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Quando Primo e il Questore si incontrarono, dedicarono i primi dieci minuti a sfottersi e i successivi dieci a rivangare il passato. Poi, come sempre, ci fu un breve spazio dedicato a cos’era successo a quello e a dove era finito quell’altro, chi era morto e chi l’aveva sfangata, e solo dopo questi preliminari vennero, come si dice, al dunque. Quel giorno, proprio quando erano molto prossimi ad affrontare quel dunque, il Questore ricevette una telefonata che, secondo il telefonista, non poteva aspettare. Quello che Primo riuscì a capire di quella telefonata fu naturalmente solo quello che poteva ascoltare dalla viva voce del Questore. Poiché però, riattaccato il telefono, fu lo stesso Macbetto a riferire quello che Primo non aveva potuto ascoltare, possiamo ricostruire la conversazione in modo più o meno completo. Dunque: al telefono c’era il notaio Annibale Ricci Ribaldi, che aveva spiegato con molta chiarezza al centralinista che si trattava di un problema di singolare rilevanza (aveva proprio detto così), che sarebbe anche potuto essere definito «di vita o di morte». Il centralinista aveva preso appunti e non era sicuro che il notaio avesse proprio detto «di vita o di morte», era possibile un «di vita e di morte»; il tono era comunque molto serio, quasi drammatico, la persona al telefono era conosciuta, al centralinista accadeva di essere a conoscenza di un rapporto di amicizia tra i due. «E tu sei uno stronzo lo stesso – gli disse il Questore – comunque passamelo. E registra la conversazione».

Ci furono naturalmente alcuni rapidi convenevoli iniziali. Ed ecco il resto.

«So che mi ha chiamato per una cosa importante».

«Se non fosse così, non mi sarei permesso…».

«Dica, sono tutt’orecchi. Anzi, se vuol fare un salto da me».

«Preferirei venire domattina, di buon’ora se possibile».

«Posso incontrarla al mio arrivo. Diciamo alle 8?».

«Alle 8. Puntualissimo».

«Non vuole anticiparmi niente?».

«Solo che la mia vita è in pericolo. In serio pericolo, potrei dire».

«Proprio non vuole anticiparmi niente? Vuole che le mandi un funzionario?».

«Mi basta vederla domattina. E le esprimo per ora tutta la mia gratitudine».

«Vorrà ricordarmi alla signora…».

Lungo silenzio

«A domattina».

«A domattina».

«Non credo che abbia gradito gli omaggi alla moglie – interloquì Primo, appena il Questore ebbe riattaccato. – So che vivono nella stessa casa, ma in due diversi appartamenti, la moglie e i due figli da una parte, lui e la governante dall’altra. Credo che non si rivolgano la parola».

«Niente di peggio. Questi casini familiari creano guai a non finire. Vedrai che mi vorrà parlare proprio di questo».

E poi ripresero la conversazione, Primo raccontò quello che sapeva – non poi molto – di quel professor Reggiani, gli disse del colloquio con il professor Forlivesi, in realtà non c’era poi molto da raccontare.

«Queste cose purtroppo accadono. Ci sono crimini, come questo, o come la pedofilia, che sono molto difficili da portare in tribunale. E poi quel professor Reggiani, sarà pure un imbecille, ma è un professore universitario, gode di una certa reputazione, come diavolo facciamo? Tu comunque stacci lontano, lo so come sei fatto, e non ti sognare di mandarci Pavolone. Pensa a Maria, se solo la cosa si risapesse! Tutto sommato quello che ti ha detto il vecchio diavolo, di rivolgerti alla Schiassi, mi pare saggio. E se sai qualcosa di nuovo, chiamami. Anzi, facciamo così, vengo a cena da te la prossima settimana, ti devo presentare una persona…».

«Ah no, non un’altra fidanzata, tu ce le porti per acquistare rispettabilità, così vengono a letto con te, e appena sei sceso da quel letto te la dai a gambe. Dirò anche questo alla Schiassi».

«Diffamatore!».

«Casanova da strapazzo».

Si insultavano ancora mentre Macbetto accompagnava Primo all’ascensore. Il piantone, richiamato dal baccano, si accertò che i due stessero scherzando e tornò alla cinque verticale, la fanno i bambini nella culla, cinque lettere, la seconda era una a, però non poteva essere quello che pensava lui, non su quel giornale.

Primo lasciò la Questura che erano quasi le due, minuto più, minuto meno, deciso ad andarsene a casa, aveva parcheggiato la macchina poco lontano e di lì a casa non ci volevano più di venti minuti. Svoltò, camminando rapidamente l’angolo della strada che portava al parcheggio proprio dietro l’abitazione-studio del notaio Ricci Ribaldi. Quasi si scontrò con un passante che sembrava avere ancora più fretta di lui, lo riconobbe, un suo vecchio compagno di scuola, medico, lavorava in ospedale.

«Sei un pericolo pubblico, l’ortopedia ha bisogno di pazienti?». Gli venne in mente la telefonata del notaio. «È questione di vita o di morte?».

L’altro lo guardò con curiosità. «Di morte, pare. Il notaio, improvvisamente. Non più di un quarto d’ora fa. Siamo nati sulla cresta di un’onda…».

Ma Primo non riuscì a finire la citazione, era rimasto a bocca aperta. Mentre il medico entrava a lunghi passi nel portone chiamò Macbetto al cellulare.

«Sembra ormai certo, era una questione di morte».