Martedì

(Principio d’inchiesta)

ORE 12,30

Dietro al commissario, erano entrati Sani e Cruni.

Gli agenti erano rimasti nella sala d’ingresso col cavalier Moroni e con Romeo.

«Vuoi che faccia venir qui il cosiddetto segretario? È il marito della presidentessa, sai? Il padrone, insomma! Potrà dirci se lo conosce...».

Il brigadiere diede una spallucciata e fissò il vice commissario: «Che hai?».

«Come vuole che non lo conosca? Se è morto qua dentro! Sarà uno dei soci...».

«L’unica cosa che non potremo rimproverare a questo morto, Cruni», pronunziò lentamente De Vincenzi, «sarà proprio quella d’essere stato uno dei soci del circolo...».

«Lo credo anch’io», fece Sani.

«Aspetta prima di far venire quel... segretario...».

Il morto era un vecchiettino vestito all’antica, con la redingote giallastra stretta alla vita, i pantaloni scuri a cavaturacciolo sulle scarpe a elastici. Aveva la zazzera bianca e la fronte altissima. I baffi spioventi erano gialli di nicotina e la barbetta a punta appariva ancora aguzzamente sollevata. Gli occhi sbarrati, già fattisi opachi, non dicevano nulla: né terrore, né sorpresa, né angoscia: nulla. In mezzo al petto, sulla redingote abbottonata, si vedeva piantato il pugnale, che l’assassino non s’era data la pena di togliere dalla ferita, per farlo scomparire.

«Hai visto l’arma?».

L’aveva veduta, naturalmente. L’esclamazione di Sani era giustificata, però. Un serpente attorcigliato attorno all’asse, che terminava con una palla. Il manico era un serpente attorcigliato!

«È di bronzo dorato?».

«Forse...». Si chinò a guardarlo. «Può darsi che sia d’oro... Cruni, fatti dire dove c’è un telefono e chiama il professore della Scientifica con tutta la sua squadra... Fa’ venire anche il medico municipale...».

Cruni uscì.

«Perché dici che è oro?».

«Perché molto probabilmente lo è».

«Impronte?».

«Non se ne vedono... e non ci saranno. Ma l’unica impronta che l’assassino ha voluto lasciare ha il suo valore... Quel pugnale...».

Si sollevò dal cadavere e ispezionò la saletta.

Poco lontano c’erano un cappello a staio, che andava d’accordo con la redingote, e un bastone d’ebano col manico di corno ricurvo, con un lungo puntale di acciaio. Sopra il divano, un pastrano di panno turchino, coi bottoni dorati. Sembrava un pastrano da marinaio.

«Era del morto?».

«Molto probabilmente».

De Vincenzi sentiva una strana perplessità. Nulla nel salottino indicava che ci fosse stata lotta. L’uomo sembrava deposto sul tappeto. La prima impressione era che ve lo avessero trasportato già cadavere.

Andò alla finestra: era chiusa. Anche gli scuri, che erano fermati con una sbarra trasversale, da un muro all’altro. Lì dentro ardevano ancora le luci del lampadario.

«Fa’ entrare il segretario».

Sani lo andò a prendere per un braccio e lo condusse dentro.

Il cavaliere entrò pallido più del morto. Non abbassava lo sguardo verso terra.

«Lo conoscete?».

Dovette guardarlo.

«Il vecchio! E la cambiale? Sofia! Sofia!».

«Ebbene? Lo conoscete...».

«Forse...».

«Come? Scuotetevi, perbacco! Lo conoscete benissimo! Ditemi chi era».

«Il signor Marco... Lo conoscevo... perché abitava nella casa accanto... Quella casettina vecchia e ammuffita... Uno sconcio, in una via centrale come questa... accanto a un palazzo...».

«Parlare! Parlare! Adesso, m’interrogherà... Ma perché il vecchio è venuto qui proprio stanotte? Chi l’ha ammazzato?».

«Basta! Sani, fallo sedere su quella poltrona, là in fondo... Ecco! Cominciamo, e andiamo per ordine...».

«Cominciare che cosa? Che vorrà sapere? Se gli dico della cambiale... Sofia! Ah! chi avvertirà Sofia?».

De Vincenzi s’era seduto di fronte al disgraziato. Prese a interrogarlo con metodo, pazientemente.

«Ditemi di ieri sera...».

«Come le altre sere».

«Già! Ma io non so nulla. Ditemi tutto quello che si è fatto ieri sera qui dentro».

«Una conferenza...».

«Avanti!».

«Una conferenza di Virgilio Nepenti, il critico del Secolo...».

«Avanti!».

«Come faccio a dirgli tutto? Ma i nomi... i nomi di chi c’era dovrò dirglieli...».

«Sani, scrivi il nome e l’indirizzo di tutti coloro che ieri sera si trovavano qui dentro... Tutti, veh!».

Il cavaliere se li ricordava, Sani li scrisse.

«Carletto Vinci...» pensò Sani, mentre scriveva. «Debbo averlo conosciuto a San Siro... Sicuro! Una storia di allibratori e di un assegno a vuoto... E la Sutton... Anche questo nome non mi è nuovo!».

«Bene, continuiamo. Hanno giocato. Si gioca forte nel vostro circolo, vero?».

«Oh! relativamente... Non tutti possono giocare forte... E poi il bridge... è un gioco scientifico...».

«Lasciamo andare! A che ora sono andati via?».

«Alle due. Abbiamo il permesso fino alle due. E non si ritarda neppure di un minuto, creda!».

«Chi è stato l’ultimo a uscire?».

«Io. Sono sempre io...».

«E avete chiuso la porta?».

«A chiave. Eccole... Sono due... Tre giri alla serratura in basso, due in alto, alla yale... come sempre...».

«E prima, le finestre erano state chiuse?».

«Tutte. Romeo... Chiami Romeo...».

De Vincenzi si alzò. Si affacciò alla porta del salone: era buio, gli scuri erano ancora chiusi. Si volse: «In questa saletta, stamane quando siete entrato, la luce era spenta?».

«Spenta. Sono stato io ad accenderla...».

«E avete veduto...».

«E ho veduto!».

«E poi?».

«Sono fuggito con Romeo...».

«Nient’altro, per ora. Andate di là... Sani, vieni con me a verificare le finestre...».

«Non mi ha chiesto nulla della cambiale... Ma dovrò dirglielo. Se mi lasciasse il tempo di parlare con Sofia».

ORE 12,40

Il medico s’è sbrigato: «L’autopsia dirà il resto».

«Proprio oggi questo morto!... Ma a colazione con Vittorio bisogna che vada! Del resto, c’è poco da vedere... Una pugnalata al cuore è una pugnalata che uccide. Questo è tutto! Non c’era neppur bisogno che mi chiamassero...».

«L’ora della morte, dottore?».

«Flaccidità primaria cioè appena appena iniziatasi la rigidità cadaverica... Saranno sei ore, sette al massimo, che lo hanno freddato. Lo faccia portare al Monumentale... Le farò avere il rapporto questa sera...».

De Vincenzi lo avrebbe mandato anche subito al Monumentale, gli premeva di riunire in quelle sale tutte le persone che vi si erano trovate la sera prima, ma c’era il giudice istruttore da aspettare...

«Sani, manda un agente alla Procura... Se fosse di servizio un giudice come dico io...».

Il vice commissario si allontanò mentre entravano il professore con Kruger e Bargelli.

Al professore si fecero gli occhi brillanti, già appena davanti al cadavere; ma quando vide il pugnale, non si poté trattenere dal far schioccare la lingua, che per lui era il segno della maggiore soddisfazione.

«Kruger, le impronte. Bargelli, faccia tutti i rilievi...».

Si vide passare per la porta una gran scatola nera in cima a un treppiede. Dopo qualche minuto, scoppiavano le capsule di magnesio.

«Da tutte le parti... Me lo fotografi da tutte le parti!».

Il professore aveva trovato il fatto suo.

E De Vincenzi si ritirò nell’ingresso e poi entrò nella sala da gioco.

«Venga qui da me, cavaliere... E mi dica un po’ tutto quello che non mi ha detto finora...».

«Ci siamo! Una cosa non potrò dirgli, a ogni modo: perché quel maledetto vecchio sia venuto qua dentro a farsi uccidere!».

Squillò il telefono.

«Dottore, c’è una signora che telefona... Dice che è la presidentessa... Voleva assolutamente sapere chi fossi io che le rispondevo...».

«Mia moglie!».

«Stia buono!». De Vincenzi andò all’apparecchio. «La signora Moroni? Ho capito, signora... Io sono un funzionario di polizia... Come dice?... Ma no! Non si tratta di questo... Venga subito qui, la prego... è accaduta una disgrazia...».

Uscì dalla cabina e si fermò un istante a riflettere. E poi rise un poco, da solo; la signora Moroni aveva subito esclamato: «Hanno arrestato mio marito?».