Ormai era fine estate, bassa stagione per le missioni di soccorso, perciò avremmo avuto poco da fare, a parte attendere notizie della spedizione di Bland. Ma per nostra fortuna il periodo coincideva con l’incontro annuale di tutti coloro che conducevano una guerra esplicita e legale contro la schiavitú: cittadini impegnati a combattere per l’abolizione attraverso i giornali, le conferenze e il voto. Noi della Sotterranea combattevamo una guerra segreta, nascosta, mistica e violenta, ma eravamo alleati con l’altra fazione, e l’assemblea di agosto era l’unico momento dell’anno in cui le due fazioni si incontravano, convergendo da ogni parte del paese. La prospettiva di ritrovare la Virginia, di ritrovare Corrine, mi riempiva di inquietudine. Subito dopo la partenza di Bland avevamo i preparativi, e due settimane piú tardi eravamo in viaggio, io, Raymond e Otha, su una diligenza privata, cosí che, mentre Bland si spostava verso sud, noi ci spingevamo ancora piú a nord, nelle regioni montagnose dello stato di New York.
Cominciavo a capire che Raymond e Otha combattevano contemporaneamente su entrambi i fronti: erano fari illuminanti per gli abolizionisti e intanto avevano le mani in pasta nelle faccende piú tenebrose in cui anch’io ero stato coinvolto. Nessun’altra stazione a est del Mississippi conduceva alla libertà piú gente di colore di quella di Filadelfia. Ad alimentare ulteriormente la loro fama c’era l’odissea di Otha dall’abisso dell’Alabama, dall’abisso della condizione di orfano alle braccia spalancate della sua famiglia. Ma la seconda sera del nostro viaggio in diligenza, a noi si uní una persona il cui lustro superava di gran lunga quello di tutti noi messi assieme: Mosè.
Adesso la conoscevo non solo come personaggio leggendario, ma attraverso le sue molte imprese narrate nei documenti in possesso di Raymond. Tuttavia, quando salí sulla diligenza portando con sé l’aura di tutte le avventure vissute, restai cosí abbagliato che quasi non riuscii a salutarla. Lei scambiò calorosi convenevoli con Raymond, fece un cenno del capo a Otha e poi fissò lo sguardo su di me.
– Come ti senti, amico? – chiese. Mi ci volle un istante per ricordare che quando l’avevo conosciuta mi stavo riprendendo dall’aggressione di Ryland.
– Bene, – risposi.
Aveva con sé lo stesso bastone da passeggio della notte in cui l’avevamo incontrata nei boschi, e ora, alla luce del giorno, si vedeva che era ricoperto da intagli e geroglifici. Lei si accorse che lo stavo osservando e disse: – Il mio fidato bastone da passeggio, ricavato da un ramo di storace. Mi accompagna ovunque io vada.
La diligenza si riavviò. Trovavo incredibilmente difficile non fissare quella donna. Anche a prescindere dal potere della Conduzione, era l’agente piú audace della Sotterranea. Avevo visto abbastanza del mondo, avevo letto abbastanza dell’archivio di Raymond, da sapere che la sua era un’anima ferita, ma non spezzata, dalle peggiori atrocità dello schiavismo. E ancora una volta ripensai alla mia sepoltura in quella buca, al periodo in prigione e alle notti in cui mi avevano dato la caccia come a una preda. Forse era stato necessario. Forse dovevo vedere anche quello per capire quanto abietto e malvagio potesse essere quel mondo. Raymond chiamava quella donna Harriet, un nome che lei diceva di preferire a tutti i suoi altri titoli, ma le riservava comunque il rispetto che un soldato potrebbe riservare a un grande generale, rispondendo a ogni sua domanda e ponendogliene a propria volta qualcuna, e assistendola con costante sollecitudine anche se lei di rado esprimeva qualche richiesta.
L’indomani giungemmo al Raduno, un accampamento annidato in uno spiazzo disboscato non lontano dal confine col Canada. Quel terreno apparteneva a uno dei grandi benefattori della Sotterranea, che si diceva intendesse fondare lí una comunità di persone di colore che sarebbero state al servizio solo di se stesse. Il giorno prima aveva piovuto, e quando scendemmo dalla diligenza ci trovammo a sguazzare nei nostri scarponi. Ci assicurammo uno spazio a un’estremità del campo dove il terreno era un po’ rialzato, poi ci disperdemmo, ognuno per conto suo.
Mi guardai intorno e vidi tende imbrattate di fango che si estendevano fino al limitare del bosco, e passandoci in mezzo vidi i convenuti che ridevano e chiacchieravano, e poi, nelle tende piú grandi, vidi oratori che predicavano la propria causa da palchi improvvisati. Quegli oratori amavano dare spettacolo, e sembrava che facessero a gara a chi attirava il pubblico piú numeroso. Mi feci largo in mezzo alla calca e sostai davanti a un bianco in brache di calicò e cappello a cilindro che proprio in quel momento stava piangendo disperatamente nella manica della giacca. Fra le lacrime, raccontava una storia che teneva avvinti gli ascoltatori, spiegando come il rum e la birra l’avessero spogliato di casa e famiglia, finché gli era rimasto solo l’abito che indossava. E ora aveva fatto voto, disse riprendendo il controllo, di non toglierselo piú di dosso finché la piaga dell’alcol non fosse stata estirpata.
Mi spostai fino ad arrivare dove un gruppetto di persone stava fissando due donne, entrambe in tuta da lavoro e con la testa rasata, che arringavano la folla riguardo al diritto delle donne a godere in ogni ambito delle stesse libertà degli uomini. Le due donne continuarono a parlare, in tono sempre piú alto e infervorato, e anche i presenti furono colpiti dai loro strali, perché ora le due stavano dicendo che, finché non avessimo abbracciato la causa del suffragio femminile, anche noi eravamo complici della cospirazione per saccheggiare metà del mondo.
E quello non era l’unico saccheggio che venisse denunciato, mi resi conto quando arrivai in un’altra tenda ancora, dove c’era un bianco accanto a un silenzioso indiano in abito tradizionale. E il bianco raccontava le grandi razzie a cui aveva assistito, le nefandezze a cui si abbandonavano georgiani, caroliniani e virginiani spinti dalla brama di terre. E a quel punto sapevo bene cosa ne avrebbero fatto di quelle terre, e come al peccato del furto si sarebbe aggiunto il peccato dello schiavismo.
Mi spinsi ancora piú avanti, finché non vidi una fila di bambini alle spalle di un uomo che inveiva contro le fabbriche di questo paese. Quei bambini erano stati venduti per farli lavorare, da genitori che non riuscivano piú a mantenerli, finché non erano stati salvati dall’ente benefico rappresentato da quell’uomo. Solo grazie a quell’intervento caritatevole quei bambini avevano potuto andare a scuola ed erano stati riscattati dai mali del capitale. Un po’ piú in là trovai un’argomentazione affine da parte di un sindacalista, secondo cui i titoli di proprietà di tutte le fabbriche avrebbero dovuto essere tolti ai loro gaudenti proprietari e assegnati a coloro che vi sgobbavano.
E piú avanti ancora veniva sostenuta un’altra tesi in materia, secondo cui le fabbriche avrebbero dovuto essere abolite, e l’attuale società smantellata, e uomini e donne avrebbero dovuto organizzarsi in nuove comunità dove tutti avrebbero lavorato insieme e le proprietà sarebbero state condivise. E quello non era ancora l’apice del radicalismo del Raduno, perché alle estreme propaggini del campo trovai una zitella secondo cui io e tutti gli altri avremmo dovuto rifiutare anche i legami del matrimonio, esso stesso una sorta di proprietà, una sorta di schiavismo, e adottare la dottrina del «libero amore».
Ormai era mattino inoltrato. Il sole picchiava forte nel cielo d’agosto sgombro di nubi. Mi asciugai la fronte con la manica della giacca e sedetti per un istante sul ceppo di un albero lontano dalla folla e dalle tende. Era troppo… in quel prato c’era un’intera università. Mi si rivelavano tutte assieme nuove maniere di essere, nuove idee di liberazione. Appena un anno prima le avrei respinte in blocco. Ma ora avevo visto tante cose, tante piú cose di quelle che avevo trovato nei libri di mio padre. Come sarebbe andata a finire? Non lo sapevo, e questo mi turbava e al tempo stesso mi riempiva di esaltazione.
Quando alzai gli occhi, vidi una donna poco piú vecchia di me, che mi fissava dal limitare della zona del campo da cui ero arrivato. Quando i nostri sguardi si incrociarono, mi sorrise e si avvicinò senza ulteriori indugi. Aveva un delicato viso marrone chiaro, incorniciato da folti capelli neri che le scendevano sulle guance e poi sulle spalle.
Mi alzai in segno di rispetto e il suo sorriso scomparve. Mi scrutò dalla testa ai piedi, come se volesse assicurarsi di qualcosa, poi disse l’ultima cosa che mi aspettavo di sentire.
– Come stai, Hi?
Se avessi udito quelle parole da qualche altra parte, in altre circostanze, sarebbe stato un sollievo, perché mi sarei sentito a casa. Ma in quel momento fui assalito da mille domande, e soprattutto mi chiesi come facesse quella donna a sapere come mi chiamavo.
– Va tutto bene, – disse lei. – Ora andrà tutto bene –. Poi tese una mano e disse: – Sono Kessiah.
Non ricambiai il saluto, ma lei continuò, senza offendersi.
– Vengo anch’io da dove vieni tu: Elm County, Virginia. Lockless. Non ti ricordi di me. Ti ricordi di tutto, ma non ti ricordi di me. Non importa. Badavo a te quand’eri piccolo. Tua madre ti lasciava con me quando doveva…
– Chi?
– Tua madre… Mamma Rose, cosí la chiamavamo. Ti lasciava con me. E a quanto mi risulta tu conosci mia madre. Si chiama Thena. Ha perso i suoi figli anni fa. Tutt’e cinque venduti nell’ippodromo di Starfall, spediti Dio solo sa dove. Ma ora io sono qui con la Sotterranea, e ho saputo che qui c’era anche qualcun altro che veniva da dove venivo io, e ho sentito che quel qualcuno eri tu.
– Possiamo fare due passi? – chiesi.
– Certo che possiamo, – rispose lei.
La portai ancora piú lontano dal Raduno, verso la zona rialzata dove avevamo legato la diligenza e montato la tenda. La aiutai a salire a cassetta e mi sedetti accanto a lei.
– È vero, – disse, guardando dritto davanti a sé. – È tutto vero. Se vuoi, posso raccontarti com’è andata.
– Certo che voglio, – replicai.
– Bene. È come ti ho detto. Sono la figlia di Thena, la piú grande. Abitavamo giú nella Strada, e ho alcuni bei ricordi di quel periodo. A quell’epoca il mio papà era un grand’uomo, il capo della squadra del tabacco, ovvero la cosa piú importante che puoi essere quando fai parte della Servitú.
Avevamo la nostra casa al fondo della Strada, separata dalle altre e anche piú spaziosa. Pensavo che fosse grazie al mio papà e alla stima che avevano per lui quelli in alto. Era un uomo duro. Non era uno che parlasse molto, ma ricordo che, quando veniva a cercarlo, la Qualità si rivolgeva a lui con un rispetto che non veniva accordato a nessun’altra persona di servizio.
A quel punto Kessiah s’interruppe, con l’aria di chi ha improvvisamente capito una cosa. Poi disse: – O forse è tutto nella mia testa. Forse sono i ricordi di una figlia a cui piacerebbe che le cose fossero andate cosí. Non lo so. Però sono questi i miei ricordi. Ricordo i giochi a cui giocavamo. Ricordo le biglie. Ricordo la palla e la corda. Ricordo che giocavamo al Cavaliere e il Fischietto. Ma soprattutto ricordo la mia mamma, la donna piú affettuosa e amabile che io abbia mai conosciuto. Ricordo le domeniche, quando potevamo starcene tutt’e cinque in grembo a lei, come gattini. Il mio papà era un uomo duro, ma già allora capivo che in qualche modo ci aveva protetto, che stava facendo qualcosa, o aveva fatto qualcosa, perché avessimo quella baracca separata dalle altre. Avevamo il nostro orto, le nostre camelie. E quella era la mia vita.
Kessiah stava guardando verso le tende da cui ci eravamo allontanati, smarrita in un sogno a occhi aperti. E anch’io ero smarrito in un mio sogno: ricordavo Thena tanti anni prima, quando fumando la pipa mi aveva raccontato dell’uomo che aveva amato, Big John. Mi sembrava incredibile che quella Kessiah fosse davvero la loro figlia, e che si trovasse proprio lí.
– Ma diventai grande, e presto fui messa al lavoro: prima a portare acqua a quelli che stavano nei campi, poi anch’io nei campi. Ma non mi dispiaceva: i miei amici erano tutti lí ed ero vicina al mio papà. Era un lavoro duro, certo, ma il lavoro duro non mi ha mai spaventato; è questo che mi ha portato alla Sotterranea. All’epoca il mio mondo erano i campi e la Strada, ed è stato grazie alla Strada che ho conosciuto te, Hi, e ho conosciuto tua madre, e tua zia Emma. Nel fine settimana gli adulti andavano nei boschi per le loro piccole danze e lasciavano me a guardare i bambini piccoli, e tu eri uno di loro. Non mi ha stupito trovarti qui. Sei sempre stato diverso. Osservavi, osservavi tutto, e quando ti ho visto qui ho pensato che non eri cambiato, che continuavi a osservare. Sono stata felicissima di trovarti, e di incontrarti qui, lontano dal Servizio.
Era un’altra epoca, e mi sconcerta, quasi mi fa vergognare, dire che a quel tempo ero felice, ma credo che sia stato vero, almeno per un periodo, e ricordo bene quando il mio stato d’animo è cambiato. È stato quando papà è morto. Di febbre, sai. Per la mia mamma è stata dura. Era ancora affettuosa come sempre, ma soffriva tanto. Ogni notte piangeva e ci chiamava a lei, «Venite qui dalla vostra mamma», diceva, e noi, tutti noi gattini, andavamo a sdraiarci vicino a lei, e lei piangeva e anche noi piangevamo. Ma ti garantisco, Hi, che non era niente rispetto a quel che stava per succedere. Almeno quando il mio papà è morto eravamo tutti insieme. Ma presto non è piú stato cosí… è stato come se fossimo scomparsi l’uno per l’altro, come se ognuno di noi fosse morto e fosse stato condannato a un diverso inferno.
A quel punto si girò verso di me e disse: – A quanto pare conosci la mia mamma, almeno un poco.
Feci di sí con la testa, deciso a non aggiungere altro, perché non riuscivo ancora a fidarmi del tutto. Però vedevo che Kessiah mi fissava con aria di attesa. Un’aria di attesa che ben conoscevo.
– Non era esattamente come ricordi tu, – dissi. – Ma credo fosse la stessa donna. E poi credo che avesse le sue ragioni per essere com’era, per essere come l’ho conosciuta io. Ma questo non è importante. L’importante è che con me è stata buona. Per me Thena è stata la parte migliore di Lockless.
Kessiah mise le mani a coppa e se le portò davanti alla faccia a coprire il naso e la bocca, e iniziò a piangere sommessamente.
Poi mi chiese: – Quindi sai dell’ippodromo?
– Sí, – risposi.
– Immagina. Tutti noi, i miei fratelli e le mie sorelle, portati lí e venduti. Sai che non li ho mai piú rivisti? Sai quanto ho cercato di ritrovarli? Ma sono cosí tanti a essersene andati, Hi. Come l’acqua fra le dita. Andati.
– Lo… lo so, – dissi. – Non l’ho sempre saputo. Ma adesso lo so. Tua madre… lei ha cercato di spiegarmelo. Ma non l’ho sempre saputo, cosa significava essere trattati cosí. Adesso però lo capisco.
– Dicevano che tuo padre era un bianco.
– Sí.
– E questo non ti ha salvato?
– No. Non salva nessuno di noi.
– No, non ci salva, e se ora io sono qui davanti a te è solo per un caso. I miei sono stati portati quasi tutti verso Natchez, a me invece mi hanno portato nel Maryland, e mi hanno messo a lavorare in una segheria, e dopo un po’ lí ho conosciuto un uomo, Elias, e ci siamo innamorati. Elias era un uomo libero che viveva del suo lavoro, e intendeva comprarmi in modo che potessi vivere libera anch’io.
Quello alla segheria era un lavoro duro, ma lí ho trovato un’altra famiglia. Mi sono rifatta una nuova vita, adattandomi a quell’uomo, e ho ottenuto qualcosa di simile alla felicità. Sapevo che non avrei mai piú potuto essere una ragazza. E sapevo di essere stata brutalmente marchiata da quel che avevo passato. Ma avevo trovato qualcosa, e proprio quando l’avevo trovata, Hi, mi hanno di nuovo messa all’asta. Ma questa volta avevo qualcosa in serbo per loro. Sposandomi, ero entrata in una famiglia di tipo particolare, una famiglia di cui faceva parte la persona che tu conosci come Mosè.
Kessiah rise fra sé a quel pensiero. – Avresti dovuto vederlo. Io e Elias ci eravamo detti addio. Era stata dura. Poi, il giorno stabilito, lui si presenta all’asta e comincia a fare delle offerte. E io ho un tuffo al cuore, perché la cosa si gioca fra lui e uno venuto fin dal Texas. E fanno tira e molla finché il mio Elias non mi guarda con occhi tristissimi. E io capisco che ha perso, e che quello del Texas ha vinto. E quello del Texas paga il dovuto e mi chiude in una cella. Avresti dovuto sentirlo, quanto le sparava grosse. Si credeva chissà chi. Mi dice: All’alba partiamo. Ah! All’alba. Non sapeva quello che diceva. Il sole è sorto, come no. Ma Mosè è arrivata prima.
Mosè, pensai, la Conduzione.
Kessiah mi guardò. – Era tutto organizzato, sai. Avevano rilanciato piú che potevano per far pagare quell’uomo e poi tirarmi fuori da lí. Mio Dio, dopo aver visto quella cosa, dopo aver visto cosa aveva fatto Mosè, non potevo tornare alla vita di prima. Ho pensato a tutto quel che avevo passato. E ho pensato a com’era bello potermi rifare almeno un po’. E ho pensato a tutte le mie sofferenze e a quante altre persone erano nella mia situazione. E a quel punto non volevo altro che appartenere alla Sotterranea.
Da allora sono sempre stata con Mosè. È cosí che ho saputo di te, Hi. C’è un ragazzo, mi dicono, che viene dalla Virginia… dalla Elm County, la mia contea. Allora comincio a guardarmi in giro e sento il tuo nome, e non riuscivo a crederci, e invece, Dio mio, eri proprio tu. Appena ti ho visto che gironzolavi osservando tutto ho capito che eri tu.
A quel punto mi buttò le braccia al collo e mi strinse, e con mia grande sorpresa provai un senso di calore. Da tanto tempo ero lontano da casa. E ora c’era qualcuno che aveva dei ricordi in comune con me, che aveva fatto il mio stesso viaggio. Ormai era tardi, e tutt’e due dovevamo tornare dai nostri compagni. Ci alzammo, ci abbracciammo di nuovo e lei disse: – Avremo altre occasioni, io e te. Abbiamo ancora qualche giorno.
Poi mi guardò e aggiunse: – Oddio, non so come ho fatto a dimenticarmene… a forza di parlare solo di me. Come sta Mamma Rose? Come sta tua madre?
Poco dopo mi aggiravo di nuovo fra le tende, e vidi che le esortazioni avevano lasciato il posto ai divertimenti. C’erano giocolieri che si lanciavano a vicenda frutti e bottiglie. C’erano funamboli che avevano teso un cavo sottile in alto fra due alberi e prima lo percorrevano tutto camminando e poi tornavano indietro ballando e cantando. C’erano acrobati che facevano capriole, salti e giravolte a mezz’aria.
E come stava mia madre? Come se la passava Mamma Rose? Ancora non avevo nessuna reminiscenza di lei, solo le storie messe insieme ascoltando persone come Kessiah, persone che l’avevano conosciuta, cosí che la ricordavo come se fosse stata il personaggio di un mito dell’antichità, non come ricordavo Sophia, o come ricordavo Thena – Thena che per me non era mai stata tanto viva come in quei momenti con Kessiah, con le reminiscenze di sua figlia che si mescolavano alle mie. E ora mi sembrava di capire molte cose, di sapere perché era stata cosí dura con me. Il suo avvertimento: Sono piú io tua madre di quanto quell’uomo bianco a cavallo potrà mai essere tuo padre.
Ci ritrovammo tutti per cena – io, Otha, Raymond, Kessiah e Mosè – e dopo, col sole basso nel cielo, un gruppo di persone di colore si radunò intorno a un fuoco. Cominciarono, a voci bassissime e ammalianti, a cantare quei canti che possono nascere solo giú nel sepolcro. Erano canti che non ascoltavo da quand’ero andato via, e in me toccavano una corda sensibile. Cominciai a dondolarmi nel calore di agosto. Era troppo. Mi allontanai e ripresi a vagare, solo coi miei pensieri, lungo i viottoli fangosi tra le tende.
Mi sedetti in uno spiazzo erboso asciutto sotto un telone, da dove si sentiva ancora in lontananza la mia gente che cantava. Ripercorsi a ritroso la giornata: Kessiah, i suoi ricordi su Thena e Big John, i discorsi che avevo ascoltato, le idee su donne, bambini, lavoro, terra, famiglia e ricchezza. Mi venne da pensare che una riflessione approfondita sul Servizio rivelava non solo i mali specifici della Virginia, del mio vecchio mondo, ma la grande necessità di un mondo completamente nuovo. La schiavitú era la radice di tutte le lotte. Infatti si diceva che le fabbriche rendessero schiave le mani dei bambini, e che la gravidanza rendesse schiavo il corpo delle donne, e che il rum rendesse schiava l’anima degli uomini. In quel momento capii, da quel turbinio di idee, che quella guerra segreta veniva condotta contro qualcosa di piú dei Padroni della Virginia, che noi intendevamo non solo migliorare il mondo, ma rifarlo da capo.
Fui distolto dai miei pensieri da un uomo che si aggirava nelle vicinanze. Si presentò come un messaggero incaricato di consegnarmi una busta, e quella busta aveva un sigillo che riconobbi all’istante come quello di Micajah Bland. Ebbi un tuffo al cuore. Il mio impulso piú forte sarebbe stato aprire subito quella lettera. Ma si trattava della famiglia di Otha, e doveva essere lui il primo a conoscere la loro sorte. Lo trovai con Raymond, ancora accanto al falò, ancora rapito dai canti degli schiavi. Consegnai la lettera a Raymond, che sapeva leggere meglio del fratello. Sul viso di Otha, illuminato dal bagliore del fuoco, comparve la trepidazione che era lecito attendersi. Ma poi Raymond sorrise e disse: – Micajah Bland ha con sé Lydia e i bambini. Sono usciti dall’Alabama. Quando ha scritto questa lettera, stavano attraversando l’Indiana.
– Mio Dio, – disse Otha. – Mio Dio.
Si girò verso di me e disse: – Succederà davvero. Dopo tutti questi anni, la mia Lydia, i miei figli… tutti loro… mio Dio. Vorrei che Lambert fosse ancora vivo per vedere questo momento.
Poi tornò a girarsi verso il fratello e scoppiò a piangere. Raymond smise la sua consueta maschera di solennità e lo strinse a sé. Io distolsi lo sguardo, pensando che avessero bisogno di un momento tutto per loro. Ero sopraffatto da quella giornata, colma di eventi straordinari che mai avrei potuto prevedere.