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«Dunque – riprese il Questore, qualcuno lo aveva interrotto per chiedergli se voleva una sedia – come dicevo, è un incontro informale, e se restate e rispondete alle mie domande lo fate come cittadini responsabili e volonterosi e non perché ci siete obbligati. Chiaro?».

«Chiaro», fu una voce unica a rispondere, un vero coro.

Il Questore ripeté la tiritera iniziale recitata al mattino, chi aveva visto per ultimo il notaio, qualcuno era per caso salito al piano superiore… «Io – disse la signora Egle, – io, come d’abitudine, sono salita subito dopo di lui. In realtà nella mattinata sono salita più volte, per disposizioni del notaio, a prendere documenti, carte».

«Mi interessa – continuò il Questore – l’ultima volta, quella intorno alle 13. Ha incontrato qualcuno? Ha visto il notaio? C’è qualcosa che vuole dirmi?».

«Non ho visto il notaio, era già entrato nella sua stanza e lì, d’abitudine, non lo seguivo mai. C’era Palmira, in sala da pranzo. Ma lei è sempre lì, a quell’ora, per via dell’iniezione. Ho visto la Zaira, ma solo per un istante».

«La Palmira era sola, dunque?».

«Sola, per il breve tempo in cui sono rimasta al piano».

«Vi siete dette qualcosa?».

«Ci siamo salutate».

«Nessun altro può aggiungere qualcosa?».

Ci fu un lungo silenzio.

«Veniamo al mattino, a quello che il notaio ha fatto in studio. C’è una registrazione, che so, delle sue telefonate? Dov’è la posta di oggi? È successo qualcosa di particolare, qualcosa che possa averlo turbato?».

Nessuno parlò. La signora Egle si avvicinò al Questore e gli consegnò una specie di librone, quello che tutti chiamavano «il brogliaccio».

«Qui troverà, posso immaginare, almeno una parte delle cose che cerca».

Sappiamo già cosa c’era scritto nel brogliaccio. Una serie di telefonate (al Questore, al Prefetto, al Vescovo, più volte all’ospedale; a vari clienti dello studio); una lista di lettere ricevute (dall’ospedale, più di una lettera; da vari clienti).

«Qualcuno sa perché il notaio avesse rapporti così frequenti con l’ospedale?» chiese il Questore.

Nessuno rispose.

«Dove cavolo sono le lettere ricevute oggi?», il Questore cominciava a seccarsi.

Gli indicarono un cestino metallico, sul tavolo del notaio. C’erano lettere di clienti, posta ordinaria, nessuna lettera dell’ospedale.

«E dove cavolo…».

Ma la signora Egle gli si era avvicinata, con aria molto decisa. Aveva in mano un plico di documenti.

«Le lettere sono qui, le ho volute consegnare direttamente a lei, è materia delicata».

Il Questore grugnì, prese le lettere, che erano già state protocollate e numerate in ordine progressivo. Le appoggiò al tavolo e considerò le prime due, cioè quelle contrassegnate dai numeri 1 e 2. La prima lettera era in realtà un esame di laboratorio eseguito al signor Annibale Ricci Ribaldi: una mappa cromosomica, su un prelievo di sangue eseguito circa un mese prima. C’erano scritti solo il risultato (47 xxy) e una diagnosi (sindrome di Klinefelter). La seconda lettera, sempre dell’ospedale, veniva dalla direzione sanitaria. L’ospedale si lamentava per la sua richiesta di ottenere copia di due cartelle cliniche, richiesta esaudita con sollecitudine più di due mesi prima. Non avendo ricevuto conferma dell’acquisizione del documento, la direzione sanitaria aveva inviato una lettera di richiesta di chiarimenti all’intestataria della cartella, la signora Maria Teresa Ricci Ribaldi, e ne aveva ricevuto una risposta sdegnata, nella quale la signora, cui soltanto spettava il diritto di richiedere copie delle sue vecchie cartelle cliniche, si dichiarava all’oscuro che una richiesta di tal genere fosse stata presentata dal marito. Ora…

Il Questore dovette interrompere la lettura, uno dei funzionari lo stava tirando per un braccio e gli indicava un nuovo venuto, un signore alto ed elegante che era entrato silenziosamente e che ora gli stava sorridendo, un sorriso malizioso e sfottente che non piacque per niente al Questore.

«Si ricorda di me? – disse il signore alto bruno e sorridente. – Dovrebbe, sono l’avvocato Rossi, Vanni Rossi, ci siamo già incontrati. Rappresento la signora Maria Teresa e i suoi figli. In realtà siamo tutti piuttosto sconcertati per la sua presenza qui, in una giornata di lutto come quella odierna. Lei va in giro a interrogare, fa domande capziose, si riferisce a eventi assolutamente privati, a fatti personali. Conoscendo la sua abituale prudenza, debbo dire che ne sono sorpreso. Spero di non offenderla se le chiedo con quale diritto sta facendo tutto questo».

Il Questore sussurrò qualcosa a uno dei suoi funzionari che a sua volta sussurrò qualcosa all’orecchio dell’avvocato, dopo di che Questore, avvocato e funzionario si diressero per un istante in tre diverse direzioni, si fermarono, si guardarono con aria interrogativa, accennarono di nuovo a prendere direzioni divergenti. Il Questore a questo punto si irritò, fece un gesto brusco come per dire «seguite me» e li condusse in una sala laterale che al momento era del tutto deserta. E qui prese la parola.

«Lei ha ragione, avvocato, io stesso spesso mi interrogo sui diritti degli inquirenti e sui diritti degli inquisiti. Anche se, a dire il vero, sono venuto qua in veste non ufficiale, vorrei dire quasi da amico, come ho più volte ripetuto. Al contrario, la sua presenza è tutt’altro che amichevole, nel senso che cambia di necessità le regole che io avevo stabilito e che stavo faticosamente cercando di seguire: lei è un avvocato, giustamente vuol essere informato dei motivi, vuole avere risposte. Avrei preferito non dargliele, in verità, c’è sempre tempo per rendere di dominio pubblico le cose sgradevoli. Naturalmente mi limiterò all’essenziale. Il marito della sua cliente, deceduto oggi in circostanze non ancora del tutto chiare, aveva telefonato nella mattinata ad alcune persone, io sono tra queste, dichiarando di essere in pericolo di vita, senza peraltro voler indicare l’origine della minaccia. La signora Egle, che mi sembra al momento essere la responsabile dello studio, mi ha appena consegnato alcuni documenti che dovranno essere considerati con attenzione dai periti e che mi inducono a ritenere che il notaio non soffrisse di allucinazioni. Ragione per cui sto recandomi dal magistrato a riferire i fatti».

Il sorriso era completamente scomparso dal volto dell’avvocato Rossi, che a tutto commento si limitò a fare un lunghissimo sospiro.