Il Questore Macbetto Fusaroli cominciava ad essere proprio stufo di quella storia, nei suoi incontri con Primo si esprimeva sempre più criticamente nei confronti della buona borghesia della città, famiglie apparentemente per bene che spendevano metà del loro tempo a lavare i propri panni sporchi, l’altra metà a sporcarli. Primo un aiuto vero non riusciva a darglielo, la storia era troppo complicata, solo un caso fortunato l’avrebbe potuta chiarire.
Macbetto, in assenza di novità, cercava di approfondire quegli aspetti sui quali l’attenzione degli inquirenti non si era fermata abbastanza: ad esempio, la lettera all’Assicurazione, quella firmata con uno sgorbio. Il Questore chiamò la signora Egle e, senza entrare in particolari, le chiese di mandargli copia di tutta la corrispondenza dell’ufficio dell’ultimo mese. La signora Egle la raccolse, la chiuse in due grosse cartelle e ordinò al signor Domenico di andare a consegnarle. Il signor Domenico uscì dallo studio alle 10.30 e si avviò verso la Questura, distante non più di un quarto d’ora anche per un passo decisamente moderato come il suo. Mentre attendeva l’arrivo del verde al semaforo, il signor Domenico fu testimone di un incidente, automobile contro ciclista, la ragione tutta dalla parte di quest’ultimo. Il signor Domenico, da buon cittadino, si fermò a soccorrere il ciclista, che naturalmente aveva avuto la peggio ma che, almeno apparentemente, aveva riportato solo delle escoriazioni. Rassicurato, il signor Domenico si accingeva a riprendere il suo cammino, quando arrivò un vigile urbano, pieno di buona volontà, che cominciò a redigere un verbale, fermò il signor Domenico e un altro paio di testimoni che si stavano allontanando per ascoltare le loro versioni e registrare nomi e indirizzi. Al momento di scrivere si accorse che la sua biro era esaurita, nessuno aveva una penna, dovette tornare alla macchina per prenderne una, si persero altri cinque minuti almeno. In conclusione, il signor Domenico, invece di arrivare in Questura alle 10.45, ci entrò alle 11.20, un ritardo del quale, in realtà, nessuno si accorse.
Alle 11.18 era entrato nello stesso portone quel fornitore, ricordate, che aveva visto entrare un visitatore nella casa della signora Rosa e riteneva di poterlo riconoscere: era stato convocato perché gli inquirenti desideravano fargli vedere una, ripeto una fotografia, quella di Matteo. Convocazione, dunque, per lo meno discutibile, Matteo non sembrava minimamente coinvolto in quella storia, e anche un po’ ineducata, non c’era poi una vera necessità di scomodare un cittadino per vedere una sola foto, qualsiasi funzionario di polizia avrebbe potuto – o dovuto – portargliela a casa.
Dunque, il fornitore entrò in Questura alle 11.18, e si avviò a prendere un ascensore, per salire al piano che gli era stato indicato, il terzo. Non c’erano altri cittadini ad attendere e se l’ascensore fosse già stato al piano, il fornitore sarebbe salito da solo. Ma l’ascensore era bloccato al secondo piano da due impiegati che stavano portando scatoloni di carta vergine al magazzino e ne avevano utilizzato uno per impedire che la porta si chiudesse, così che ci vollero almeno cinque minuti perché arrivasse, un tempo lunghissimo, inusuale, comunque sufficiente perché il fornitore fosse raggiunto dal signor Domenico, diretto anche lui al terzo piano. Così i due salirono insieme e, essendo soli, si scambiarono anche un mezzo sorriso di saluto, poi, al terzo piano, si separarono, uno andò da una parte, uno dall’altra.
Il funzionario che doveva mostrare la fotografia al fornitore stava leggendo il giornale quando quest’ultimo entrò, così che non poté farlo attendere. Il fornitore guardò la foto, con un sorrisino astuto sulle labbra, e poi disse: «No, non è lui». Il funzionario si riprese la foto, ma l’altro non sembrava soddisfatto. Sempre ridacchiando – era un appassionato lettore di gialli – e adesso addirittura ammiccando, aggiunse:
«Dai, avete fatto apposta».
«Come dice?».
«Apposta. Dico che avete fatto apposta».
«A far che?».
«A farmi trovare quello lì nell’ascensore».
«Quale quello lì?».
«Come quale quello lì? Quello che devo riconoscere».
Il funzionario, a parte il fatto di leggere il giornale nelle ore di ufficio, sapeva fare il suo mestiere e si fiondò fuori, in tempo per vedere il signor Domenico che, chiusa la porta di uno degli uffici, si avviava tranquillamente verso l’ascensore. A saper chi era ci mise un minuto, e così si scoprì che l’uomo che andava, forse di tanto in tanto, forse piuttosto spesso, a trovare la signora Rosa, era il signor Domenico.