Capitolo trentesimo

Alla fine, noi – io, Thena, Sophia e la piccola Carrie – eravamo l’unica cosa stabile a Lockless. A legarci era il potere del sangue. Sophia era la favorita di Nathaniel, e Carrie era sua figlia. Io ero il figlio di mio padre, e quanto a Thena, be’, per mio padre era il simbolo di un’epoca passata. Lui aveva venduto i suoi figli, un atto che, nella sua mente, rappresentava una svolta nel percorso che aveva portato alla fine della Virginia che conosceva. Non che lo dicesse esplicitamente, però evitava di parlare con Thena, e se aggirandosi per la proprietà la incontrava, si girava dall’altra parte. Ora penso che, se le aveva consentito di affittare il suo lavoro di lavandaia, era per lenire il senso di colpa per aver messo all’asta i suoi figli all’ippodromo.

Che fosse o meno dettata dal senso di colpa, quella sua decisione aveva salvato Thena, e in quei giorni cupi noi quattro formavamo una sorta di unità. Avevamo adottato una nostra routine. Cenavamo insieme, poi io mi occupavo di mio padre, e dopo riaccompagnavo Sophia e Caroline alla loro baracca nella Strada. Una sera Sophia mi disse, parlando di Thena: – Sai, sta invecchiando.

– Eh sí, – dissi io.

– È una vita dura, Hi, una vita dura per una donna: il bucato, i ritiri, le consegne, la liscivia. Io la aiuto come posso, ma è dura. Sono contenta che sei tornato. Ha bisogno di fare una pausa. Dille di riposarsi domani. Possiamo occuparci io e te del bucato. E lunedí possiamo anche fare il giro delle magioni.

Tornato da Thena, le riferii il nostro piano. Lei mi guardò e tentò di protestare, cedendo solo dopo che ebbe ottenuto di badare a Caroline mentre noi lavoravamo. L’indomani era domenica. Sarebbe venuta Corrine per accompagnare mio padre in chiesa. Con Hawkins a occuparsi di loro, io potevo dedicarmi a quella nuova incombenza. Quella notte a letto pensai a Thena e ai suoi piani. Nutriva ancora la speranza che coi soldi guadagnati facendo il bucato sarebbe riuscita a comprarsi la libertà per i suoi ultimi giorni. Io però non intendevo seguire il suo piano, ma il mio, il piano della Sotterranea. Ormai era inverno, e le notti diventavano sempre piú lunghe. Pensai a Kessiah e all’espressione che avrebbe fatto sapendo che sua madre era stata liberata, e pensai, già allora, che in quell’espressione vedevo non solo il mantenimento di una promessa, ma il risanamento di una mia antica ferita.

Lavare i panni non era cosa semplice. Ci incontrammo la mattina presto, quando il cielo era ancora nero, rischiarato solo dalle stelle e dalla falce della luna. Passammo la prima ora ad attingere acqua dal pozzo e riempire i calderoni. Poi, mentre io raccoglievo la legna e accendevo i fuochi, Sophia passò in rassegna gli indumenti in cerca di piccoli strappi. Poi li portò da rammendare a Thena, che non eravamo riusciti a convincere a restare del tutto con le mani in mano. Mentre i calderoni si scaldavano sul fuoco, battemmo gli abiti e le lenzuola. Poi andai nella Garenna a prendere tre tinozze. Ora le stelle erano sparite e la pallida falce di luna andava dissolvendosi nel blu degli ultimi istanti prima dell’alba. Quando le tinozze furono sistemate, ci infilammo i guanti da lavoro e sollevammo insieme i calderoni per versare l’acqua bollente. Poi, nelle ore successive, sfregammo, sciacquammo e strizzammo, e di nuovo sfregammo, sciacquammo e strizzammo altre due volte.

Terminammo quando il sole era calato da un pezzo. Dopo aver steso i panni ad asciugare, andammo al gazebo, come avevamo fatto in un tempo che ora mi sembrava lontanissimo. Avevamo braccia e schiena doloranti. Le mani scorticate. Restammo per venti minuti nel silenzio delle cose. Poi andammo a cenare con Thena.

– Non è cosí facile, – disse lei, e il nostro silenzio spossato fu la conferma piú eloquente possibile. Dopo, accompagnai Sophia giú alla Strada e mi fermai da lei mentre lavava e vestiva Caroline per metterla a letto. Uscii e picchiettai con le nocche sugli spazi fra una tavola di legno e l’altra. Vennero via alcuni frammenti.

Rientrai e dissi: – La calcina si sta sfaldando. Magari posso dargli un’aggiustata.

Sophia stava avvolgendo una pezza intorno al sedere della bambina, e canticchiava piano. Si interruppe e disse: – Lei per te è un problema?

Feci una risata nervosa. – Mi ci devo abituare.

– E ti ci abituerai o no?

– Ho idea di sí, – dissi.

Rientrai e mi sedetti sul letto accanto a lei.

– Ricordati dove ci hanno portato l’ultima volta le tue idee, – disse.

– Non ho dimenticato nulla. Ma quel che ricordo non sono i segugi, e neanche ciò che è successo dopo. Quel che ricordo sei tu. Quel che ricordo è essere legato a quella staccionata, e come mi sentivo pronto a morire, ma poi, quando ti ho guardato, in te non ho visto neanche un briciolo di morte… nonostante quel che ci aveva fatto Georgie.

– Georgie, – disse lei. Vidi che, pronunciando quel nome, aveva assunto un’espressione furibonda. – Quando sono tornata qui, non c’era piú. Meglio per lui. Non so dirti quanti pensieri malvagi e vendicativi ho avuto.

– Allora forse è stato meglio cosí.

– Per lui. Per lui sí.

Restammo in silenzio per un po’. Ora Sophia teneva Caroline sulla spalla, e le carezzava dolcemente la schiena.

– Hiram, – disse. – Perché te ne sei andato?

– Non me ne sono «andato». Sono stati loro a portarmi via, – dissi. – L’hai visto.

– È cosí, eh? Ti hanno portato via?

– Lo sai come funziona. Non siamo stati i primi. I segugi ti acchiappano e ti portano via.

– Be’, io ho l’impressione che ci sia qualcos’altro sotto. Cose che forse non puoi dire, cose di cui non bisogna parlare. Forse è il fatto che dentro di te scorre il sangue dei Walker. Ma non mi sembra solo questo, perché li conosco gli uomini di quaggiú, gli uomini che credono nel Servizio, come Howell Walker… be’, sono pronti a vendere i loro figli in un secondo, anche solo per non aver piú sotto gli occhi il frutto della loro condotta peccaminosa.

– Ma io appartengo alla Servitú. Come te. Il sangue non conta. È tutto molto semplice. Corrine aveva una necessità. Howell si sentiva male per la morte di Maynard e mi ha mandato da lei come consolazione. Il fatto che eravamo scappati ha facilitato ulteriormente la cosa.

– Be’, questa è l’altra cosa strana. Mentre eri via ho visto Corrine molto spesso… piú spesso di quanto abbia mai visto Nathaniel. Passava di qui ogni due o tre settimane. E non so quali ragioni avesse per vedermi. E non so perché io non sono stata mandata verso Natchez. Perché siamo qui, Hiram? Perché ci tengono ancora?

– Mi sembra una domanda da rivolgere a Nathaniel.

– Hi, secondo me non sa neanche che siamo scappati. Le volte in cui da allora l’ho visto, e non sono state tante, non ne ha mai fatto cenno.

– Non lo so. Non sono nella testa delle persone.

– Non dico che tu lo sia.

– Già. Però sei sempre lí che dici qualcosa.

Mi diede una pacca sulla spalla con la mano libera e si accigliò. Restammo a lungo in silenzio. Io pensavo a Corrine, e a perché avesse sentito il bisogno di passarla a trovare. Poi guardai Sophia, che adesso aveva Carrie in grembo e le stava cantando qualcosa con voce dolce e rassicurante. La piccola agitava le mani nell’aria, lottando contro il sonno, lottando per tenere gli occhi aperti.

Per un momento fui di nuovo a Filadelfia, di nuovo con Mars, e ricordai come lui si era aperto con me, come tutta la famiglia White si era aperta e cosa questo aveva significato, come Bland si era aperto con me, come le sue parole mi avevano liberato dal senso di colpa per la morte di Maynard. E ora sentivo di dovere la stessa cosa a Sophia.

– Lo so che un figlio non è solo una fonte di gioia. L’ho visto. Ma ho visto spesso delle donne che non avrebbero voluto un figlio eppure finivano per modellare tutta la propria vita intorno a lui. E vedo che tu hai modellato la tua vita intorno a questa bambina, hai modellato la tua vita intorno a lei prima ancora che nascesse. Saresti scappata per lei. Avresti ucciso per lei. Vedo come la guardi, e ricordo. Ricordo quello che mi hai detto. «Succederà, Hiram, – mi hai detto. – E dovrò vedere mia figlia che viene presa come sono stata presa io». Nessuno può dire che non sia stato detto. E anche se ricordo tutto, non posso dire di ascoltare sempre. Ma adesso ti ascolto, e ascolto anche molto altro.

E so che gli uomini fanno cose terribili e malvagie a figli che non sono del loro sangue e che gli vengono imposti. Forse potrei essere anch’io uno di loro. Forse potrei tenere cosí tanto alla mia considerazione di me stesso, alla mia collera e al mio odio, da… – Scrollai il capo. – Intendo dire che lei non è un problema, e tu non sei un problema. Il problema sono io –. E a quel punto mi interruppi e Sophia mi strinse forte la mano.

– Intendo dire che ho capito chi era suo padre fin dal primo momento che l’ho vista. Erano quelle le regole. Torno e ti vedo con la piccola Caroline, che non è sangue…

E giuro che in quel momento fu come se la piccola Caroline avesse ascoltato le mie parole, perché mi guardò e mi tese una mano. E io staccai la mano da quella di Sophia e la allungai verso la bambina, che mi afferrò il mignolo.

– E invece è sangue del mio sangue, – dissi. – Ha la pelle chiara come me, gli occhi grigioverdi come i miei… ma non solo i miei. Ha gli occhi dei Walker, e i capelli dei Walker. Fin dal capostipite, perché cosí viene descritto in tutte le storie locali della Elm County.

Ed è molto strano, perché Maynard invece quegli occhi grigioverdi non ce li aveva. E ora sono riapparsi in Caroline, nella piccola Caroline.

E questo è doloroso. Non è pulito. È melma. Ho detto lo stesso ad altri uomini, ma ora questa medicina devo mandarla giú io. Voglio che tu sappia quello che ho visto, gli uomini che ho conosciuto da quando sono andato via. Uomini che hanno dovuto decidere cosa amavano di piú, se il tutto, buono e cattivo, che avevano davanti, oppure la propria collera e la propria considerazione di se stessi. E io ho scelto la melma di questo mondo, Sophia. Ho scelto il tutto.

Adesso c’erano lacrime nei suoi occhi.

– Posso prenderla in braccio? – chiesi.

E lei rise fra le lacrime e disse: – Fa’ attenzione. Anche lei potrebbe portarti via.

Poi sorrise, sollevò la bambina e, tenendole il sedere con una mano e le spalle con l’altra, me la porse. E io vidi la piccola Caroline che di nuovo mi guardava con quegli occhi grigioverdi e quella stessa ossessiva intensità da neonata. Tesi le braccia, facendo del mio meglio per imitare Sophia, misi le mani sotto quelle di lei, afferrai la piccola, gliela sfilai e la strinsi a me facendole posare la testa nell’incavo del mio gomito. E quando la sentii che si rilassava, che non piangeva e non si lamentava, pensai a mio padre, a come lui non mi avesse mai tenuto cosí, né simbolicamente né concretamente. E ricordai come per tutta l’infanzia l’avessi inseguito alla ricerca di un momento come quello. E pensai alla donna che invece mi aveva dato momenti come quello, perché cosí mi dicevano tutti, che mia madre mi amava piú di qualunque altra cosa, che aveva modellato la sua vita intorno a me finché non mi era stata strappata via, mia madre, che non riuscivo a ricordare.

Con Lockless che andava svuotandosi, con la Garenna grigia e infestata dai fantasmi, e la stagione morente che aveva ceduto il passo all’inverno, Caroline era una luce per il nostro mondo. Era stata Thena, non essendo disponibile nessun altro, ad aver fatto da levatrice per Carrie, e cosí, essendole affezionata, a volte se ne occupava lei, per dare il cambio a Sophia. Cosí fece anche la domenica seguente, quando io mi dedicai a riapplicare la calcina alla baracca di Sophia. Lavorai per circa un’ora, poi entrai in casa. Sophia aveva acceso il fuoco. Era tutta infagottata e sedeva di fronte al camino con le mani tese in avanti per scaldarsele.

Mi guardò e disse: – Non hai freddo?

– Sí, – risposi. – Senti qua –. E le misi una mano sulla guancia e poi sul collo. Lei rise e strillò: – Ehi, smettila!

Cercò di sfuggirmi, e io la inseguii fuori dalla baracca e nella Strada, finché non ci accasciammo a terra fra le risate.

– Bene, adesso sí che ho freddo, – dissi.

– Stavo cercando di spiegartelo, – disse lei.

Rientrammo e ci sedemmo accanto al fuoco. – In giornate come questa, – disse, – mi piacerebbe tanto qualcosa da bere. La sai una cosa? Il mio Mercury, giú in Carolina, ne teneva sempre un po’ da parte –. Poi mi guardò e disse: – Perdonami, Hi, non volevo riesumare vecchie cose.

– Per essere mia, non puoi essere mia, – le ricordai. – E poi mi hai dato un’idea. Aspettami qui.

Andai alla grande casa ed entrai nella Garenna. Mi fermai davanti alla porta socchiusa della stanza di Thena e vidi che Caroline era addormentata in braccio a Thena, un po’ come Kessiah da piccola, a quanto mi aveva raccontato. Entrai nella mia stanza e presi la bottiglia di rum che mi aveva regalato Mars prima che partissi. Quando tornai da lei, Sophia era seduta con le mani infilate sotto le ascelle, e quando le mostrai la bottiglia, sorrise e disse: – Lo so che c’è qualcosa sotto, qualcosa che riguarda i posti dove sei stato.

Aprii la bottiglia, e lei continuò: – Non sei lo stesso uomo di prima. Puoi cercare di farmi credere quello che vuoi, ma non ci casco. Non sei lo stesso di prima. Io lo vedo, Hi. A me non puoi tenerlo nascosto.

Le passai la bottiglia e lei se la portò alla bocca, buttò indietro la testa come quando si espone il viso alla pioggia e poi bevve. – Ooh, – disse, asciugandosi la bocca con una manica. – Eh sí, devi essere stato in dei posti.

– Ma ora sono qui, – dissi, bevendo anch’io. – E poi, cosa mi dici di te?

– Di me? – rispose lei. – Cosa vuoi sapere? Ti rivelerò ogni cosa.

Mandai giú un altro sorso, poi posai la bottiglia a terra.

– Cosa è successo? – chiesi. – Cosa è successo dopo la notte in cui ci hanno preso?

– Hmm. Mi hanno tenuta chiusa in quella prigione, come avranno tenuto te, presumo. E io ero convinta che fosse finita. C’era Natchez che mi aspettava. Natchez. E una ragazza come me, incinta o meno, sarebbe finita di sicuro in un postribolo. Ero terrorizzata, te lo assicuro. Lo so che quella notte là fuori ho cercato di essere forte, Hi, e l’ho fatto perché avevo te, e sentivo di dovermi preoccupare di te, e finché avevo te non c’era il tempo di preoccuparmi per me.

Ma il giorno in cui i segugi mi hanno chiuso in prigione, i pensieri mi hanno assalito, la prospettiva del male che stava per capitarmi. Mi veniva da piangere, ma sapevo di dover essere forte. E allora parlavo con la mia Caroline, per tutto il tempo. Parlavo con lei, e ti assicuro che lei mi tranquillizzava. Sentivo di non essere piú sola. È come hai detto tu: non avevo chiesto di averla, ma in quel momento ero felicissima che ci fosse, anche se era solo una piccola cosa che stava sbocciando dentro di me.

E credo sia stato quello il momento in cui sono diventata sua madre. Ero arrabbiata per ciò che quell’uomo, Nathaniel, mi aveva fatto. Per ciò che mi aveva fatto passare. E anche se ringrazio di avere lei, non ringrazierò mai lui. Caroline appartiene a me e al mio Dio. L’ho chiamata cosí in ricordo della mia casa perduta, la Carolina, la terra da cui sono stata strappata contro la mia volontà. E questo è tutto: in quella prigione, con il coltello di Natchez puntato alla gola, a salvarmi è stata Caroline… la mia casa.

Le passai la bottiglia e lei bevve un altro sorso, fu scossa da un fremito e disse: – Mmmm –. Si asciugò di nuovo la bocca con la manica. Poi restò in silenzio per un istante e io rimasi a guardarla in quel silenzio. Quando si voltò per passare a me la bottiglia, mi sembrò diversa, come se la grana della sua storia le si fosse impressa sul viso.

– Non è tutto, – disse. – Quella sera sul tardi, quella stessa sera, mi stavo addormentando accoccolata in un angolo della prigione, coi ratti che correvano avanti e indietro, e le correnti di aria fredda, e alzo gli occhi e vedo un’ombra che incombe su di me. Poi l’ombra si allontana, e io mi chiedo se sia un sogno. Ma dopo un po’ l’ombra torna con uno dei segugi, che apre la porta della cella e dice: «Muoviti».

Non c’è bisogno che lo dica due volte. Subito mi alzo e vedo che quella non è un’ombra. È Corrine Quinn vestita a lutto. E quando sono uscita c’erano la sua carrozza e i suoi servitori. Mi hanno fatto sedere dietro con lei e lei mi ha detto che sapeva cosa mi aspettava, a cos’ero destinata, se Nathaniel avesse saputo della mia fuga. Ma non c’era bisogno che lo sapesse, mi ha garantito. Non c’era bisogno che nessuno lo sapesse. Potevo tornare indietro come se nulla fosse stato. L’unica cosa che mi ha chiesto è stata di poter venire ogni tanto giú alla Strada a parlarmi.

– A parlarti di cosa? – domandai.

– Di come vanno le cose. Te l’ho detto. Ogni tanto passa a chiedermi chi è rimasto qui e chi è andato verso Natchez. Sai, mi sembra sempre una cosa strana. Ma da quando c’è Caroline il mio unico desiderio è proteggere la bambina. Del resto non mi importa.

– Però le ho chiesto di te, – continuò passando un braccio intorno al mio. – Le ho chiesto cosa ti avrebbero fatto. E lei mi ha detto di non preoccuparmi. Che saresti stato via per un periodo, ma poi saresti tornato. Saresti tornato qui.

Non posso dire di averle creduto, Hi. Sai, ho perso tanto nella mia vita, e ho imparato che quel che è andato è andato, e basta. E invece sei tornato davvero.

Ora mi stava guardando, stava guardando dentro di me, con occhi affilati come coltelli. Io sentivo la stanza che mi girava intorno. – Non riesco ancora a crederci, ma sei tornato. Sei tornato da me.

Avevo smesso di pensare. Sentivo le travi e le assi e la calcina che si piegavano su se stesse, e con esse le travi e le assi e la calcina di tutto il mondo, che si chiudevano intorno a noi, a noi due insieme. Tutta la natura sembrava stringersi su di noi, cosí che, quando assaggiai il rum dalle sue labbra, era lo zucchero della vita.

E solo allora capii che in realtà non ricordavo tutto, che c’erano altre cose, oltre a mia madre, che avevo scelto di dimenticare: non le immagini, ma i sentimenti sottostanti. Avevo dimenticato quanto Sophia mi era mancata, quanto ne avevo avuto nostalgia; avevo dimenticato quei giorni a Filadelfia in cui volevo solo che Raymond e Otha mi lasciassero in pace, cosí da poter restare solo col ricordo di lei che danzava accanto a quel grande fuoco festivo. E avevo dimenticato il malessere del desiderio che mi correva nelle vene come un treno sulle rotaie. Avevo dimenticato di aver accettato quel malessere come una tosse da cui non si riesce a guarire, avevo dimenticato i giorni in cui, mentre ero solo, mi piegavo in due e mi stringevo lo stomaco fra le braccia, straziato dalla solitudine. La amavo, ed essendo forse consapevole, già allora, del grande pericolo insito in un tale sentimento, nel Servizio, nella schiavitú, e anche nella Sotterranea, avevo cercato in ogni modo di dimenticarlo, anche se quel sentimento non aveva dimenticato me. E adesso eccolo lí, con noi, fra noi, e quando lei mi accarezzò il viso, quando mi prese il braccio, non lo fece con delicatezza, ma con forza e determinazione, e allora seppi che tutto quel che provavo, tutto il desiderio, tutta la bramosia trattenuta di una giovinezza cieca e violenta, e il profondo bisogno di sfogarla, non erano unicamente miei.

Qualche ora dopo, eravamo nel sottotetto, con gli occhi puntati sul soffitto. Lei mi teneva un braccio sul torace, e muoveva le dita sulla mia spalla come se suonasse un piano.

– Dio mio, sei tu, – disse. – Le tue mani. I tuoi occhi. Il tuo viso.

Ormai era buio da molte ore, perciò presto sarebbe stata mattina, e allora le travi del mondo sarebbero tornate a distendersi e noi saremmo tornati ai nostri posti, ai nostri consueti servizi a Lockless. Ma alcune cose non potevano tornare come prima, e fra queste c’era la nuova consapevolezza che avevo raggiunto, la stessa consapevolezza che si era impadronita di Otha White, l’ossessione che gli impediva di dormire tranquillo senza Lydia. Per la prima volta capivo la Conduzione, capivo che consisteva in una connessione di sentimenti derivanti da ricordi cosí significativi da diventare reali come la pietra e l’acciaio, reali come un gatto di ferro che romba lungo le rotaie facendo volar via i merli dal tendone.

Mentre mi vestivo, e Sophia mi osservava dal sottotetto, guardai la mensola del camino e vidi il cavalluccio di legno che avevo recuperato a casa di Georgie Parks, e vi giuro che quasi scintillava. Poi Sophia scese anche lei, e si mise dietro di me passandomi le braccia intorno alla vita e appoggiandomi la testa sulla schiena, mentre io scrutavo il cavalluccio che tenevo in mano.

– Avanti, – disse. – Prendilo. Te l’ho detto che lei è ancora troppo piccola.

– Già, – dissi. – In effetti.

Allora, col cavalluccio in mano, mi girai verso Sophia, e un’ultima volta, lí nel buio, il mondo attirò le mie labbra verso le sue e ci stringemmo l’uno all’altra come all’albero di un veliero durante una tempesta.

– Va bene, – dissi. – Mi sa che devo andare.

– Mi sa di sí, – disse lei.

– Va bene, – ripetei, e quando uscii in un mondo diverso, lo feci camminando all’indietro per continuare a guardarla in quella luce azzurra che precedeva l’alba, per tenerla con me il piú a lungo possibile.

Tutto sarebbe stato piú facile se in quel momento fossi semplicemente tornato alla Garenna, avessi lucidato gli scarponi e mi fossi dato una strigliata. Invece quella nuova consapevolezza, quello sbloccarsi di vecchie idee, ebbe la meglio su di me. E cosí quel che feci fu imboccare un sentiero che attraverso l’oscurità mi portò a Dumb Silk Road. Lí rischiavo di incontrare i segugi, che ancora pattugliavano le strade per quelli che sarebbero stati gli ultimi fuggiaschi di una Elm County sempre piú spopolata. Ma mentre camminavo passavo le dita sul cavalluccio di legno che avevo fra le mani, e sapevo che, anche se fossero stati gli anni piú floridi, per me i segugi non sarebbero stati una vera minaccia.

Venti minuti dopo, ero di nuovo lí, sulla riva del Goose, che non sembrava un fiume ma una grande massa nera che mi si stagliava davanti. Camminai verso quella massa finché non udii il fiume che sciabordava contro le sponde. Il cielo era coperto, perciò non c’era la luna a illuminare la scena. Ma lí sulla sponda sollevai una mano, la stessa mano in cui tenevo il cavalluccio di legno, e vidi brillare la luce azzurra della Conduzione, e quando guardai di nuovo il fiume, vidi la consueta foschia che mi veniva incontro.

Non avevo bisogno che qualcuno mi spiegasse quel che stava per accadere. Lo feci spinto da un istinto quasi animale – un gesto semplicissimo, una salda stretta sul cavalluccio di legno – e vidi quella nuova foschia che si protendeva verso di me, come i tentacoli bianchi di una bestia mitologica, e mi ghermiva nelle sue fauci.