Capitolo trentunesimo

L’evocazione di una storia, l’acqua, e un oggetto che rendesse il ricordo reale come un mattone: questa era la Conduzione. In quel momento però la mia preoccupazione principale non era cosa fare con quel potere, ma come arrivare alla fine della giornata. La spossatezza si abbatté su di me, la stessa spossatezza che avevo provato in passato, e la stessa che avevo visto abbattersi su Harriet. Riuscii in qualche modo a svolgere i miei compiti, ma appena finito dormii dall’ora di cena fino all’indomani mattina, quando mi alzai per vestire Howell, servirgli la colazione e assisterlo nelle poche incombenze della sua giornata. E quando venne l’ora di cena, una parte di me scintillava luminosa come la Conduzione stessa, perché sapevo che avrei visto Sophia. E quando la vidi, quella sera, sentii che stavo entrando in un altro mondo e mi chiesi se non fosse stato tutto un sogno. Ma lei era lí, con Thena e con Caroline, e vedendomi sorrise e si limitò a dire: – Sei tornato.

Trascorremmo le settimane successive felicemente insieme. All’inizio cercavamo di tenere nascosti i recenti sviluppi. Dopo cena, dopo che Sophia si era ritirata con Caroline, e dopo che io avevo portato a mio padre il suo sidro, gli avevo tenuto compagnia e poi l’avevo messo a letto, scendevo alla Strada. Poi, il mattino prima dell’alba, tornavo in camera mia e mi mettevo a letto per una mezz’oretta, dopodiché mi dedicavo ai miei compiti. Non era cosí bizzarro come sembra. A Lockless, per molti uomini di servizio che avevano moglie e figli in altre piantagioni, quella era stata a lungo la consuetudine. Ma nel mio caso era strano perché lo facevamo dando per scontata la cecità di Thena. E lei non era cieca. Infatti, una sera dopo cena, mentre teneva Caroline in braccio, mi disse: – Sono felice per te –. Nessuno dei due aggiunse altro.

Ma non era di Thena che dovevamo preoccuparci. Nathaniel Walker rivendicava ancora i suoi diritti su Sophia e Caroline, e io sapevo bene cosa accadeva alle persone di servizio che si trovavano a interferire con simili pretese. Corrine poteva averci salvato una volta, ma niente avrebbe potuto salvare né l’uno né l’altra dall’orgoglio ferito di Nathaniel. Fu un bel periodo, uno dei piú belli della mia lunga vita, ma era pur sempre costruito sulle sabbie mobili del Servizio, e sapevamo che prima o poi quelle sabbie avrebbero ripreso a muoversi.

Ai primi di dicembre ci giunse voce che Nathaniel Walker era tornato, e una settimana dopo arrivò l’inevitabile convocazione di Sophia. Mio padre, ancora all’oscuro di quel che stava accadendo intorno a lui, mi disse di accompagnarla. Non posso dire che mi facesse piacere. Ma ormai avevo imparato la lezione: per essere mia, Sophia non avrebbe mai dovuto essere mia. E quel che c’era fra noi non era possessività, ma la promessa di restare insieme, con ogni mezzo necessario, il piú a lungo possibile. E preservare l’illusione fu il mezzo che adottammo quel giorno d’inverno quando la portai a casa di Nathaniel Walker.

Partimmo presto. Nel primo tratto Sophia dormí. Nel secondo chiacchierammo.

– Com’erano le giornate da Corrine? – mi domandò. – Una vasca da bagno con le zampe di leone? Cinque cameriere bianche, tutt’e cinque nude?

Ridemmo.

– Non stai negando.

– Io non nego niente, Sophia.

– A parte le informazioni sul periodo in cui sei stato via. Per Dio, cosa ti hanno fatto?

– Niente. Cioè, in effetti non c’è molto da raccontare.

– Non è di te che mi interessa, Hi. Mi interessa l’interesse di Corrine per me. Ancora non capisco perché non mi abbia lasciato portare verso Natchez.

– Non lo so. Magari per farti un favore.

– Bianchi che fanno un favore alla schiava di qualcun altro? Questa non l’avevo ancora sentita.

Non dissi niente.

– Ho sentito che viaggia molto. È sempre lí che riempie le orecchie di tuo padre di storie sulle scene scandalose a cui ha assistito su nel Nord. Scommetto che durante quelle gite non si porterebbe mai dietro qualcuno di colore.

– Forse. Non lo so.

– Certo che lo sai, Hi. O ci sei andato oppure non ci sei andato.

Continuai a tenere gli occhi fissi sulla strada.

– Comunque è inutile che fai tanto il misterioso. Tu non sei mai stato fuori da questa contea, figuriamoci nel Nord. Altrimenti non ti avrei mai piú rivisto.

– Perché dici cosí?

– Perché se fossi stato lassú con la gente libera, avresti dovuto essere scemo del tutto a tornare quaggiú. Ti garantisco che, se mai io mettessi piede su un centimetro quadrato di terra libera, non sentiresti mai piú parlare di me.

– Hmm. E cosí per noi due sarebbe finita.

– Lo sai che tu non sei fatto per la fuga, no? Ci hai già provato una volta. Ma sei troppo legato a Lockless. Lo dimostra il fatto che tu sia tornato.

– Una scelta non mia. Una scelta non mia.

Arrivammo a casa di Nathaniel Walker a fine mattinata e imboccammo la viuzza laterale, dove aspettammo il messo che ci avrebbe accolto per poi scomparire con Sophia, mentre io avrei dovuto lasciarli alle loro faccende private. Cosa provavo in quel momento? Sicuramente ci sono occupazioni piú nobili che consegnare a un altro uomo la donna che si ama. Ma mi ero allenato per anni a nascondere le cose, e sapevo che, per quanto io soffrissi, Sophia soffriva il doppio di me. E adesso ero piú adulto. Capivo cose che mesi prima non avrei neanche potuto immaginare, perciò in quel momento il mio piú grande desiderio era facilitarle le cose. E cosí, quando notai il silenzio teso che era calato fra noi, e il fatto che Sophia non scherzava come era solita fare, ruppi il silenzio e dissi: – Come ci venivi qui, nel periodo in cui non c’ero?

– A piedi, – rispose lei.

– A piedi fin qui?

– Sí. Portandomi dietro il vestito e tutti gli ammennicoli. Grazie a Dio c’era Thena. Quel fine settimana Caroline l’ho lasciata a lei. L’ho dovuto fare solo una volta, ma ti assicuro che, quando ho ricevuto la convocazione, ero in uno stato disastroso. Però l’ho fatto. Mi sono truccata e vestita e cambiata la biancheria proprio lí dietro quei cespugli.

– Mio Dio…

– Di tutte le cose che ho dovuto fare, è stata quella che mi ha umiliato di piú. Ho dovuto spogliarmi completamente, in mezzo a quei cespugli, temendo che arrivasse qualcuno. L’unica cosa che mi dava coraggio era canticchiare, canticchiare sottovoce tra me e me.

Fece un respiro lungo e affannoso, poi aggiunse: – Non pensare che non li odi. Non osare pensarlo.

E mentre diceva questo, il suo volto si trasformò in una maschera da boia. Niente fronte aggrottata o sopracciglia sollevate. Nessun sorriso sulle labbra. Nessuna luce negli occhi marroni. Il suo volto rispecchiava l’odio di cui stava parlando. Scrollò il capo e disse: – Le cose che gli avrei fatto, Hi. Le cose di cui sarei stata capace. Tu mi vedi qui ora, in questo corpo minuto… Be’, se le mie mani, le mie braccia, fossero come quelle degli uomini, quel che avrei fatto avendone la forza… Ci ho pensato, sai. Dio mio, ci pensavo, pur avendo questo corpo, a quel che gli avrei fatto mentre dormiva, con un coltello da cucina, o una tintura nel tè, o una polverina bianca nella torta… Ci pensavo molto spesso, e, be’, poi avevo la mia Caroline, ed era questo che contava. E io sono una brava donna, Hi, ti assicuro che lo sono. Ma quel che gli avrei fatto, avendone l’occasione, quel che gli avrei fatto…

Lasciò la frase in sospeso, smarrita nei suoi pensieri. Dopo una ventina di minuti, un uomo di servizio ben vestito emerse dal sentiero in mezzo al bosco. Si avvicinò al calesse e ci rivolse un severo sguardo di disapprovazione. – Oggi non può riceverti. Ti farà sapere.

Poi si voltò e si allontanò di nuovo lungo il sentiero.

– Ha detto qualcos’altro? – gli gridò dietro Sophia. Ma l’uomo non si girò e, se anche aveva sentito la domanda, evidentemente non aveva alcuna intenzione di rispondere.

Restammo lí ancora per qualche minuto, incerti sul da farsi. Poi Sophia mi guardò con un sorriso sarcastico e disse: – Sarai contento, no?

– Non sono scontento, – risposi. – E stando a quel che dicevi prima, proverai anche tu la stessa cosa, immagino.

– Sí. Sí. Però è strano. Non è mai successo prima.

Restò in silenzio per un istante, riflettendo su una cosa che le era venuta in mente.

– Cosa c’è? – chiesi.

– Secondo me è opera tua, – disse. – Non so come hai fatto, ma scommetto che sei stato tu.

Accennai una risata, scossi la testa e dissi: – È sconcertante quello che pensi di me. Credi che io abbia dei poteri sui bianchi? O che sia una specie di stregone?

– Sicuramente sei una specie di qualcosa…

Ridemmo. Tirai le redini e riprendemmo la strada del ritorno a Lockless.

– Scusa, Hiram, – disse lei. – Lo sai che non vorrei mai essere là. Vorrei essere lontana mille miglia. Però, se proprio lo devo fare, preferisco togliermi il pensiero il prima possibile. Non sopporto che la cosa rimanga in sospeso. Con lui sono una schiava. Ma da quando tu sei tornato mi sento libera come non mi sono mai sentita prima. E anche se so che la vera libertà non è questa, è già qualcosa. E la voglio.

Poi si sporse in avanti e mi diede un leggero bacio sulla guancia. – La voglio il piú possibile.

Oh, essere ancora lí, essere di nuovo giovane. Rivivere l’alba della mia vita, quando il sole di ogni cosa si affacciava all’orizzonte, e tutte le promesse e le tragedie erano ancora a venire. Essere lí su quel calesse, con un lasciapassare per la giornata, e una ragazza che amavo piú di qualunque altra cosa, negli ultimi giorni dolenti della vecchia e desolata Virginia. Oh, essere lí con tanto tempo davanti, tanto tempo per sognare di proseguire dritto lungo quella strada della Elm County finché la fortuna non ci avesse abbandonato.

Continuammo ad andare, parlando dei vecchi tempi e di tutti gli Scomparsi della Elm County: Thurston, Lucille, Lem, Garrison. Parlammo di come se n’erano andati, di come avevano reagito quando Natchez se li era presi. Alcuni tacendo. Alcuni cantando. Alcuni ridendo. Alcuni ancheggiando.

– Cosa ne è stato di Pete? – chiesi.

– L’hanno mandato oltre il ponte, circa un mese prima che tu tornassi, – disse Sophia.

– Pensavo che Howell non avrebbe mai rinunciato a lui. Quell’uomo ci sapeva fare coi frutteti.

– Ormai se ne sono andati tutti. Verso Natchez. Come tutti gli altri. Come capiterà anche a noi, molto presto. Tutti andati. Tutto finito.

– No. Noi siamo dei sopravvissuti, io e te. Anche se con mezzi diabolici, siamo dei sopravvissuti. Forse non molto piú di questo. Ma siamo, ne sono convinto, dei sopravvissuti.

L’inverno non si era ancora manifestato pienamente, e quella era una mattina limpida e frizzante. Stavamo percorrendo un tratto rialzato, e si vedeva il Goose, e la sponda opposta, verso Starfall, e in lontananza il ponte da cui mi ero condotto in quest’altra vita.

– Ma se invece, Sophia, non lo fossimo?

– Cosa?

– Tutti andati. Tutto finito. Se invece ci fosse un modo per andare oltre tutta l’infelicità che abbiamo visto qui?

– Altri sogni campati in aria? Lascia perdere. Te lo ricordi com’è andata, no?

– Me lo ricordo bene. Ma siamo legati, proprio come dici tu. È come se avessimo piú anni di quelli che abbiamo. Dipende da dove abbiamo vissuto, da quello che abbiamo visto. Siamo fuori dal tempo, io e te. La loro magnificenza si sta sgretolando davanti ai nostri occhi. Ma se non dovessimo per forza sgretolarci con loro? Sappiamo bene che loro stanno andando in rovina, Sophia. Ma se non dovessimo per forza seguirli?

Ora mi stava fissando.

– Non posso, Hiram, – disse. – Non cosí. Non un’altra volta. Lo so che in te c’è qualcosa. E quando sarai pronto a dirmi che cos’è, allora sarò con te. Ma non posso di nuovo fidarmi sulla parola. Questa volta non si tratta solo di me, quindi, se in te c’è qualcosa, ho bisogno di sapere che cos’è. Te l’ho detto. Ammazzerei qualcuno pur di togliermi da qui, ammazzerei pur di salvare mia figlia.

– In questo caso ammazzare qualcuno non serve, – dissi.

– No, non serve. Si può solo scappare. Ma devo sapere come e devo sapere per cosa.

Nel resto del tragitto non parlammo molto, avendo entrambi la mente occupata da quel che era stato detto e dagli eventi della giornata. Ma al nostro arrivo a Lockless trovammo Thena seduta all’imbocco della galleria con la testa fra le mani e una benda avvolta intorno alla testa. Era in abiti da lavoro e senza cappotto. Di Caroline non c’era traccia.

– Thena! – dissi.

– Sí? – disse lei.

– Cos’è successo? – disse Sophia. – Caroline dov’è?

– Dentro che dorme, – disse Thena.

Sophia si precipitò nella galleria. Io mi accovacciai e toccai la tempia di Thena, dove sulla benda si era formata una macchia di sangue.

– Thena, cos’è successo? – chiesi.

– Non lo so, – disse lei. – Non… non riesco a ricordare.

– Dimmi quello che ricordi.

Strizzò gli occhi. – Non… non…

– Va bene, va bene, – dissi. – Vieni, andiamo dentro.

Mi passai il suo braccio intorno al collo e la sollevai, e mentre lo facevo vidi Sophia che sbucava dalla galleria.

– Sta bene. Dorme, come aveva detto Thena, – disse. – A quanto pare l’ha messa nel tuo letto, e… non capisco perché –. Poi scoppiò a piangere e disse: – Hiram, gliel’hanno portato via. Ho capito cos’hanno fatto. Gliel’hanno portato via.

Avanzammo di qualche passo e sentii che Thena strascicava i piedi. Allora la presi in braccio e la trasportai cosí. – Reggiti, – dissi. Passammo prima davanti alla stanza di Thena, e quello che vidi fu mezza sedia per terra e frammenti di legno ovunque. Andammo nella mia stanza, dove Caroline stava cominciando a svegliarsi. Sophia scostò le coperte e la prese. Io feci distendere Thena al suo posto e la coprii.

Poi chiesi a Sophia: – Che diavolo è successo?

Lei scosse la testa. Stava ancora piangendo.

Tornai nella stanza di Thena. Sembrava che qualcuno avesse distrutto tutto con una scure: il letto, la mensola del camino, l’unica sedia. Poi guardando bene vidi qual era stato l’obiettivo: la piccola cassaforte, che era spaccata in due. Inginocchiandomi trovai alcuni vecchi ricordi: perline, occhiali, un paio di carte da gioco. Ma non vidi il denaro guadagnato come lavandaia che Thena aveva coscienziosamente accantonato ogni settimana per pagarsi la libertà. Restai lí per un momento a chiedermi chi potesse essere stato. Avevo sentito raccontare di vecchi padroni che stringevano degli accordi e poi ritrattavano, tenendosi tutti i soldi per sé. Ma con Thena non avrebbe avuto senso: era vecchia e disposta a risarcire Howell per la propria libertà e a sollevarlo dal peso del suo mantenimento. E poi quella violenza, quella devastazione, facevano pensare a qualcuno che non avesse altro modo per fare pressioni su Thena. Perciò, chiunque fosse stato, doveva appartenere alla Servitú.

Non ci si rende conto di quanto abbiamo bisogno delle persone finché non se ne sono andate. A quel punto a Lockless restavano all’incirca venticinque anime. Ma non era piú come prima, quando, anche se eravamo piú numerosi, ci conoscevamo tutti. Ora conoscevo solo alcuni di quelli che vivevano nella Strada, e ancora meno di quelli che stavano nella Garenna. Ai vecchi tempi c’erano uomini, medici degli schiavi, che avrebbero potuto visitare Thena. Ma se n’erano andati tutti, spediti lontano, ed eravamo stati lasciati a noi stessi. Pensai a Filadelfia, e al senso di calore che mi trasmetteva il sapere che c’era sempre qualcuno vicino, ed ebbi l’impressione che Lockless fosse diventata un posto senza legge. A chi avrei potuto riferire l’aggressione subita da Thena? A mio padre? E quale sarebbe stata la sua reazione? Spedire ancora altre persone oltre il ponte? E come accertarsi che fra loro ci fosse il vero colpevole?

Nella settimana successiva modificammo le nostre abitudini. Lasciammo la Garenna e ci trasferimmo, tutt’e quattro, nella vecchia baracca di Thena nella Strada. Lí ci sentivamo piú sicuri, e per me l’unico svantaggio era che la mattina mi dovevo alzare un po’ prima per arrivare in tempo da mio padre. Non lasciavamo mai sola Thena. Sophia si occupava del bucato e io l’aiutavo come potevo la domenica, andando a prendere l’acqua, raccogliendo la legna e strizzando la biancheria. Dopo una settimana, Thena era tornata piú o meno normale. Ma il terrore provato durante l’aggressione l’aveva cambiata, e per la prima volta da quando la conoscevo colsi sul suo volto un’espressione di vera paura, paura di quel che sarebbe potuto succedere se fossimo rimasti a Lockless. E fu allora che mi tornò in mente Kessiah, e capii che l’ora di mantenere le mie promesse era giunta.

Thena non era il mio unico motivo di ansia. Venni a sapere da mio padre che Nathaniel non era mai tornato dal Tennessee, sebbene avesse mandato a chiamare Sophia, essendo stato trattenuto da alcuni affari urgenti. Di cosa si trattasse non potevo saperlo. Ma pensai che forse le sue intenzioni riguardo a Sophia potevano andare oltre quel che avevo immaginato fino ad allora. E non ero l’unico a pensarlo.

Sophia mi chiese: – Pensi mai che potrei finire anch’io là?

Eravamo nel sottotetto, con gli occhi rivolti verso le travi nell’oscurità. Caroline dormiva in mezzo fra noi due, mentre al piano di sotto Thena russava piano.

– Sí, – risposi, – ci penso. Soprattutto negli ultimi tempi.

– Lo sai cos’ho sentito? – disse.

– Cosa?

– Ho sentito che in Tennessee le cose sono diverse. Ho sentito che è lontano da questa società e che ci sono costumi diversi, e che ci sono uomini bianchi che si prendono come mogli delle donne di colore. E continuo a chiedermi se Nathaniel, con le sue manie, ad esempio il fatto di farmi vestire da…

Lasciò la frase in sospeso, come se fosse stata distratta da un altro pensiero, poi disse: – Hiram, forse mi sta facendo fare pratica? Ha in mente di rompere con le convenzioni e portarmi in Tennessee come moglie?

– È questo che vuoi? Il Tennessee? – chiesi.

– Diamine, secondo te è questo che voglio? Non l’hai ancora capito? Quello che voglio è quello che ho sempre voluto, quello che ti ho sempre detto di volere. Voglio che le mie mani, le mie gambe, le mie braccia, il mio sorriso, ogni singola, preziosa parte di me, siano mie e solo mie.

A quel punto si voltò a guardarmi e, sebbene stessi ancora fissando il soffitto, sentii i suoi occhi su di me.

– E se dovessi sentire un bisogno, dovessi sentire il desiderio di dare tutto questo a qualcun altro, sarà un mio bisogno, un mio desiderio. Lo capisci, Hiram?

– Sí.

– Invece no. Non puoi capirlo.

– Allora perché continui a ripetermelo?

– Non lo ripeto a te, lo ripeto a me stessa. Ricordo le promesse che ho fatto a me stessa e alla mia Caroline.

Restammo in silenzio finché non ci addormentammo. Ma io non dimenticai quella conversazione. Non c’era dubbio che il momento fosse arrivato. Avevo fatto il mio dovere, tenendo informato Hawkins. E soprattutto avevo dischiuso a me stesso il segreto della Conduzione. Ora toccava a Corrine Quinn rispettare la sua parte dell’accordo.

Vennero le Feste. Sarebbero state giornate malinconiche. Quell’anno il clan dei Walker non si sarebbe riunito e, ora che Maynard non c’era piú, mio padre rischiava di trascorrere da solo il periodo natalizio. Ma Corrine Quinn, che gli si era sempre piú avvicinata, alleviò la sua solitudine arrivando a Lockless col proprio seguito, che questa volta non si limitava ai soli Hawkins ed Amy. C’erano cuochi, cameriere e altri domestici di sua fiducia. E per intrattenere mio padre, ormai anziano, Corrine portò anche una sfilza di amici e cugini. Quella folla gli fece un gran piacere, perché era un pubblico disposto ad ascoltare rapito i suoi racconti sulla vecchia Virginia.

Ovviamente era tutta una messinscena. Ognuno di quei cuochi, domestici e cugini era un agente – alcuni li conoscevo dal periodo del mio addestramento a Bryceton, altri per averli visti alla stazione di Starfall. Ormai il piano mi era chiaro. Man mano che la Elm County decadeva e precipitava nell’obsolescenza, e la Qualità abbandonava il paese, la Sotterranea approfittava dello spazio rimasto vuoto per espandere la sua guerra. Oggi, col senno di poi, devo dire che mi sento pieno di ammirazione. Corrine era audace, priva di scrupoli, ingegnosa e, mentre la Virginia viveva nella paura di un altro Gabriel Prosser o Nat Turner, ciò che avrebbero davvero dovuto temere si annidava in casa loro, nelle vesti della gentildonna, sotto una maschera di raffinata educazione, delicata eleganza e incrollabile grazia.

All’epoca invece non riuscivo a vedere la sua genialità, perché, per quanto uniti nelle nostre intenzioni, seguivamo percorsi divergenti. Per me gli uomini di servizio erano persone, non armi, non un carico da trasportare, ma persone con una propria vita, una propria storia e un proprio lignaggio, tutte le cose che ricordavo di loro, e piú prestavo servizio nella Sotterranea, piú questa percezione si consolidava. E cosí quel giorno, l’ultimo dell’anno, quando insistetti su quel che andava fatto, ci trovammo su fronti opposti.

Stavamo passeggiando lungo la Strada. La nostra copertura era semplice: Corrine aveva espresso il desiderio di fare un giro delle vecchie baracche e io le stavo facendo da guida. Cosí l’avevo scortata giú dalla grande casa chiacchierando del piú e del meno, finché non ci eravamo lasciati alle spalle i giardini e i frutteti ed eravamo arrivati alla Strada.

– Quando sono tornato da Howell, l’ho fatto con la promessa che una famiglia sarebbe stata condotta a nord, – dissi. – Il momento per quella conduzione è questo.

– Perché questo? – chiese lei.

– Un paio di settimane fa è successa una cosa. Qualcuno ha aggredito Thena. Le ha dato una botta in testa col manico di una scure e poi le ha svaligiato la stanza. Le ha portato via tutti i soldi che aveva messo da parte col suo lavoro di lavandaia.

– Santiddio, – disse lei, e un’espressione di sincero rincrescimento si fece largo attraverso la sua maschera di gentildonna. – Avete trovato il colpevole?

– No. Lei non se lo ricorda. E poi con tutto il viavai che c’è in questo periodo… è difficile a dirsi. Conosco meglio la gente del tuo seguito che quella che lavora qui.

– Dobbiamo indagare?

– No. Dobbiamo portarla via.

– Ma non solo lei, vero? C’è anche l’altra… la tua Sophia.

– Non è mia. È Sophia e basta.

– Accidenti, – disse lei con un sorrisetto. – Quanto sei cresciuto in un solo anno? Davvero notevole. Sei proprio uno di noi. Perdonami, ma è una cosa che lascia di stucco.

Mi stava scrutando con aria sbalordita, anche se ora penso che non stesse tanto ammirando me quanto il frutto della sua fatica, e che a sbalordirla non fossi tanto io quanto i suoi stessi poteri.

– Ora ricordi? – mi chiese.

– Ricordo cosa?

– Tua madre. Ti sono tornate delle reminiscenze di lei?

– No. Ma ho avuto altre cose di cui preoccuparmi.

– Oh certo, perdonami. Sophia.

– Temo che Nathaniel Walker voglia rivendicare i suoi diritti e portarla con sé in Tennessee.

– Oh, di questo non ti devi preoccupare.

– Perché?

– Perché ho preso degli accordi con lui un anno fa. Fra una settimana il suo titolo di proprietà passerà a me.

– Non capisco.

Mi rivolse uno sguardo perplesso.

– Davvero? – disse. – Lei ha avuto un figlio da lui, no?

– Sí, – confermai.

– Allora devi capire. Dopotutto anche tu sei un uomo, una creatura semplice con passioni intense ma brevi, con bramosie soggette ad alti e bassi. E lo è anche tuo zio, il tuo uomo di Qualità, Nathaniel Walker. E ora che è in Tennessee ha un intero campo su cui sfogare le proprie voglie. Che bisogno avrebbe di Sophia?

– Ma l’ha mandata a chiamare, – dissi. – L’ha mandata a chiamare neanche due settimane fa.

– Non mi stupisce, – disse lei. – Magari in ricordo dei vecchi tempi.

Corrine Quinn era uno degli agenti piú fanatici che io abbia mai conosciuto nella Sotterranea. E tutti i fanatici erano bianchi. Consideravano lo schiavismo un insulto, un affronto personale, una macchia sul loro buon nome. Avevano visto donne portate nei postriboli, padri denudati e frustati davanti ai figli, intere famiglie ammassate come bestiame in carrozze ferroviarie, battelli a vapore e celle di prigioni. Lo schiavismo li umiliava perché metteva in crisi la loro convinzione di essere fondamentalmente buoni. E quando i loro cugini perpetravano quelle pratiche abiette, non potevano non ricordarsi della facilità con cui loro stessi avrebbero potuto fare lo stesso. Per quanto considerassero barbari i loro pari, erano comunque loro pari. Perciò alla base della loro lotta c’era una sorta di vanità, e in loro l’odio per lo schiavismo era molto piú forte dell’amore per lo schiavo. Corrine non faceva eccezione, ed era per questo che, nonostante la sua implacabile opposizione alla schiavitú, aveva potuto con tanta disinvoltura farmi chiudere in quella buca, far ammazzare Georgie Parks e parlare cosí a cuor leggero dell’oltraggio subíto da Sophia.

In quel momento non ero ancora giunto a queste conclusioni. A dominarmi non era la logica ma la rabbia, la rabbia per le calunnie rivolte non a qualcosa che mi apparteneva ma a qualcuno che mi aveva consentito di superare la notte piú buia della mia vita. Però quella rabbia non la lasciai trasparire. Ero abituato a indossare una maschera da ben prima di conoscere Corrine. Quindi mi limitai a dire: – Le voglio lontane da qui. Tutt’e due.

– Non ce n’è bisogno, – disse Corrine. – Il titolo di proprietà della ragazza passa a me, quindi lei è salva.

– E Thena?

– Hiram, non è il momento. Ci sono moltissime cose in ballo, e dobbiamo stare attenti a non metterle a repentaglio. I poteri della Elm County sono diminuiti e noi diventiamo ogni giorno piú forti, ma dobbiamo stare attenti. E io ho già fatto tante cose che potrebbero destare sospetti. C’è stato quello che abbiamo fatto a Starfall. C’è stata la tua fuga, e quella della ragazza. Te l’ha detto che mi sono occupata io di lei?

– Sí.

– Allora devi capire. Ci sono troppe cose da affrontare tutte insieme. Se mai venissimo scoperti, sarebbero in molti a patirne –. Adesso aveva abbandonato il suo tono beffardo ed era diventata quasi supplichevole. – Hiram, ascoltami, – disse. – Il servizio che hai prestato alla Sotterranea è stato di grande valore. Le informazioni su tuo padre ci hanno fornito delle opportunità che neanche immaginavamo. Anche se non sei riuscito a padroneggiare la Conduzione, hai dimostrato di valere il rischio che abbiamo corso portandoti via da qui. Ma ci sono molti aspetti di cui tener conto. Cosa si penserebbe se la consorte di Nathaniel Walker sparisse subito dopo che il suo titolo di proprietà è passato a me? E questa Thena ha messo in piedi un’attività di lavandaia. La gente non si chiederebbe perché tutt’a un tratto ha smesso di farsi vedere? Dobbiamo stare molto attenti, Hiram.

– Mi hai fatto una promessa, – dissi.

– Sí, è vero, – disse lei. – E ho intenzione di mantenerla. Ma non ora. Abbiamo bisogno di tempo.

La fulminai con gli occhi. Era la prima volta che la guardavo senza il rispetto richiesto dalla Virginia. Quel che aveva detto non era irragionevole. Anzi, era giusto. Ma ero furioso perché aveva parlato cosí alla leggera di Sophia, e poi c’erano i miei sentimenti, la mia vergogna per aver consegnato cosí tante volte Sophia a quell’oltraggio, per aver abbandonato Thena ed essere scappato, e poi aver lasciato che venisse aggredita, per non aver impedito che mia madre venisse venduta, e non averla vendicata. Tutte queste cose mi tormentavano, e le avevo espresse nello sguardo che avevo rivolto a Corrine.

– Non puoi farlo, – disse lei. – Avrai bisogno di noi, e noi non lo consentiremo. Non ci esporremo alla rovina per un’effimera infatuazione. Non puoi farlo.

Poi si rese conto di qualcosa, e quella consapevolezza le si disegnò a poco a poco sul viso manifestandosi in un’espressione inorridita.

– O forse puoi, – disse. – Hiram, sarai la nostra dannazione. Pensa. Non lasciarti dominare dalle emozioni. Pensa. Non lasciarti dominare dal senso di colpa. Non hai il diritto di mettere a repentaglio la vita di tutti coloro che potrebbero essere soccorsi. Pensa, Hiram.

Ma io stavo pensando. Stavo pensando a Mary Bronson e ai suoi figli scomparsi. Stavo pensando a Lambert morto in Alabama e a Otha che stava attraversando il paese per la libertà della sua Lydia. Lydia, che aveva patito ogni oltraggio per la prospettiva di una famiglia.

– Pensa, Hiram, – ripeté Corrine.

– Sei stata tu a dirmi che la libertà era un padrone, – replicai. – A dirmi che era un negriero. A dirmi che nessuno può volare, che siamo legati alla ferrovia. «Lo so, – hai detto. – E dato che lo so, devo servire».

– Io sono solidale con te. Lo so che cosa ti è successo.

– No, non lo sai. Non puoi saperlo.

– Hiram, promettimi che non sarai la nostra rovina.

– Prometto che non sarò la nostra rovina, – dissi. Ma lei non si lasciò ingannare, e meno dico del resto del nostro colloquio meglio è, perché adesso, dopo tutti questi anni, ho per lei il massimo rispetto. Stava parlando con totale fiducia e sincerità. E anch’io.