Adesso potevo contare solo su me stesso, e se volevo usare la Conduzione dovevo arrivarci da solo. E mi sembrava che non avesse piú senso tenere nascosto quel che mi era accaduto durante la mia assenza. Dovevo raccontarlo a tutt’e due, a Sophia e a Thena. Decisi che gliel’avrei detto separatamente, perché la mia confessione a Thena implicava questioni molto piú grandi della Sotterranea. Quindi avrei cominciato con quella che mi sembrava la confessione piú semplice, quella a Sophia.
Thena aveva cominciato ad avere degli incubi, probabilmente a causa dell’aggressione. E cosí avevamo preso l’abitudine, nelle notti piú agitate, di lasciare di sotto a dormire con lei Caroline, che aveva l’effetto di tranquillizzarla. E fu in una di quelle notti che mi parve giunto il momento.
– Sophia, – dissi, – sono pronto a spiegarti per cosa e sono pronto a spiegarti come.
Stava fissando le travi del tetto a due falde, e a quel punto si girò verso di me rincantucciandosi sotto la coperta di tela grezza.
– Si tratta di dove sono stato, – dissi. – Dove sono stato e cosa è successo quand’ero lí.
– Non eri a Bryceton? – disse lei.
– Sí. Ma quello è stato solo l’inizio.
Anche in quell’oscurità vedevo i suoi occhi, e non riuscivo a reggere il suo sguardo. Mi girai dall’altra parte, dandole la schiena. Inspirai profondamente, ed espirai.
Poi le raccontai che, nel periodo in cui ero stato via, avevo visto un altro paese, e respirato l’aria leggera del Nord, che mi svegliavo quando volevo e andavo dove mi pareva, che ero stato addestrato a Baltimora, avevo camminato nella bolgia di Filadelfia e avevo viaggiato nell’interno dello stato di New York, e che tutto questo l’avevo fatto grazie alla mia affiliazione a quell’agenzia della libertà che lei conosceva solo per sentito dire: la Sotterranea.
E le raccontai com’era successo, come Corrine Quinn mi aveva trovato, come mi avevano addestrato a Bryceton, come anche Hawkins ed Amy fossero della partita. Le raccontai come Georgie Parks era stato annientato, e quale era stato il mio ruolo in quell’annientamento. Le raccontai della famiglia White, come mi aveva voluto bene, come aveva salvato Mary Bronson, come Micajah Bland aveva sacrificato la propria vita. Le raccontai come avevo conosciuto Mosè, come Kessiah era scampata alla vendita all’asta, e le dissi che si ricordava di Thena, e che le avevo promesso di condurre Thena, e che ora avevo un piano per condurre anche lei.
– Ho promesso di portarti via da qui, – dissi. – E intendo mantenere la mia promessa.
Mi girai e trovai i suoi occhi ad attendermi. Erano come spenti: non tradivano alcuna meraviglia o sorpresa, alcuna emozione.
– Per questo sei tornato, – disse. – Per mantenere la tua promessa.
– No, – dissi. – Sono tornato perché mi hanno detto di farlo.
– E se non te l’avessero detto?
– Sophia, quand’ero lassú pensavo tutto il tempo a te, – replicai. Allungai una mano e le accarezzai il viso. – Ero preoccupato per te, preoccupato per quello che potevano averti fatto…
– Ma mentre tu ti preoccupavi io ero quaggiú. Non sapevo cosa sarebbe successo. Non sapevo cosa ne era stato di te. Non sapevo niente delle intenzioni di quella Corrine.
– Ha rilevato da Nathaniel il tuo titolo di proprietà. Non andrai in Tennessee.
Lei scrollò il capo e disse: – E cosa ne dovrei pensare? Tu sei tornato e ora mi racconti questa storia e, Hiram, io ti credo, ti credo davvero, ma a te ti conosco, invece a loro non li conosco.
– Però a me mi conosci bene. E mi dispiace per come sono andate le cose, ma ora ti ho ascoltato, ho ascoltato quello che hai detto fin dall’inizio. E capisco che non si tratta solo di te, ma anche di Caroline. Io vi porterò via. E porterò via anche Thena.
– E tu?
– Io resto qui finché non mi dicono altrimenti. Ormai sono parte di questa cosa. Ed è piú importante di me e dei miei desideri.
– È anche piú importante di me, – disse lei. – Piú importante di questa bambina che hai detto che è sangue del tuo sangue.
Ci fu un lungo silenzio, poi Sophia si girò di nuovo a fissare le travi del soffitto.
– E ancora non mi hai spiegato come, – disse. – Te l’ho detto, che avevo bisogno di sapere come.
– Come, eh?
– Sí, come.
– Allora andiamo.
– Cosa?
– Hai detto che vuoi sapere come. Allora, vuoi saperlo o no?
A quel punto stavo già scendendo la scala. Sulla porta mi infilai gli scarponi e mi avvolsi nel giaccone pesante. Guardandomi indietro, vidi che Sophia stava fissando Caroline che dormiva stretta al seno di Thena.
– Andiamo, – dissi.
Percorremmo quell’itinerario che per me ormai era diventato sacro. Avevo continuato a fare pratica, a sperimentare coi poteri e la portata della memoria, perciò, quando qualche minuto dopo arrivammo sulla sponda del fiume Goose, sentivo di avere il pieno controllo della situazione.
Mi voltai verso Sophia e dissi: – Sei pronta? – Lei roteò gli occhi e scosse la testa. Le presi la mano, mentre nell’altra mano tenevo il cavalluccio di legno.
Poi la guidai verso la riva, e mentre camminavamo le parlai di quell’ultima notte di Festa in cui eravamo stati tutti insieme, e piú che parlarne la evocavo, la rendevo reale: Conway e Kat, Philipa e Brick, Thena furente davanti al fuoco: «La terra, negri, – aveva detto. – La terra». E poi ricordai Georgie Parks, Amber e il loro figlio appena nato. E ricordai altri uomini e donne liberi: Edgar e Patience, Pap e Grease. E avevo appena cominciato a pensarci quando sentii Sophia sobbalzare e stringermi la mano, e capii che era cominciata.
C’era un banco di nebbia che copriva il fiume, e li vedemmo lí sopra: fantasmi che ci volteggiavano davanti, in quell’azzurro spettrale, tutti coloro che erano stati presenti quella notte di Festa. Georgie Parks suonava il suo scacciapensieri, Edgar il banjo, Pap e Grease ululavano, e gli altri stavano in cerchio e danzavano intorno al fuoco. Li sentivamo non con le orecchie, ma nel profondo, sottopelle. Quel banco di nebbia sembrava vivo, perché le sue dita vaporose sembravano muoversi a tempo con la musica, sembravano protendersi verso di noi e, a ritmo, farci segno di unirci a loro.
Fu semplice accettare l’invito: bastò una stretta al cavalluccio di legno. Appena lo feci, quelle dita scattarono in avanti, ci afferrarono, ci trascinarono con loro e poi ci mollarono. Sentii Sophia che incespicava, e le tenni forte la mano. Quando si fu ripresa, mi guardò esterrefatta. Poi, alzando gli occhi, vedemmo che davanti a noi c’era la foresta, mentre il fiume, il banco di nebbia e i fantasmi erano alle nostre spalle. Guardandoci indietro, capimmo cos’era successo: eravamo stati condotti attraverso il fiume fino all’altra sponda.
Abbassammo gli occhi e vedemmo che i tentacoli azzurri della foschia si stavano ritirando, e udimmo la musica che riprendeva, facendosi sempre piú forte: Georgie ancora allo scacciapensieri, Edgar al banjo, gli altri che ululavano e danzavano. Poi vedemmo di nuovo le dita di nebbia che si protendevano verso di noi, chiamandoci e muovendosi a ritmo. Allora tirai fuori dalla tasca il cavalluccio di legno e lo sollevai in alto, ed emanava una luce azzurra. E guardai Sophia e poi lo strinsi di nuovo e la foschia scattò in avanti, ci afferrò e ci trascinò sulla sponda opposta del fiume. Quando ci ebbe mollato, Sophia incespicò e cadde. Io la aiutai a rialzarsi e ci voltammo di nuovo e udimmo la musica che si alzava, e vedemmo, di nuovo, le dita di nebbia che ci chiamavano.
– È come una danza, – dissi.
Strinsi di nuovo il cavalluccio, e questa volta Sophia si appoggiò alla nebbia con tutto il suo peso, abbandonandosi a essa, cavalcandola, e cosí atterrò salda sui propri piedi. Strinsi di nuovo e fummo di nuovo condotti. Strinsi di nuovo e fummo condotti. Strinsi di nuovo e fummo condotti. Poi, pensando alla vecchia casa di Thena e ai giorni trascorsi lí con lei, e a quello che mi era stato fatto in tutti quegli anni, strinsi di nuovo, e i tentacoli azzurri ci afferrarono, e questa volta, quando ci mollarono, eravamo tornati nella Strada, e mentre la nebbia si ritirava, l’ultima immagine che ci si presentò davanti fu quella di una donna che faceva la danza dell’acqua con una brocca sulla testa, si allontanava continuando a danzare, e poi, con una grazia stupefacente, inclinava il capo per far scivolare giú la brocca e allungando una mano la prendeva per il collo, rideva, beveva un sorso e, mentre scompariva, la offriva a qualcuno che non vedevamo.
Quando tornammo alla baracca, Sophia salí nel sottotetto. Io cercai di seguirla, ma mi accasciai a terra come un peso morto, con uno schianto cosí forte che svegliai Thena.
– Che diavolo stai facendo? – gridò.
– Siamo usciti a prendere un po’ d’aria, – disse Sophia.
– Un po’ d’aria, eh? – disse lei scettica.
Sophia mi tese una mano e mi aiutò a salire la scala, e appena arrivato in cima sprofondai in un sonno senza sogni. Mi svegliai l’indomani mattina presto e mi trascinai attraverso i miei servizi.
La notte successiva eravamo coricati come al solito nel sottotetto a chiacchierare.
– Dov’è che hai visto per la prima volta la danza dell’acqua? – chiesi.
– Non me lo ricordo neanche, – disse lei. – Nel posto da dove vengo la ballano tutti. Alcuni meglio di altri. Ma laggiú cominciano fin da piccoli. È legata a quel posto, sai?
– No. Non ho mai saputo da dove veniva.
– C’è dietro una storia. C’era un grande re portato via dall’Africa insieme al suo popolo su una nave negriera. Ma quando sono quasi arrivati, lui e i suoi si rivoltano, uccidono tutti i bianchi, li buttano in mare e cercano di tornare a casa. Ma la nave si arena, e guardandosi intorno il re vede che sta arrivando l’esercito dei bianchi, coi cannoni e tutto. Allora dice ai suoi di calarsi in acqua e danzare camminando sull’acqua, e che è stata la dea dell’acqua a portarli lí e ora la dea dell’acqua li riporterà a casa.
E quando danziamo come facciamo noi, con la brocca d’acqua in equilibrio sulla testa, lo facciamo in omaggio a coloro che danzarono sulle onde. Abbiamo capovolto la cosa. Come siamo sempre costretti a fare per trovare una via d’uscita da quel che ci è dato. Non è quello che hai fatto tu ieri notte? Non è quello che dici di fare? Capovolgere la cosa. È quello che ha fatto Santi Bess, no? Ieri notte, quando siamo tornati indietro, mi veniva solo da pensare a lei. Quel re. La danza dell’acqua. Santi Bess. Tu.
«È come una danza». Non è questo che hai detto? È quello che ha fatto Santi Bess. Non ha camminato sull’acqua. Ha danzato, e ha trasmesso a te quella danza.
Ed è per questo che quelli della Sotterranea ti sono venuti a cercare.
– Già, – dissi. – L’avevo fatto altre volte, ma senza deciderlo io. E loro ne avevano avuto sentore, e mi tenevano d’occhio. E poi, dopo Maynard, be’…
– È cosí che è andata, eh? È cosí che sei venuto fuori dal Goose. È cosí che ci porterai via da Lockless.
– Sí. Però c’è un problema, un problema che non so ancora come risolvere. La cosa funziona grazie ai ricordi, e piú i ricordi sono profondi, piú ti portano lontano. I miei ricordi di quella notte di Festa sono legati a Georgie, e a questo cavalluccio che gli avevo regalato per il suo bambino. Ma per condurre qualcuno piú lontano ho bisogno di ricordi piú profondi, e di un altro oggetto legato a quei ricordi che mi faccia da guida.
– Che ne dici di quella moneta che tenevi sempre con te?
– Sí, ci ho provato. Ma non riesce a portarmi abbastanza lontano. Una cosa è attraversare un fiume. Un’altra attraversare un intero stato. Dev’essere qualcosa di piú profondo.
Sophia restò in silenzio per un istante, poi disse: – È un potere enorme. Per forza sei cosí importante per la Sotterranea.
– È quello che dice Corrine.
– Ed è il motivo per cui non ti lascia andare.
– Non dipende solo da questo. Ma è la cosa principale.
– E allora, Hiram, quali sono le tue intenzioni verso di me, e verso la mia Caroline? Quale sarà la nostra vita?
– Non lo so. Pensavo di sistemarvi da qualche parte. E di potervi vedere di tanto in tanto.
– No, – disse lei.
– Cosa?
– Noi non ce ne andiamo.
– Sophia, è quello che noi volevamo. È il motivo per cui eravamo scappati.
– «Noi», Hiram. «Noi». Lo capisci?
– È la cosa che vorrei di piú al mondo, venire con voi e lasciarmi tutto questo alle spalle. Ma devi capire che non posso farlo. Dopo tutto quello che ti ho raccontato su questa guerra in cui siamo coinvolti, devi capire che non posso venire via.
– Non ti sto dicendo di venire via. Sto dicendo che noi, io e la mia Carrie, non andiamo via senza di te. Ho visto cosí tante famiglie andare in pezzi. E ora ne ho formata una con te, con un uomo che, come tu stesso hai detto, è dello stesso sangue della mia Caroline. Lei è tua parente e lo so che è una cosa orribile da dire, ma la dico lo stesso, tu sei suo papà, piú di qualunque altro papà la bambina potrebbe mai avere.
– Lo sai cosa stai dicendo? Lo sai a cosa stai dando le spalle?
– No. Ma un giorno lo saprò, e quando lo saprò sarà insieme a te.
In quel momento provai un sentimento umile e bellissimo. Un sentimento nato lí nella Strada, e in tutte le Strade d’America. Un sentimento cresciuto e maturato nella Garenna. Era il calore della melma. Era il sollievo di chi è nato nella feccia. Era l’affrontare la realtà dei fatti, la fuga dalla Qualità, la natura grave ed escrementizia del vero mondo in cui tutti viviamo.
Mi girai dall’altra parte per dormire, e sentii Sophia che si avvicinava e infilava le braccia sotto le mie, finché la sua mano non trovò le mie parti calde e morbide.
– Lo sai che ti stai incatenando a qualcosa, – dissi.
E per un po’ l’unica risposta fu il suo respiro caldo e morbido sulla mia nuca, poi lei disse: – Non è una catena se sono io a sceglierla.
L’indomani, io e Thena passammo a ritirare i panni da lavare. Poi trascorremmo le ore successive a riempire le tinozze d’acqua, battere giacche e pantaloni e poi appenderli ad asciugare nell’apposita stanza giú nella Garenna. Sophia non era con noi, perché aveva detto che Caroline era malata. In realtà era solo una scusa, parte del nostro piano, un piano mal concepito, perché alla fine della giornata, quando ormai avevamo le mani distrutte e le braccia fiacche, Thena era furibonda per la sua assenza.
– Cos’ha che non va quella ragazza, Hi? – disse. Stavamo camminando lentamente lungo la Strada. Il sole era tramontato già da un bel po’ e noi ci muovevamo come ombre accanto ai frutteti e in mezzo al bosco. – Vorrei che tu avessi scelto una ragazza con piú spina dorsale. Quella Sophia non sa lavorare.
– Sí che sa lavorare, – replicai. – Quando io ero via ha lavorato per te.
– Se per te quello è lavorare… – disse lei. – Per come la vedo io, ha cominciato a darsi da fare solo dopo il tuo arrivo. Come potrai tirare avanti con una donna cosí, Hi? Un uomo come può cavarsela con una donna che fa solo finta di lavorare? Da giovane io lavoravo piú di qualunque uomo in circolazione, anche del mio. Nei campi di tabacco tutti mi temevano, e avevo anche la casa di cui occuparmi. Certo, a volte mi chiedo cosa ci ho guadagnato… a parte una botta in testa e il furto di quel che avevo messo da parte per comprarmi la libertà. Quindi forse quella ragazza la sa piú lunga di me.
– Ho visto Kessiah, – dissi. Era da tutto il giorno che cercavo invano di introdurre quella notizia nella nostra conversazione, ma non avevo trovato nessun modo decoroso e, dato che dovevo comunque farlo, ora avevo scelto la via piú diretta.
Thena si fermò e si girò verso di me. – Chi?
– Tua figlia, – dissi. – Kessiah. L’ho vista.
– È il tuo modo per rifarti di quel che ho detto di quella ragazza?
– L’ho vista, – ribadii, con tutta la fermezza possibile.
– Dove?
– Nel Nord. Vive nei dintorni di Filadelfia. Dopo che te l’hanno tolta, l’hanno portata nel Maryland. E da lí è scappata a nord. Ha una famiglia. Un bravo marito.
– Hiram…
– Vuole che tu la raggiunga. Vuole averti lassú con lei. Thena, non è uno scherzo. Quando sono andato via le ho detto che ti avrei portato da lei. L’ho promesso, e ora voglio mantenere quella promessa.
– Mantenere? E come?
E lí nella foresta le spiegai, come già avevo fatto con Sophia, quel che mi era successo, quel che ero diventato.
– Dunque la Sotterranea è questo? – mi chiese lei.
– Lo è, – dissi. – E non lo è.
– Be’, quale delle due?
– Si tratta di me, – dissi. – Di me. E ti sto chiedendo se ci stai.
– Kessiah? – chiese lei a nessuno in particolare. – L’ultima volta che l’ho vista era uno scricciolo. Ostinata come non so cosa. Voleva tanto bene al suo papà, lo sai? E lui era molto duro. Avevamo delle camelie. Era un’altra epoca, un’altra epoca. Lei andava sul retro e le raccoglieva, finché io…
Fece una pausa, e le comparve in viso un’espressione confusa.
– Kessiah… – disse piano. E poi sgorgarono le lacrime, lentamente e silenziosamente, senza né un gemito né un lamento. Pronunciò di nuovo il nome della figlia, poi si voltò verso di me e mi chiese: – Hai visto anche qualcuno degli altri?
Scrollai il capo e dissi: – No, mi dispiace.
E a quel punto i lamenti arrivarono, cupi e profondi e rochi. Thena gemeva e ripeteva: «Oh Signore, oh Signore», e scuoteva la testa.
– Perché mi vieni a dire queste cose? Perché lo fai? Tu e la tua Sotterranea! Non me ne importa niente. Ci ho messo una pietra sopra. Perché mi vieni a dire queste cose?
– Thena, io…
– No, tu hai parlato, e ora parlo io. Lo sai cosa ho fatto? E tu, tu dovresti saperlo. Tu che ho preso con me, tu mi vieni a dire queste cose! Tu mi fai questo.
In questa stessa casa dove ti ho preso con me quando eri un marmocchio, tu vieni qui e mi fai questo? Lo sai quanto mi ci è voluto per mettermi il cuore in pace?
Ora stava indietreggiando, allontanandosi da me.
– Thena…
– No, stammi lontano. Tu e la tua ragazza, state tutt’e due lontani da me.
Corse nella notte, e io le andai dietro cercando di afferrarla per un braccio. Si divincolò, mi diede una gomitata, un pugno, e si liberò dalla mia stretta.
– Sta’ lontano, ti dico! – sbraitò. – Sta’ lontano! Come osi riportarmi indietro in questo modo. Sta’ il piú lontano possibile da me, Hiram Walker! Con me hai chiuso!
La cosa non avrebbe dovuto stupirmi. A quel punto sapevo quanto il passato pesa su di noi. Lo sapevo piú di chiunque altro. Conoscevo uomini che avevano tenuto ferme le loro mogli mentre venivano fustigate. Conoscevo figli che avevano visto quegli uomini tenere ferme le loro madri. Conoscevo bambini che avevano grufolato nella broda insieme ai maiali. Ma soprattutto sapevo come i ricordi di simili cose ci cambiavano, come non potevamo mai sfuggirvi del tutto, come diventavano un’orrenda parte di noi stessi. E dovevo averlo saputo fin da piccolo. Altrimenti perché avrei dovuto rimuovere e chiudere in una cassaforte quell’unico ricordo, il ricordo di mia madre?
Quindi come potevo, in quel momento, mentre la guardavo scomparire nella notte, biasimare Thena per il suo desiderio di dimenticare? Oh, lo capivo benissimo. Tornai dentro quella baracca e restai per lunghe ore seduto in silenzio, ben comprendendo la rabbia di Thena. E per tutta la notte continuai a pensarci, finché, coricato vicino a Sophia e alla piccola Caroline, non capii cosa andava fatto. Kessiah avrebbe sempre riportato alla mente di Thena quel che aveva perduto, quel che le avevano portato via, e quindi, per rivedere la figlia, avrebbe dovuto ricordare. E ora sapevo di non poter in alcun modo chiederle questo se non ero disposto a farlo io per primo.