Nei giorni successivi, mentre camminavo per le strade di Filadelfia, o lavoravo con tornio e bulino, o falsificavo lettere e lasciapassare, pensavo sempre a Sophia, pensavo a lei mentre ballava accanto al fuoco la danza dell’acqua. Vedevo noi due sotto il gazebo, mentre ci passavamo la brocca piena di birra. Ricordavo le sue lunghe dita che sfioravano i mobili impolverati nel capannone. Pensavo a noi due nel vallone e rimpiangevo amaramente di non averla abbracciata in quel momento. E pensavo alle opportunità di una vita lí nel Nord: una famiglia tutta nostra, reminiscenze al pan di zenzero, figlie che cantavano dopo cena e lunghe passeggiate sulle rive dello Schuylkill. E avevo una gran voglia di mostrarle quel mondo, mi chiedevo che impressione le avrebbe fatto – i treni, la folla, l’omnibus: tutte cose che, giorno dopo giorno, mi diventavano sempre piú familiari.
Due settimane dopo essere stato catturato dai cacciatori di uomini, fui convocato alla casa di Raymond al di là del fiume. Lui mi aspettava nel portico e mi disse che era solo. La moglie e i figli erano in città, e dalla sua espressione capii che non era un caso. C’erano sempre tanti segreti.
Entrammo in casa e salimmo al piano di sopra, dove lui allungò una mano, afferrò un anello metallico incardinato al soffitto e tirò piano, finché non si aprí una botola e scivolò giú una scala a pioli. Allora salimmo nel sottotetto. Raymond andò verso un angolo dove c’erano alcune piccole casse di legno. Ne scelse due. Le portammo giú, richiudemmo la botola e tornammo in salotto.
Raymond le aprí e disse: – Hiram, da’ un’occhiata.
Allungai una mano e vidi che si trattava di un assortimento di carte: lettere di fuggiaschi piene di parole gentili, aggiornamenti su parenti, informazioni cruciali sui movimenti dei Segugi di Ryland, sulle trame e gli intrighi del Potere Schiavista, nonché, quasi sempre, appelli per la liberazione di qualche persona cara. Notai che Raymond aveva contrassegnato quelle che aveva accolto, o che sperava di poter accogliere. Quelle carte avevano un grande valore, e lui ne aveva casse e casse. C’era molto da imparare sulle azioni dei nostri nemici, ma se mai ne fossero entrati in possesso, anche i nostri nemici avrebbero avuto molto da imparare sulle nostre azioni. Se quelle casse fossero cadute nelle mani sbagliate, innumerevoli agenti sarebbero stati smascherati.
– Le storie contenute qui dentro vanno oltre quel che chiunque potrebbe immaginare, anche quelli fra noi che conoscono bene quel mondo, – disse Raymond. Le stavo ancora sfogliando, meravigliato dalla loro quantità. Sembrava esserci una testimonianza per praticamente tutti coloro che erano scappati dal Servizio ed erano stati soccorsi dalla stazione di Filadelfia. Doveva esserci, pensai, anche il colloquio con Mary Bronson trascritto da me. – È bene ricordare perché facciamo quel che facciamo, – aggiunse Raymond. – Ho lavorato con agenti di tutti i tipi, e non posso dire che siano sempre mossi dalle motivazioni piú pure.
– Forse nessuno di noi è puro, – dissi. – Forse tutti abbiamo le nostre ragioni per fare quello che facciamo.
– Certo, – disse Raymond. – Io stesso, se non fosse per il legame con la mia famiglia, sarei forse qui? E sarei cosí coinvolto? Sicuramente no. Ed è la famiglia quello che ti abbiamo promesso, no? La tua amata Sophia, che è scappata con te in un modo non molto diverso da quello di tante fra le storie contenute nei miei archivi, e non molto diverso dalla storia dei miei stessi genitori.
– Una differenza c’è, – dissi. – Noi non siamo mai arrivati al punto di vedere le cose con chiarezza. Eravamo molto giovani. È strano dire cosí, lo so. Non è passato neanche un anno da quando sono stato catturato. Ma c’era qualcosa, qualcosa che stava maturando e che credo sarebbe sbocciato in una famiglia. O forse no. Forse mi sono immaginato tutto.
– Be’. Hai quantomeno diritto a un’opportunità per scoprirlo.
– Credo di sí.
– Non è semplicissima, questa faccenda di Sophia. Ma abbiamo giocato troppo con te, Hiram, e quindi ora ti spiegherò bene la parte che ti riguarda, e in seguito ti comunicherò anche il resto.
Tirai il fiato, preparandomi.
– Dobbiamo ancora prendere contatto con lei… È una cosa delicata, come puoi immaginare, una cosa che richiede tempo. Ma Bland ha escogitato un piano per la sua conduzione. Anzi, si è offerto volontario per gestire la cosa di persona. Però c’è un ostacolo, che non riguarda Sophia ma noi. Ci cogli in un momento particolare, e ora come ora siamo impegnati in un’altra operazione. Otha ti ha parlato di sua moglie?
– Lydia? – chiesi.
– Sí, Lydia. E non solo Lydia, ma anche i figli… i miei nipoti. È da tanto che abbiamo in mente di andarli a prendere. Otha è ricomparso come da un sogno. Pensavamo di averlo perso. Ma per fortuna e per grazia di Dio ci è stato restituito. E per quanto lui sia stato contento di tornare fra noi, e per quanto noi siamo stati contenti di riaverlo, non siamo tutti insieme.
Lydia è in Alabama. Il suo padrone ha rifiutato tutte le nostre offerte di comprare la sua libertà. E la cosa peggiore è che probabilmente le nostre offerte l’hanno insospettito e reso piú guardingo. Lydia e i suoi figli sono davvero nel sepolcro, Hiram, e ogni giorno che passa il sepolcro si chiude sempre di piú.
– Capisco, – dissi. – Tutti, ma ciascuno a suo tempo.
– Sí. Ciascuno a suo tempo. Ma c’è anche altro. Quest’operazione non è solo personale, ma molto onerosa. Abbiamo bisogno di qualcuno che assista Bland, che ci assicuri che possa partire per l’Alabama al momento giusto.
– Certo. È per questo che sono qui.
– No, questa è una cosa personale. Non è la Sotterranea come la conosci tu, e sicuramente non è Corrine. C’è chi avrebbe qualcosa da obiettare, e per questo ho bisogno che tu capisca… è una cosa che devi decidere tu liberamente. Se anche non puoi aiutarci con questa operazione, soccorreremo lo stesso la tua famiglia. Come ho detto, ritengo che tu abbia patito piú di quel che era giusto. Fare questa cosa per te è un modo per rimetterci in pari, comunque la veda Corrine.
– Sí, me l’immaginavo, – dissi. – Non è certo quello che farebbe Corrine. È una brava donna, credo. E sicuramente laggiú stanno conducendo una buona battaglia. Ma quello che ho visto qui, quello che ho visto di tua mamma, dei tuoi cugini, dei tuoi zii, non è solo la battaglia. Ho visto il futuro. Ho visto lo scopo per cui stiamo combattendo. Sono riconoscente a Corrine. Sono riconoscente per la battaglia. Ma soprattutto sono riconoscente per aver visto quel che verrà.
E a quel punto feci una cosa molto strana: sorrisi. E fu un sorriso aperto e generoso, che nasceva da un sentimento che di solito mi era sconosciuto: la gioia. Ero gioioso al pensiero di quel che sarebbe venuto. Ero gioioso al pensiero del ruolo che vi avrei avuto.
– Quindi ci sto, – dissi. – Qualunque cosa questo significhi, ci sto.
– Eccellente –. Raymond sorrise e disse: – E prenditi tutto il tempo che vuoi per leggere queste lettere. Come hai visto, di sopra ce ne sono molte altre. Mia moglie tornerà fra poco, e i miei figli nel pomeriggio, ma tu continua. Approfondisci quanto ti pare. Non dobbiamo mai dimenticarci perché facciamo questo, Hiram.
Trascorsi il resto della giornata smarrito in quell’archivio, altrettanto avvincente di un qualunque Ivanhoe o Rob Roy. La sera cenai con la famiglia di Raymond e accettai l’invito a trattenermi per la notte, e cosí potei continuare la lettura alla luce della lanterna. Andai via l’indomani mattina dopo una piccola colazione. Mi sentivo scombussolato dalla quantità di cose che avevo appreso in un tempo cosí breve, perché solo ora, grazie a quegli archivi, ero arrivato a capire la portata delle operazioni della Sotterranea, e fino a dove si erano spinti i suoi clienti pur di sfuggire al Servizio. Fra le mie mani, in quei documenti, avevano preso vita delle leggende: la resurrezione di «Box» Brown, la saga di Ellen Craft, la fuga di Jarm Logue. Quelle storie erano incredibili, e nel loro insieme mi fecero capire perché Raymond e Otha osassero tentare una liberazione dal sepolcro dell’Alabama. Avevano già osato tanto. In Virginia quel che contava era immediato e invisibile. E sebbene Raymond non volesse che quei documenti fossero rivelati al mondo, almeno non per il momento, la sicurezza di uno stato libero lo rendeva audace. Quel che contava per lui era la libertà. La libertà era il suo vangelo e il suo pane.
Sfogliando quelle pagine, avevo sentito le storie prendere vita di fronte a me. Le avevo viste come se le avessi avute di fronte agli occhi, cosí che mentre andavo verso il traghetto, poi sul traghetto stesso e lungo la strada fino alla stazione di Filadelfia, quelle legioni di gente di colore e i paesaggi di quelle grandi fughe si sovrapponevano alla geografia, e quelle persone me le vedevo davanti, le vedevo arrivare da Richmond e Williamsburg, da Petersburg e Hagerstown, da Long-green e Darby, da Norfolk ed Elm. E le vedevo venir via da Quindaro per rifugiarsi a Granville, poi passare una notte a Sandusky ed esultare subito a ovest di Bird in Hand, non molto lontano da Millersville, a un tiro di schioppo da Cedars.
E le vedevo scappare con ragazze irlandesi, volatilizzarsi con un oggetto in ricordo dei figli perduti, correre con provviste di maiale sotto sale e gallette e biscotti, svignarsela con tagli di manzo, ingollare l’ultima zuppa di tartaruga del padrone, scolarsi il suo rum giamaicano, e poi via nell’inverno, noncuranti e scalze, ma dirette verso la libertà. Cameriere nere che fuggivano sognando un’unione consacrata, che fuggivano con pugnale e pistola a doppia canna, cosí che, se avessero incontrato i segugi, l’avrebbero sfoderata gridando: «Fermi o sparo!» Scappavano con bambini piccoli addormentati con qualche intruglio, con vecchi che strascicavano i piedi nel gelo, che morivano di freddo nel bosco con queste parole sulle labbra: «L’uomo ci ha resi schiavi, ma Dio ci ha voluti liberi».
E tutte quelle parole, e ognuna di quelle storie, erano altrettanto magiche di ciò che avevo visto nel Goose, quelle anime erano state condotte con la stessa certezza con cui io ero stato tratto in salvo dagli abissi. E vedevo quelle persone arrivare su treni, chiatte, canoe, scialuppe e diligenze. Arrivare a marzo in groppa a un cavallo sulla neve dura e il ghiaccio che cominciava a sciogliersi. Si camuffavano con abiti da donna e arrivavano, con vestiti da gentiluomo e arrivavano, con bende per il mal di denti e arrivavano, con fasce per braccia rotte e arrivavano, con stracci che non valevano la spesa di una lavandaia, ma arrivavano. Corrompevano bianchi della feccia e rubavano cavalli. Attraversavano il Potomac nel vento, nella tempesta e nelle tenebre. Arrivavano, come avevo fatto io, guidati dal ricordo di madri o mogli vendute a sud per il grave crimine di aver opposto resistenza alla libidine dei padroni. Arrivavano divorati dal gelo. Arrivavano con racconti di uomini alcolizzati e di sovrintendenti che traevano piacere dall’uso della frusta. Arrivavano stivati come chicchi di caffè nelle imbarcazioni, sfidando la trementina, piagati e ustionati dall’acqua salata, ossessionati dal senso di colpa per essersi umiliati al punto da inchinarsi di fronte a chi li fustigava, per aver tenuto soggiogati i loro fratelli sotto la frusta del padrone.
Quel giorno li vidi correre via nella foresta stringendo una sacca da viaggio, gridando: «Non mi prenderanno mai!» Li vidi salire sui traghetti cantando sottovoce e solo per sé:
God made them birds and the greenwood tree
And all has got their mate, but soul-sick me1.
Quel giorno li vidi al porto di Filadelfia mentre pregavano: «Nascondi il reietto, non tradire colui che erra». Li vidi errare sulla Bainbridge e piangere tutti i loro morti, coloro che si erano imbarcati per l’ultimo porto, quello da cui nessuno fa ritorno. Tutte quelle persone mi si pararono innanzi da quelle lettere, da quei ricordi, e tutte erano state risollevate dal Pandemonio, dalla Schiavitú, dalle fauci dell’Abominio, da sotto le ruote del Juggernaut, e tutte cantavano le lodi delle arti magiche della Sotterranea.
La sera dopo andai da Micajah Bland. Ero ancora scosso dal fatto di essere stato rapito da in mezzo alla strada. Scrutavo tutti tenendomi a distanza di sicurezza. Se qualcuno si avvicinava, mi fermavo per lasciarlo passare. I bianchi della feccia abbigliati con un certo stile mi insospettivano particolarmente, perché spesso i segugi reclutavano i loro alleati fra gente come quella. E Filadelfia era piena di bianchi della feccia, anzi, erano la classe predominante, e abbondavano soprattutto nella zona dove abitava Bland, vicino al porto sullo Schuylkill. Ma da quelle parti c’era anche gente di colore. Mi fermai sull’angolo opposto alla casa di Bland, e restai lí a guardarmi intorno per dieci minuti buoni. Vidi un uomo di colore vestito in modo trasandato che schizzava fuori dalla porta accanto a quella di Bland. Si allontanò in fretta lungo la strada, inseguito da una donna di colore che sbraitava ogni sorta di volgarità. E alle sue spalle sbucò una donna nera piú vecchia, che sbraitava anche lei, mentre due bambine piccole restarono ferme a piangere sulla soglia di casa. Pensai che avrei dovuto fare qualcosa, ma poi la donna piú vecchia – che forse era la nonna – tornò indietro e fece rientrare le due bambine, lasciando la porta aperta.
Avevo sentito parlare di persone come quelle, persone di colore molto diverse da Raymond e dalla sua famiglia, persone sempre a corto di soldi, che venivano malmenate e cacciate via se osavano proporsi per quelli che venivano considerati «lavori da bianchi». All’inizio non ci avevo fatto caso perché a colpirmi era stata soprattutto la relativa opulenza dell’altra categoria di gente di colore. Ma ora, mentre guardavo quella scena, ricordai che Otha metteva in guardia i clienti della Sotterranea da quel possibile destino, perché spesso quelle persone erano fuggiaschi, uomini e donne che non riuscivano a inserirsi nella società, e nelle chiese, e perciò trovavano difficile affrontare la libertà. E poi pensai che quella paura che provavo, quello scrutare ogni volto, era il loro pane quotidiano, e che per loro era anche peggio, perché, se fossero stati catturati dai segugi, non ci sarebbe stato un Bland a correre in loro aiuto.
Quanto a lui, lo trovai a casa ad aspettarmi. Venne ad aprirmi una giovane donna, che mi sorrise e poi andò a chiamarlo. Si presentò come Laura, la sorella di Micajah. Era una casa modesta, una delle piú eleganti del quartiere ma non graziosa quanto quelle di Raymond e della famiglia White dall’altro lato del fiume. Però era pulita e ben arredata.
Ci stringemmo la mano e ci fu il consueto scambio di convenevoli. Provavo un profondo sollievo per essere riuscito nella piccola impresa di giungere indisturbato fin lí. Avendo fatto ciò, adesso ero divorato dall’impazienza di cominciare a lavorare per la libertà di Lydia, e dopo per quella di Sophia, della mia Sophia. Continuavo a pensare a lei non come a una persona con idee sue proprie, ma come se fosse lei stessa un’idea, un costrutto mentale, cosí che pensare alla mia Sophia significava sí pensare a una donna per cui provavo un sentimento sincero, ma anche pensare ai miei sogni, alla mia redenzione. È importante che vi spieghi questo. È importante che capiate quanto poco sapessi dei suoi sogni, della sua redenzione. Adesso so che lei aveva cercato di spiegarmeli, e che io, che tanto andavo fiero della mia capacità di ascoltare, semplicemente non ero riuscito a sentirla.
Comunque fu in quello stato d’animo, ansioso e avventato al tempo stesso, che mi presentai da Micajah Bland, cosí che, non piú di cinque minuti dopo essermi seduto, sbottai: – Allora, come facciamo?
– Ad andare a prendere Sophia? – chiese lui.
– Io veramente pensavo a Lydia e ai bambini. Ma se preferisci possiamo anche cominciare con Sophia.
– Con Sophia è piú facile. Devo convincere Corrine a investirci un po’ di risorse, ma si può fare.
– Corrine… – Mentre pronunciavo il suo nome, mi si spezzò la voce. – Ma è stata lei ad abbandonare Sophia.
– Quella è la sua stazione, Hiram. Bisogna comunicarglielo, anzi, bisogna consultarla.
– Corrine… – Scrollai il capo.
– Conosci per intero la storia di quella donna?
– No, – dissi. – So solo che ha abbandonato Sophia nel sepolcro.
E a quel punto accadde qualcosa, qualcosa di cui all’epoca non mi resi conto. Non so se sia stata una sorta di possessione, ma so che sentii una rabbia che mi cresceva dentro, una rabbia che riguardava me, le violazioni che avevo subíto, la prigione e tutto quel che mi avevano fatto. Una rabbia che però non era mia. E la voce che parlò non era la mia, ma era una voce che di recente aveva lasciato su di me il suo stampo. E quella voce disse: Lo sai che cosa ci facevano là. Te lo sei scordato? Non te lo ricordi cosa fanno alle ragazze quaggiú? E una volta che lo fanno, ti hanno in pugno. Ti imprigionano coi figli che nascono, ti legano a quel posto col sangue del tuo sangue…
In quel momento la consueta compostezza sul volto di Bland venne meno, lasciando il posto a un sentimento che in lui non avevo mai visto e non avrei mai piú visto: la paura. E poi le pareti svanirono e intorno a noi ci fu solo un grande e sconfinato nulla. Il tavolo e le sedie erano ancora lí, avviluppati, insieme allo stesso Bland, da quell’azzurro ormai a me ben noto. Ero consapevole di me stesso, ed ero consapevole di una profonda rabbia, ma piú ancora provavo un dolore cupo, gutturale, che mi accompagnava dal giorno in cui avevo abbandonato Maynard all’abisso. Ma la cosa piú importante era che per la prima volta mi rendevo esattamente conto di quel che stava succedendo mentre ancora stava succedendo, e allora pensai di manovrarlo, di dirigerlo come si potrebbe dirigere un sogno. Ma nel momento in cui ci provai, nel momento in cui cercai di produrre un effetto su quel che mi circondava, il mondo tornò quello che era. Nel grande nulla ci fu un baluginio, finché le pareti non ricomparvero. L’azzurro si dissolse e vidi che io e Bland eravamo di nuovo seduti, solo che ci eravamo scambiati di posto, e adesso io ero seduto sulla sedia di Bland e lui sulla mia. Mi alzai in piedi e toccai le pareti. Uscii dalla stanza, attraversai l’ingresso con passo malfermo e mi appoggiai al muro. Provavo la solita sensazione di disorientamento, ma mi sentivo meno spossato delle altre volte. Tornai in sala da pranzo e mi sedetti.
– È questo, vero? – dissi. – È questo che vuole Corrine.
– Sí, è questo, – disse lui.
– L’avevi già visto?
– Sí, ma non cosí.
Restai in silenzio per parecchi minuti. Poi fu lui ad alzarsi e uscire dalla stanza, e io lo presi come un atto di sollecitudine nei miei confronti, perché avevo bisogno di un momento per riprendermi. Quando ricomparve, con lui c’era sua sorella Laura. Disse che mancava poco all’ora di cena e mi invitò a fermarmi.
– Facci compagnia, Hiram, – disse Micajah Bland. – Te ne prego.
Accettai.
Dopo mangiato uscimmo a fare due passi, camminando nel silenzio della sera per le strade di Filadelfia. Poi finalmente gli chiesi: – Chi hai visto fare quella cosa? Mosè?
Lui annuí.
– Ed era lei, l’altra notte?
– Sí.
– Ed è stato cosí che ci hai salvato?
– No. Per quel branco di delinquenti il soprannaturale era superfluo.
– Bland, se Mosè riesce a farlo, perché non mandate lei a prendere la famiglia di Otha?
– Perché lei è Mosè, non Gesú. Ha le sue promesse da mantenere. Ogni cosa ha i suoi limiti. Io rispetto Corrine. Rispetto quello che voleva fare con te. Ma lei non capisce davvero il potere, non capisce come funziona.
Camminammo ancora un po’, senza parlare. Il sole stava tramontando alle nostre spalle. Era da quando i Segugi di Ryland mi avevano catturato vicino al porto che non facevo una passeggiata serale. Ma con Micajah Bland mi sentivo al sicuro. Lui era il mio piú vecchio amico nella Sotterranea, sempre che potessi dire di avere qualche amico. Ed era stato lui, nel suo particolare modo, a credere che in me ci fosse qualcosa.
– In nome di Dio, com’è che sei rimasto invischiato con Corrine? – chiesi.
– Tu conosci solo la fine della storia, – disse. – Quando l’ho incontrata, Corrine era una ragazza, studiava in una scuola di New York dove i virginiani di una certa classe sociale spedivano le figlie perché ricevessero l’istruzione adatta a una signora: francese, economia domestica, arte, un po’ di letteratura. Ma Corrine era precoce, ed estasiata dalla metropoli. Spesso sgattaiolava via per assistere alle conferenze degli abolizionisti. È stato cosí che io e lei ci siamo incontrati.
Vedi, all’epoca c’era qualcuno fra noi che da tempo desiderava portare la nostra guerra nel Sud. È stato facile reclutarla, e poi farne la nostra arma principale per colpire al cuore il Demone Schiavista. E che arma era… la bellezza sudista in boccio, il fior fiore della loro civiltà, che gli si rivoltava contro. Ha dato grandi prove di sé, Hiram. Non puoi immaginare i sacrifici che ha fatto.
– I suoi genitori, – dissi.
– Sacrifici, Hiram. Sacrifici tremendi, del tipo che Raymond e Otha, e anche la nostra Mosè, non approverebbero mai, e che io non chiederei loro di approvare. È stato il periodo in cui ho conosciuto te. Ero là in avanscoperta, sotto le spoglie di Mr Fields. È stato lí a Lockless che ho sentito parlare per la prima volta di Santi Bess, ma non ho fatto il collegamento fra te, il ragazzo con una memoria infallibile, e la Conduzione. Fra le tante antiche casate prese di mira da Corrine, Lockless era l’unica ad avere un erede manovrabile con relativa facilità. Ma quando si arrivò al dunque, Corrine si rese conto che la stazione della Virginia stava per assumere il controllo non solo di un’antica piantagione della Elm County, ma anche di una persona che avrebbe potuto metterci a disposizione un grande potere.
– Ma avevate a disposizione già Mosè, – dissi.
– No, Hiram. Nessuno ha Mosè a disposizione. E sicuramente non Corrine. Mosè ha le sue priorità, e sono legate soprattutto alla stazione qui a Filadelfia. Corrine ambiva a un potere analogo, ma radicato in Virginia.
– E cosí sono tutti immacolati, eh? Nessuno ha colpa di niente, – dissi.
– No, Hiram. Lei non è immacolata. Però ha ragione. Hai mai pensato a cosa le farebbero se venisse smascherata? Ti rendi conto, nello specifico, di cosa farebbero a una donna come lei, che si è fatta beffe dei loro principî piú sacri, e ha cercato di distruggere il loro intero stile di vita?
A quel punto eravamo tornati davanti all’ufficio sulla Nona Strada. Solo allora, riemergendo dai miei pensieri, mi resi conto che Bland mi aveva riaccompagnato a casa. Lo guardai, feci una risatina sommessa e scrollai il capo.
– Che c’è? – disse lui. – Non possiamo permetterci che ti catturino di nuovo.
Risi ancora, questa volta un po’ piú forte. E Bland mi passò un braccio intorno alle spalle e rise anche lui.