere di nuovo lí, perché loro erano stati i miei compagni di giochi quand’ero bambino. Ristrutturammo le baracche rimaste vuote col diminuire della Servitú. Rinforzammo tetti, rimuovemmo nidi di uccelli e portammo giú coperte per i pagliericci, perché sapevamo che avremmo dovuto ospitare non solo i Walker, ma tutta la Servitú che li avrebbe accompagnati.
Mi lasciavo stordire dal lavoro, che aveva in sé un ritmo che percepivamo in modo cosí netto che a un certo punto Lem si mise a cantare una chiamata:
Going away to the great house farm
Going on up to where the house is warm
When you look for me, Gina, I’ll be far gone1.
E poi la cantò di nuovo, questa volta lasciando spazio perché il coro, che eravamo tutti noi, rispondesse ripetendo ogni verso. Quindi facemmo a turno ad aggiungere strofe da altre varianti o versi di nostra invenzione, costruendo la ballata cosí, stanza per stanza, come la grande casa di cui cantavamo. Quando toccò a me, gorgheggiai:
Going away to the great house farm
Going up, but won’t be long
Be back, Gina, with my heart and my song2.
E poi gli anziani decisero che anche noi dovevamo dare un banchetto, e quindi avere un tavolo adatto. Abbattemmo un albero, lo spogliammo dei rami, lo tagliammo come ci serviva e lo dotammo di gambe, e in quel modo costruimmo il nostro tavolo per il banchetto. Fu un lavoro duro, ma mi costrinse a non pensare a tutte le domande spinose che mi assillavano.
La mattina della vigilia di Natale, mi trovavo nella veranda della casa a guardare fuori, e proprio mentre il sole sbucava da dietro le montagne, ormai spoglie e marroni, vidi arrivare con l’alba la lunga carovana serpeggiante dei Walker. Contai dieci carri. Scesi loro incontro, li salutai e poi cominciai a scaricare i bagagli insieme alla gente di servizio. Lo ricordo come un momento felice, perché in quella carovana c’erano persone di colore che mi avevano conosciuto da bambino, che avevano conosciuto mia madre e che parlavano di lei con grande affetto.
Com’era all’epoca tradizione durante le Feste, tutti noi ricevemmo una razione extra di vettovaglie: due sacchi di farina di frumento e due di farina di granturco, il triplo della razione consueta di strutto e carne di maiale sotto sale, e due manzi macellati da spartirci come ci pareva. Dai nostri orti raccogliemmo cavolo e cavolo nero, e macellammo e spennammo tutti i polli adatti a essere mangiati. Il giorno di Natale ci dividemmo, e metà di noi andarono a preparare il banchetto su nella grande casa mentre l’altra metà si dava da fare per il nostro banchetto serale giú nella Strada. Io per quasi tutta la mattina tagliai e ammassai legna, sia per cucinare sia per il falò. Poi, nel pomeriggio, attraversai a piedi il bosco e tornai con dieci damigiane di rum e di birra. Al calar della sera il sole era tramontato e sulla Strada aleggiavano gli invitanti profumi della nostra cena: pollo fritto, gallette, pane di granturco e brodo di cottura. Uomini e donne di Starfall che avevano ancora qualche persona cara a Lockless portarono torte e altri dolci. Georgie e sua moglie Amber sorrisero mentre ci mostravano due torte alle mele appena sfornate. Io aiutai gli altri uomini a disporre le lunghe panche che avevamo costruito appena qualche giorno prima, ma c’erano piú persone che posti a sedere. Allora sistemammo intorno al falò casse, barili, ceppi, grosse pietre e qualunque altra cosa trovassimo. Quando ci raggiunsero anche quelli che avevano cucinato nella grande casa, dicemmo le nostre preghiere e mangiammo.
Poi, alla luce del falò, ora che tutti si erano rimpinzati ed erano pieni da scoppiare, cominciarono le storie sui fantasmi di Lockless, quelli di noi che se n’erano andati ed erano scomparsi. Zev, il cugino di mio padre andato in Tennessee, era tornato col suo domestico, Conway, mio amico d’infanzia, e la sorella di Conway, Kat. Avevano visto mio zio Josiah, che adesso aveva una nuova moglie e due bambine. Avevano visto Clay e Sheila, che, per un incredibile colpo di fortuna, erano state sí vendute, ma vendute insieme, e cosí avevano almeno quella consolazione. E c’erano Philipa, Thomas e Brick, che erano stati portati via con Zev e ormai erano vecchi, ma ancora vivi. Poi il discorso si spostò su Maynard.
– Quel May lo compiangono da morto piú di quanto lo amassero da vivo, – disse Conway. Era seduto accanto al fuoco, con le mani tese per scaldarle. – Per quella gente le bugie sono vangelo. Prima parlavano di lui come il peccato fatto persona. Adesso vogliono farci credere che era Cristo risorto.
– È un ritrovo di famiglia, – disse Kat. – Secondo te devono fare l’elenco delle sue malefatte?
– Sarebbe un inizio, – disse Sophia. – Quando me ne andrò, io non voglio bugie sul mio cadavere. Dovrete dire le cose come stavano.
– Quando tocca a noi, – replicò Kat, – nessuno dice niente, a parte che bisogna scavare una fossa.
– Quel che sarà sarà, – insistette Sophia. – Però niente bugie. Niente infiorettature. Sono venuta qui in malo modo, cosí sono vissuta e cosí morirò. Non c’è bisogno di aggiungere altro.
– Non si tratta di Maynard, – disse Conway. – Si tratta di loro che l’hanno sepolto, che sentono di dover rimediare dopo che un uomo che hanno sempre strapazzato è affogato nel Goose. Ci sto male pure io. Ho sempre previsto che avrebbe fatto qualche sciocchezza. Non l’ho mai visto da adulto, ma a quanto sento non era cambiato. E se è cosí, si sentiranno in colpa e avranno bisogno di confortarsi a vicenda.
– Voi negri siete proprio scemi come dicono, – intervenne Thena. Era in piedi accanto al falò, e guardava dritto verso le fiamme. – Tutti pensate questo di Maynard?
Nessuno rispose, e allora Thena alzò gli occhi e scrutò il suo uditorio. La verità è che tutti avevano paura di lei. Ma il silenzio che era il frutto di quella paura la innervosí ancora di piú.
– La terra, negri! La terra! Questa terra qui! Fanno la corte a quell’Howell, – disse. Fece un’altra pausa e si guardò intorno. Io ero abbastanza vicino da vedere l’ombra del falò che danzava sul suo viso, e le nuvolette invernali del suo respiro. – È alla sua eredità che danno la caccia. La terra, negri! La terra e noialtri! Tutta questa cosa è un gioco, e il vincitore avrà in premio questo posto, avrà in premio noi.
L’avevamo già capito. Ma quella era la nostra festa d’addio, forse l’ultima volta in cui ci saremmo ritrovati tutti assieme. E nessuno aveva voglia di rovinare quel momento strombazzando quel dato di fatto. Ma Thena, date le perdite che aveva subíto e dato il suo carattere, non poteva sorridere, non poteva fare baldoria e lasciarsi andare ai ricordi. Perciò scosse la testa e fece una smorfia di disapprovazione, poi si avvolse nel suo lungo scialle bianco e si allontanò con passi pesanti.
Ora tutti sedevano a occhi bassi, ammutoliti dalla realtà a cui Thena li aveva riportati. Aspettai qualche minuto e poi mi incamminai verso il fondo della Strada, fino a raggiungere l’ultima baracca, quella lontana dalle altre, quella dove un tempo Thena cacciava via con la scopa i bambini, quella dove io ero comparso tanti anni prima percependo che quella donna, piú di chiunque altro, avrebbe compreso il senso di tradimento che provavo. E ora eccola lí, davanti alla sua baracca, smarrita nei propri pensieri. Mi avvicinai e mi fermai dove la mia presenza non poteva sfuggirle. Lei mi guardò per qualche secondo, e io vidi che la sua espressione si era addolcita, poi si voltò di nuovo verso la baracca.
Restai lí con lei per un momento, poi tornai dagli altri, lasciandola ai suoi pensieri. Quando arrivai al falò, avevano ricominciato a raccontarsi storie, che ora attingevano al remoto passato, un misto di miti e ricordi.
– Non esiste niente di simile, – disse Georgie.
– E invece sí, – disse Kat.
– E invece no, – insistette Georgie. – Se qualche persona di colore fosse scesa fino al Goose e poi scomparsa, ti garantisco che lo saprei.
A quel punto Kat mi adocchiò, e disse: – Tu, Hi, lo sai di cosa sto parlando. Era la tua nonna, era la tua Santi Bess.
Io scrollai il capo e dissi: – Non l’ho mai conosciuta. Lo sai benissimo.
Anche Georgie scrollò il capo, e disse agitando le mani alla volta di Kat: – Lascia fuori quel ragazzo. Lui non sa niente. Te l’ho detto, se una schiava se ne fosse andata da Lockless portando con sé una cinquantina di noi, io lo saprei. Sono stufo di sentire questa storia. Ogni anno è la stessa solfa.
– È stato prima dei tempi tuoi, – disse Kat. – Mia zia Elma invece all’epoca era già qui. Diceva che aveva perso il suo primo marito quando era sceso nel Goose con Santi Bess. Diceva che era tornato a casa.
– Ogni anno, – disse Georgie scuotendo la testa. – Ogni maledetto anno con voi è la stessa solfa. Ma vi dico una cosa: sono io quello che l’avrebbe saputo, non qualcuno di voi.
A quel punto tutti si zittirono. Era vero. A ogni nostro raduno c’era quella disputa sulla madre di mia madre, Santi Bess, e su quel che era stato di lei. Secondo il mito, aveva guidato la piú grande fuga di gente di servizio – quarantotto anime – mai registrata negli annali della Elm County. E non solo erano fuggiti, ma si diceva che fossero fuggiti in Africa. Si diceva che Santi Bess li avesse fatti scendere al Goose ed entrare nel fiume, e che fossero riemersi sull’altra sponda dell’oceano.
Era ridicolo. Questo avevo sempre pensato, questo avevo dovuto pensare, perché la storia era giunta alle mie orecchie in un misto di dicerie e sussurri. E quella narrazione lacunosa era resa ancor piú frammentaria dal fatto che cosí tanti della sua generazione, e anche di quella successiva, erano stati venduti, cosí che alla mia epoca nella Elm County non era rimasto nessuno che avesse visto Santi Bess coi propri occhi.
La pensavo anch’io come Georgie: dubitavo perfino che fosse mai esistita. Ma a mettere tutti a tacere non era stata la veemenza di Georgie, ma la sua sicurezza: «Io so», aveva detto.
Kat andò a piazzarsi esattamente davanti a Georgie. Sorrise e disse: – E com’è, Georgie? Com’è che lo sai?
Guardai intensamente Georgie Parks. Il sole era tramontato da parecchio, ma alla luce del falò gli vedevo tutto il viso, impietrito dal disagio.
Ora Amber, sua moglie, si piazzò accanto a lui. – Sí, Georgie, – disse. – Come fai a saperlo?
Georgie si guardò intorno. Tutti gli occhi erano fissi su di lui. – Voi non vi preoccupate, – disse. – Io. So.
Si alzarono delle risate nervose. Poi la conversazione tornò a Maynard e ad altre notizie dai posti lontani che ora la nostra gente chiamava casa. Ormai era tardi, ma l’atmosfera era tale che nessuno voleva andarsene. E non so bene come accadde, o quando, perché non ci stavo badando, stavo ancora pensando a Thena, ma nel momento in cui me ne accorsi era già tutto in movimento. Sentii il battito ma non ci feci caso, finché qualcuno non cominciò a radunarsi all’altro lato del falò, e guardando da quella parte vidi che uno degli uomini del tabacco, Amechi, aveva preso una sedia da una delle baracche, e un catino e dei bastoncini, e con quelli stava battendo un ritmo, una cosa allegra e movimentata, e poi due e poi tre persone di servizio cominciarono a battere le mani e a darsi pacche sulle ginocchia, e poi vidi Pete, il giardiniere, che si faceva avanti con un banjo, e si metteva a strimpellare, e poi fu come se tutto accadesse in un baleno, cucchiai, bastoncini, scacciapensieri, e la danza fu su di noi, come se fosse sbocciata di propria volontà, e ora si era formato un cerchio di fianco al falò, e c’era una ragazza che, tenendosi la gonna con una mano, dimenava i fianchi seguendo il ritmo, e vidi una brocca di terracotta sulla testa della ragazza e, abbassando lo sguardo, vidi che la ragazza era Sophia.
Alzai gli occhi verso la limpida volta stellata, e a giudicare dal viaggio compiuto dalla mezzaluna attraverso il cielo capii che doveva essere quasi mezzanotte. Il fuoco svettava alto scacciando il gelo di dicembre, e prima che me ne rendessi conto tutti nella Strada stavano danzando. Indietreggiai lentamente fino ad avere una visione d’insieme. C’erano decine di noi laggiú. Era un’intera nazione in movimento. Alcuni ballavano in coppia, altri avevano formato piccoli semicerchi, altri ballavano da soli. Guardai verso le baracche e vidi Thena che, seduta su dei gradini, muoveva la testa a ritmo.
Osservai Sophia, un turbine di braccia e gambe, ma perfettamente sotto controllo, con la brocca che sembrava fusa alla testa e non si muoveva, e quando uno degli uomini le si avvicinò troppo, la vidi che lo tirava a sé e gli bisbigliava qualcosa, probabilmente qualcosa di poco gentile, perché l’uomo lasciò perdere e si allontanò. E poi lei guardò verso di me e mi vide che la osservavo, e allora sorrise e mi venne incontro e, mentre lo faceva, inclinò la testa facendo scivolare giú la brocca, e allungando la mano destra la prese per il collo. Quindi, in piedi di fronte a me, bevve un sorso e poi me la passò. Io me la portai alle labbra e sobbalzai sentendo il gusto, perché avevo dato per scontato che fosse acqua. Lei rise e disse: – Troppo forte per te?
La guardai e riportai alle labbra la brocca piena di birra, senza distogliere gli occhi dai suoi, e bevvi, e bevvi, e bevvi, poi le restituii la brocca vuota. Non sapevo cosa mi avesse spinto a fare una cosa simile, quantomeno non lo sapevo allora, però sapevo bene cosa significava, anche se cercavo di negarlo a me stesso. E anche lei lo sapeva. E allora strinse gli occhi, posò la brocca, andò di corsa all’altro capo del tavolo, scomparendo nell’ombra, poi tornò con una damigiana piena e me la passò.
– Camminiamo, – disse.
– Va bene, – dissi io. – Dove andiamo?
– Dimmelo tu.
E cosí camminammo, lasciando che il suono della musica si spegnesse alle nostre spalle mentre salivamo su dalla Strada, fino a trovarci vicino al prato e alla grande casa di Lockless. Accanto alla casa c’era un piccolo gazebo, sotto cui c’era la ghiacciaia. Ci sedemmo con la damigiana di birra passandocela a vicenda in silenzio, finché non cominciò a girarci la testa.
– Eh già, – disse lei, spezzando il silenzio. – Thena.
– Sí, – dissi io.
– Non era una bugia, vero?
– No.
– Tu lo sai cosa le è successo?
– Intendi per farla diventare cosí? Sí, ma credo che spetti a lei raccontartelo.
– Però a te l’ha raccontato, no? Con te è sempre stata indulgente.
– Thena non è indulgente con nessuno. Secondo me anche prima che le succedesse quel che le è successo, non era indulgente.
– Hmm. E tu?
– Cosa?
– Anche tu sei duro con le persone?
– Di solito sí, – dissi. – Ma ovviamente dipende dalle persone.
Poi bevvi un altro sorso dalla damigiana e gliela passai, e lei ora mi stava guardando, senza sorridere, scrutandomi e basta. Ormai mi era chiaro che ero entrato nel Goose da un lato e ne ero uscito dall’altro. Ora mi chiedevo come avessi fatto a sopportare di accompagnarla tutte quelle volte da Nathaniel, mi chiedevo se non fossi stato cieco. Era una ragazza meravigliosa, e io volevo stare con lei come non avrei mai piú voluto nessun’altra, con un’intensità di cui con l’età e l’esperienza non si è piú capaci, vale a dire che volevo tutto di lei, dalla pelle color caffè agli occhi marroni, dalla bocca morbida alle lunghe braccia, dalla voce bassa alla risata sferzante. Volevo tutto. E non pensavo al terrore che a questo si accompagnava, al terrore che aveva ingoiato la sua vita. L’unica cosa a cui pensavo era la luce che danzava dentro di me, che danzava al suono di una musica che speravo solo lei sentisse.
– Hmm, – disse. Poi distolse lo sguardo. Bevve un altro sorso e posò la birra ai suoi piedi, e alzò gli occhi verso la volta stellata, e quando quegli occhi si spostarono io mi sentii geloso del cielo. E insieme a quel sentimento mi venne tutta una serie di pensieri. Pensai a Corrine e Hawkins, e che quelli avrebbero potuto essere i miei ultimi giorni a Lockless, e che me ne sarei andato, non verso Natchez, ma comunque me ne sarei andato. Pensai a Georgie e a tutto quel che poteva sapere. Sentii la mano di Sophia che s’infilava sotto il mio braccio, finché le nostre braccia non furono intrecciate. Lei sospirò, con la testa sulla mia spalla, e restammo lí a guardare le stelle sopra la Virginia.