Eph vagò nei tunnel dell’ex manicomio sotto l’ex Columbia University. Non voleva fare altro che camminare. Era rimasto scosso fin nei precordi quando aveva visto Zack a Belvedere Castle, con Kelly e con il Padrone. Si era prefigurato tutti i peggiori destini per suo figlio – ucciso o mezzo morto di fame in una gabbia da qualche parte –, ma non aveva mai previsto che potesse essere al fianco del Padrone.

Era stata quella strega di Kelly ad attirare il loro figlio nel gregge? O era il Padrone a volere Zack con sé? E, in questo caso, perché?

Forse lo strigoi aveva minacciato Kelly e Zack non aveva avuto scelta se non mostrarsi accondiscendente. Eph voleva aggrapparsi a quell’ipotesi perché trovava inimmaginabile l’idea che il ragazzo si schierasse con il Padrone di propria volontà. La peggior paura di ogni genitore è che il figlio venga corrotto. Eph doveva credere che Zack fosse un bambino smarrito, non un ribelle. Ma la paura non gli impediva di scivolare in quella fantasia. Quando si era allontanato dallo schermo, si era sentito come un fantasma.

Frugò nella tasca del cappotto e trovò due pastiglie di Vicodin. Gli luccicarono nella mano, rese brillanti dalla luce della lampada portatile legata alla testa. Se le cacciò in bocca e le inghiottì senz’acqua. Una gli s’incastrò alla base dell’esofago e fu costretto a saltellare per mandarla giù.

Lui è mio.

Eph alzò subito gli occhi: la voce di Kelly, soffocata e distante, ma chiaramente sua. Girò su se stesso due volte, ma era solo nel passaggio sotterraneo.

Lui è sempre stato mio.

Eph sguainò la spada di qualche centimetro. Si mosse verso una breve rampa di scale che portava in basso. La voce era nella sua testa, ma un sesto senso gli suggeriva quella via.

Lui siede alla destra del Padre.

Eph ora correva, furioso, e la luce della lampada frontale si agitava. Svoltò in un altro corridoio buio, poi nella...

La stanza della segreta. Con la madre di Gus in gabbia.

Eph spazzò la stanza con il raggio luminoso. Per il resto era vuota. Lentamente si girò verso il vampiro bloccato dal casco, fermo al centro della gabbia. La madre vampiro di Gus stava immobile: la luce della torcia creava una griglia d’ombra sul suo corpo.

Zack crede che tu sia morto, disse la voce di Kelly.

Eph sguainò completamente la spada. «Sta’ zitta.»

Lui comincia a dimenticare. Il vecchio mondo e tutte le sue abitudini. Ormai è finito. Un sogno giovanile.

«Zitta!»

Lui è premuroso verso il Padrone. È rispettoso. Impara.

Eph infilò la spada fra due sbarre. La madre di Gus trasalì, respinta dalla presenza dell’argento, con il seno pendulo che ondeggiava nella mezza luce. «Impara cosa?» chiese. «Rispondi!»

La voce di Kelly tacque.

«Gli stai facendo il lavaggio del cervello» disse lui. Il ragazzo era isolato, mentalmente vulnerabile. «Lo stai plagiando?»

Lo stiamo allevando.

Eph trasalì, come ferito da quelle parole. «No. No... Cosa puoi saperne? Cosa puoi sapere dell’amore... di essere padre o di essere figlio...»

Noi siamo il sangue fertile. Abbiamo generato molti figli... Unisciti a noi.

«No.»

È l’unico modo per riunirti a lui.

Eph abbassò un po’ il braccio. «Va’ all’inferno. Ti ucciderò...»

Unisciti a noi e sta’ con lui per sempre.

Eph impietrì per un momento, paralizzato dalla disperazione. Kelly voleva qualcosa da lui. Il Padrone voleva qualcosa. Si costrinse a tirarsi indietro. A ignorarli. A smettere di parlare. Ad andare via. “Chiudi quella maledetta bocca!” pensò, con una rabbia più rumorosa della voce. Tenendo saldamente al fianco la lama d’argento, corse via dalla stanza, nei corridoi. La voce di Kelly gli rimase nella testa.

Vieni da noi.

Eph girò un angolo e spalancò una porta rugginosa.

Vieni da Zack.

Eph continuò a correre. A ogni passo si sentiva più adirato, rabbioso.

Sai di volerlo fare.

E poi la risata di lei. Non la sua risata umana, alta, lieve e contagiosa, ma una risata di scherno, per provocarlo. Per farlo voltare.

Eph però continuò a correre. E la risata scomparve a poco a poco, svanì in lontananza.

Andò avanti alla cieca, con la spada che sbatacchiava nelle gambe di sedie rotte e strusciava sul pavimento. Le pillole di Vicodin avevano fatto effetto e lui barcollava un po’, con il corpo intorpidito; ma la testa era lucida. Allontanandosi, aveva girato un angolo nella sua stessa mente. Ora più che mai voleva liberare Nora dal campo del sangue. Sottrarla alle grinfie dei vampiri. Voleva dimostrare al Padrone che anche in un momento incasinato come quello era possibile farlo: salvare un essere umano. Che Zack non era perduto e che l’influenza dello strigoi sul ragazzo non era così forte come forse lui pensava.

Si fermò a prendere fiato. La lampadina frontale si affievolì. Eph le diede un colpetto e la luce tremolò. Doveva capire dove si trovava o si sarebbe perso in quel labirinto buio. Era pronto ad andare al campo e a combattere, non vedeva l’ora di dirlo agli altri.

Svoltò l’angolo successivo e scorse una figura in fondo al lungo corridoio. Qualcosa nella sua postura – le braccia inerti lungo i fianchi, le ginocchia un po’ flesse – suggeriva che fosse un vampiro.

Eph alzò la spada. Fece qualche passo avanti sperando di illuminare meglio lo sconosciuto.

La creatura rimase immobile. Le pareti dello stretto corridoio ondeggiarono un poco agli occhi di Eph, che barcollava a causa delle pastiglie. Forse aveva le allucinazioni, vedeva quello che voleva vedere. Aveva sperato in un combattimento.

Convintosi che fosse frutto della sua immaginazione, divenne più baldanzoso e si avvicinò al fantasma.

«Vieni qui» disse, ribollente di collera verso Kelly e il Padrone. «Vieni a prenderle.»

La creatura rimase dov’era ed Eph la vide meglio. Il cappuccio della felpa, che formava una punta triangolare sulla testa, metteva in ombra il viso e oscurava gli occhi. Stivaletti e jeans. Un braccio lungo il fianco, l’altra mano dietro la schiena.

Eph avanzò con rabbia e decisione verso la creatura, come uno che attraversi la stanza per chiudere una porta sbattendola. La figura non si mosse. Eph si puntellò sulla gamba posteriore e menò un fendente a due mani da battuta di baseball, mirando al collo.

Si sorprese del clangore prodotto dalla spada e rischiò di lasciarsi sfuggire l’elsa per il contraccolpo alle braccia, spinte indietro. Per un attimo un’esplosione di scintille illuminò il corridoio.

Eph impiegò qualche istante a capire che il vampiro aveva parato il colpo usando una barra d’acciaio.

Con le palme e le nocche doloranti, strinse di nuovo l’elsa e arretrò per assestare un altro fendente. Il vampiro manovrò con una sola mano la barra d’acciaio e deviò l’attacco con facilità. All’improvviso Eph fu colpito al petto da uno stivale, inciampò nei propri piedi e crollò a terra.

Fissò la figura confusa dal basso in alto. Era del tutto reale, ma... anche diversa. Non uno dei pupazzi con poco cervello che era abituato ad affrontare. Quel vampiro aveva una calma, una padronanza di sé che lo differenziavano dalle masse furiose.

Eph si rialzò con impaccio. La sfida attizzò il fuoco che gli bruciava dentro. Non sapeva cosa fosse quella creatura e se ne fregava. «Vieni avanti!» gridò invitandolo a gesti. Di nuovo l’altro non si mosse. Eph bilanciò la spada e mostrò al vampiro la punta d’argento. Fintò un colpo, ruotò rapidamente su se stesso – una delle sue mosse migliori – e vibrò un fendente talmente forte da tagliare in due la creatura. Ma il vampiro aveva previsto la mossa e la parò con la barra di ferro. Eph contrattaccò, schivò, cambiò direzione, puntò dritto al collo.

Il vampiro era pronto. Con una mano afferrò il braccio di Eph e lo strinse come una morsa calda. Lo torse con tale forza che lui fu costretto a inarcarsi all’indietro per impedire che la pressione gli spezzasse il gomito e la spalla. Gridò di dolore, incapace di mantenere la presa sull’elsa. La spada gli sfuggì di mano e cadde rumorosamente al suolo. Con la mano libera Eph sguainò il pugnale che portava alla cintura e cercò di squarciare la faccia del vampiro.

Sorpresa, la creatura lo spinse a terra e barcollò indietro.

Eph strisciò via, con un dolore bruciante al gomito. Altre due figure arrivarono di corsa dalla sua parte del corridoio, due umani. Fet e Gus.

Appena in tempo. Eph si girò verso il vampiro in inferiorità numerica, aspettandosi che sibilasse e si lanciasse alla carica.

Invece la creatura raccolse da terra la spada di Eph reggendola per l’elsa rivestita di cuoio. Girò l’arma dalla lama d’argento da una parte e dall’altra, come per valutarne il peso e la manifattura.

Eph non aveva mai visto un vampiro avvicinarsi a tal punto all’argento spontaneamente né tanto meno prendere in mano un’arma di quel materiale.

Fet aveva estratto la spada, ma Gus lo bloccò con un gesto e passò davanti a Eph senza aiutarlo ad alzarsi. Il vampiro gli lanciò la spada di Eph con noncuranza, elsa in avanti. Lui la prese al volo e l’abbassò. «Mi hai insegnato un sacco di cose» disse «ma non mi avevi mai parlato di queste entrate in scena grandiose.»

La risposta del vampiro fu trasmessa per telepatia solo a Gus. La creatura spinse indietro il cappuccio nero e mise in mostra una testa completamente calva e priva d’orecchie, liscia in maniera innaturale, quasi come quella di un ladro che indossi una calza di nailon.

Gli occhi invece rilucevano di un rosso vivido, come quelli di un ratto.

Eph si alzò massaggiandosi il gomito. Quell’essere era chiaramente uno strigoi, eppure Gus gli stava vicino. Stava con lui.

«Di nuovo tu!» esclamò Fet, una mano sull’elsa.

«Che diavolo di storia è questa?» disse Eph, evidentemente l’unico all’oscuro di tutto.

Gus gli restituì la spada, lanciandogliela con forza maggiore del necessario. «Dovresti ricordarti del signor Quinlan. Il capo cacciatore degli Antichi. E al momento il più cattivo in tutta la maledetta città.» Tornò a rivolgersi a Quinlan. «Una nostra amica è stata messa in un campo del sangue. La vogliamo indietro.»

Il signor Quinlan guardò Eph con i suoi occhi permeati da secoli d’esistenza. La sua voce, quando entrò nella mente di Eph, fu morbida e misurata.

Il dottor Goodweather, presumo.

Eph incrociò il suo sguardo e si limitò ad annuire.

Quinlan guardò Fet.

Sono qui nella speranza che giungiamo a un accordo.

Low Memorial Library, Columbia University

Nella biblioteca della Columbia University, in una sala di ricerca lontano dalla cavernosa rotonda – sormontata da quella che era stata ed era tuttora la più grande cupola di granito del paese – il signor Quinlan era seduto a un tavolo di lettura di fronte a Fet.

«Tu ci aiuti a fare irruzione nel campo e noi ti faremo leggere il libro» disse Fet. «Non c’è margine di negoziazione...»

Lo farò. Ma sarete in grande inferiorità numerica nei confronti di strigoi e di guardie umane.

«Lo sappiamo. Ci aiuterai a entrare? Il prezzo è questo.»

Vi aiuterò.

Il massiccio disinfestatore aprì la cerniera di una tasca nascosta dello zaino e tirò fuori un fagotto di stracci.

L’avevi con te? chiese incredulo il Nato.

«Non c’è posto più sicuro» replicò Fet sorridendo. «Nascosto in bella vista. Chi vuole il libro deve passare da me.»

Un compito arduo, certo.

Fet si strinse nelle spalle. «Abbastanza.» Svolse gli stracci e mise in mostra un libro. «Il Lumen

Quinlan sentì un brivido freddo corrergli lungo il collo. Una sensazione rara, per uno così vecchio. Esaminò il libro mentre Fet si girava a guardarlo in faccia. La copertina era di cuoio sbrindellato e di tessuto.

«Ho tolto il rivestimento d’argento. Ho rovinato un pochino il dorso, peccato... Ha un aspetto modesto e insignificante, vero?»

Dov’è la copertina d’argento?

«L’ho messa da parte. Facile da recuperare.»

Il signor Quinlan lo fissò. Sei pieno di sorprese, vero, disinfestatore?

Fet scrollò le spalle per liquidare il complimento.

Il vecchio ha scelto bene, signor Fet. Il tuo cuore è semplice. Sa ciò che sa e agisce di conseguenza. È difficile trovare una saggezza più grande.

Il Nato sedeva con il cappuccio nero gettato sulle spalle; la bianca testa liscia era scoperta. Aveva davanti a sé l’Occido lumen, aperto a una delle pagine miniate. Poiché i bordi argentati erano repellenti per la sua natura di vampiro, girava con cura le pagine servendosi di una matita. A un tratto toccò con la punta del dito la parte interna del foglio, quasi come un cieco che sfiori la faccia dell’amata.

Quel documento era sacro. Conteneva la storia della creazione e dell’evoluzione della razza di vampiri del mondo e includeva parecchi riferimenti ai Nati. Era come se a un umano fosse consentito di consultare un libro che spiegasse la creazione dell’uomo e svelasse molti, se non tutti, misteri della vita. Gli occhi rosso scuro del signor Quinlan passarono in rassegna le pagine, con grande interesse.

La lettura è lenta. Il linguaggio è oscuro.

«Lo dici a me!» commentò Fet.

Inoltre, molto è nascosto. Nelle immagini e nella filigrana. È più chiaro ai miei occhi che non ai tuoi, ma la lettura richiederà un certo tempo.

«Che è proprio quello che non abbiamo. Quanto ci vorrà?»

Gli occhi del Nato continuavano a muoversi lungo le pagine. Impossibile dirlo.

Fet si rese conto che la sua ansia distraeva il signor Quinlan. «Stiamo caricando le armi» disse. «Hai un’ora, più o meno, poi verrai con noi. Porteremo via Nora...»

Si girò e si allontanò. In tre passi il Lumen, il Padrone e l’apocalisse evaporarono. Nella mente aveva solo Nora.

Quinlan riportò l’attenzione alle pagine del Lumen e cominciò a leggere.