Dunque erano circa le 14.20 quando il medico di famiglia, chiamato con urgenza, constatò il decesso del notaio Ricci Ribaldi. Il medico non conosceva bene il notaio, che era suo paziente da pochissimo tempo, ma non c’era ragione di sospettare che quella morte improvvisa non fosse naturale. Era stato visto entrare in camera sua e lì aveva fatto la sua solita iniezione di insulina semilenta; poco tempo dopo era stato trovato, nel bagno della sua camera da letto, morto stecchito, e la cameriera che l’aveva trovato non aveva proprio l’aria di una che si inventa le cose. In casa non c’erano altre persone oltre ai familiari che stavano pranzando al piano superiore. Il medico constatò che il notaio era realmente morto, stilò il certificato e se ne andò, dopo aver fatto le condoglianze a tutti quelli che incontrava.
La famiglia – la moglie e i figli – si premurarono di avvertire il personale dell’ufficio e fu avvertito anche un notaio loro amico, perché provvedesse a prendersi cura dello studio secondo le norme di legge. Altri parenti, oltre a quelli che vivevano nella casa, il notaio non ne aveva. Si trattava di stabilire come darne notizia alla città, se subito o dopo la tumulazione, mettendo un avviso funebre sul giornale cittadino o ricorrendo all’esposizione di piccoli manifesti che annunciavano il lutto e venivano affissi in varie parti, un’abitudine molto apprezzata nelle piccole città, dove tutti vogliono sapere tutto di tutti e non tutti leggono il giornale.
A quel punto il medico di famiglia ritornò, piuttosto confuso, evidentemente preoccupato. Disse alla vedova che il certificato di morte era stato stilato in modo corretto, che certamente tutto sarebbe andato per il meglio, ma che in fondo si trattava di un decesso che si era verificato senza che fosse stato possibile portare un qualsiasi tipo di assistenza e che lui si era dimenticato di aggiungere che forse, a suo avviso, sarebbe stato opportuno eseguire un riscontro diagnostico e trasferire il povero notaio in un luogo adatto per gli accertamenti necessari. No, cosa avevano capito, niente autopsia giudiziaria, una semplicissima necroscopia. Il medico si riprese il certificato, lo modificò, e diede le disposizioni necessarie perché questo banale atto formale, questo accertamento necroscopico, potesse essere svolto senza ritardi. Un ritardo ci sarebbe stato ugualmente? Forse, un breve ritardo, niente di più. Ecco, aveva detto tutto. Quello che non aveva detto era che un commissario di polizia lo aveva raggiunto sulla strada del ritorno in ospedale, gli aveva fatto un cazziatone e lo aveva rimandato, praticamente a calci nel sedere, a rimediare all’errore. Perché considerare naturale il decesso di uno che poco prima di morire ha detto personalmente al Questore (al Questore!) che la sua vita era minacciata, non poteva essere considerato altro che un errore.
Per chi è inesperto di questa materia (ma chi può definirsi esperto di una materia così sgradevole e complessa?) sarà bene chiarire alcuni punti chiave relativi a questa benedetta denuncia di morte. In pratica le cose stanno così: se il medico di famiglia viene chiamato a verificare la morte di un suo paziente, una volta assicuratosi che proprio di morte si tratta, può limitarsi a certificare il decesso – scrivendo, ad esempio, che non è possibile accertare le cause della morte – richiedere un riscontro diagnostico – nel qual caso sarà il medico che esegue la necroscopia a mettere in atto la procedura indicata nel caso di morte senza assistenza, effettuando eventualmente il riscontro diagnostico vero e proprio, cioè l’autopsia – oppure mettere il corpo a disposizione dell’autorità giudiziaria, attivando una procedura piuttosto complessa, che è quella dell’autopsia giudiziaria. Quest’ultima prevede, tra l’altro, tempi tecnici piuttosto lunghi: il magistrato deve nominare un perito, il quale deve eseguire una serie di atti – fissare la data, effettuare il riscontro autoptico, compiere una serie di indagini complementari – solo al termine dei quali sarà in grado di presentare una relazione scritta. Questa volta, il Questore stava semplicemente procedendo con tutta la cautela possibile, questo doveva essere considerato proprio uno di quei casi nei quali gli errori vengono puniti severamente.
In realtà, che accidenti aveva in mano il Questore? La registrazione di una telefonata, che essendo stata registrata non poteva più essere ignorata, nella quale un eminente cittadino gli chiedeva un colloquio privato, anticipandogli che l’argomento del colloquio – almeno questa gli sembrava l’interpretazione più semplice – avrebbe riguardato una minaccia di morte che gli era stata rivolta. Niente di più. Un cittadino in età senile – il Questore non ricordava bene l’età del notaio, che immaginava non fosse inferiore ai 75 anni – può soffrire di allucinazioni, patire di un complesso di persecuzione, interpretare malamente una lettera anonima, magari scritta per scherzo, o a scopo di ricatto. In città, oltretutto, negli ultimi tempi si erano moltiplicati i tentativi – purtroppo spesso riusciti – di portare via soldi alle persone anziane, utilizzando tecniche fantasiose e originali. Su questa base non si poteva creare uno scandalo. D’altro canto, quella telefonata non la si poteva ignorare del tutto. Metti il caso che uno della famiglia si confidi con qualcuno, dica di averlo ammazzato lui, o si penta, che figura ci faceva il Questore? Quella della necroscopia, perciò, era la via di mezzo, le prove di un delitto si possono cercare e trovare anche senza bisogno di un’autopsia giudiziaria, e una volta stabilita l’esistenza di un sospetto fondato, il ricorso al magistrato è pur sempre possibile. Tutto questo pensava il povero Macbetto, e si era già convinto di essere stato molto astuto e prudente, fino al momento in cui, distanziate di non più di venti minuti, arrivarono le telefonate del Prefetto e del Vescovo, che avevano avuto dal notaio la stessa richiesta di colloquio e la stessa vaga denuncia. Adesso non si poteva far più finta di niente, bisognava, come si dice nel gergo dei poliziotti, attivarsi. E Macbetto si attivò personalmente e si recò a casa dei Ricci Ribaldi per parlare ai familiari. Per puro caso gli capitò di entrare nello stesso momento in cui il notaio usciva, per il suo appuntamento con il necroforo.