Le regole del campus
La prima settimana di vacanze trascorre tranquilla. La mattina vado a correre, durante il giorno studio e il pomeriggio lavoro da Snowdon Books, una libreria sulla High Street. La notte io e Chris ci addormentiamo insieme dopo aver passato ore a parlare e al risveglio cerchiamo di non farci intercettare da Rebecca mentre usciamo uno dalla stanza dell’altra. Lui continua a lasciare le scarpe sul tavolo e a prendere la sua marmellata senza chiederle il permesso, e lei sembra essersi rassegnata. Ma ha cominciato a insinuare che tra me e Chris ci sia qualcosa.
«Quindi, ricapitolando, non solo passerai il Natale qui da sola con lui, ma gli hai anche preso un maglione».
Fa per passarmi un tiro dalla canna che sta fumando, stravaccata sul mio letto.
«No grazie. E no, non c’è niente tra noi. Semplicemente, dato che passeremo il Natale insieme, mi sembrava carino prendergli qualcosa».
«Sarà» replica poco convinta. «Comunque, saresti anche potuta venire con me dai miei».
Stamattina, quando siamo uscite a fare spese, ha insistito così tanto per farmi passare il Natale a casa sua che un po’ mi sento in colpa per aver rifiutato. Mi alzo dal letto, apro l’armadio e prendo un paio di jeans puliti e un maglione.
«Cos’è? Quello sfigato ti ha contagiato?» Rebecca guarda di traverso il golfino a collo alto che ho in mano. «Non vorrai vestirti così anche alla cena di stasera? Ci saranno i ragazzi del secondo piano!»
«Cos’ha che non va?»
Lei sbuffa e fa per alzarsi. «Ci vuole qualcosa di più scollato. Fa’ vedere se trovo…»
Chiudo l’anta prima che inizi a frugare nel mio armadio e comincio a cambiarmi. Lei mi lancia un’occhiata offesa. Poi torna a sedersi sul mio letto e riprende a fumare.
«Non è un po’ presto per andare in libreria?» mi chiede sospettosa.
«Non sto andando in libreria».
«Ti vedi con un ragazzo?»
La ignoro e mi chino per allacciare le Converse.
«Scommetto che è quello sfigato». Spegne la canna nel portacenere che si è portata appresso mentre io prendo chiavi e telefono dalla scrivania e li infilo nella borsa. «Comunque, a che ora torni?»
«Ho chiesto al signor McAlistair di poter staccare un po’ prima oggi. Se hai bisogno di una mano in cucina per preparare la cena…»
«Al cibo ci penso io. Tu cerca di metterti qualcosa di decente. E se non ce l’hai, compratelo. Andrew ha un debole per le rosse, magari è la volta buona che ti diverti un po’ anche tu. Da quando sei qui non hai fatto altro che studiare e…»
Smetto di ascoltarla e lego i capelli in una coda alta. Lancio un’occhiata allo specchio. L’immagine che mi rimanda è sempre la stessa, quella di una ragazza che non lascia avvicinare nessuno. Alle mie spalle vedo Rebecca aprire il cassetto del mio comodino e guardarci dentro. Allunga una mano e tira fuori la collana con il cuore di granato che mi ha regalato Duncan l’anno scorso. «Uno di questi giorni mi devi raccontare della tua vita prima di venire qui». Guarda incuriosita il ciondolo, poi si volta verso di me. «Sono certa che mi stai nascondendo qualcosa, e scommetto che quel qualcosa ha a che fare con un ragazzo».
O con due. Mi volto verso di lei e la osservo in silenzio mentre rimette la collana al suo posto, vicino al libro in cui ho conservato il fiore di melo che mi ha dato Evan quando ho lasciato Dublino. Se si può racchiudere una vita in un cassetto, io l’ho fatto. E a volte mi dico che non è servito a niente.
«Hai intenzione di restartene sdraiata lì tutta la sera?» le chiedo mentre do un’occhiata allo schermo del portatile. Sono in ritardo. Prendo il cappotto dall’armadio e me lo infilo mentre Rebecca abbraccia il mio cuscino.
«Devo sceglierti un outfit per stasera» mi dice.
Faccio per ribattere, ma lei mi precede. «Ora vorrei farmi una dormita se non ti dispiace. Au revoir
. E salutami lo sfigato».
Arrivo di corsa davanti alla vecchia chiesa dove ci siamo dati appuntamento, e lui è già lì che mi aspetta.
«Ehi». Mi saluta venendomi incontro.
«Scusa il ritardo, Chris».
«Tranquilla. Allora, sei pronta?»
«No» replico trafelata. «Rebecca mi ha tenuta in ostaggio fino a poco fa».
Mentre io riprendo fiato, lui apre la custodia che tiene a tracolla e mi porge la macchina fotografica. «Hai detto che tua madre era un’appassionata di fotografia, giusto?»
«Sì. E mio padre era un artista, ma io sono negata per il disegno».
«Beh, almeno un talento lo avrai ereditato, no?»
Ci incamminiamo in mezzo agli alberi che circondano il piccolo cimitero all’aperto, lui mi dà qualche dritta sulla messa a fuoco e la luce.
Le prime foto sono uno schifo, ma Chris è troppo gentile per dirmelo.
«Come mai vuoi imparare?» mi chiede sedendosi su un grosso masso.
Mi sistemo accanto a lui e poso la borsa a terra. «Con il prestito studentesco pago solo la retta e l’alloggio. Il lavoro in libreria mi piace e mi permette di arrotondare, ma non è esattamente la carriera dei miei sogni».
«Credevo che passare i pomeriggi in compagnia del signor McAlistair fosse il sogno della tua vita».
«Rebecca lo chiama Mister Alito Fuggente».
Ride. «Cosa ti piacerebbe fare?»
Giocherello con un rametto secco, muovendolo con la scarpa. «Scrivere. Mi piacerebbe propormi per collaborare con una delle riviste online della zona, l’anno prossimo, e uno dei requisiti richiesti è la capacità di realizzare contenuti fotografici».
«È un buon punto di partenza».
Annuisco. «Posso farti una domanda?» gli chiedo. Lo vedo annuire.
«Ti sei mai pentito di non avermi baciata, ad Halloween?»
Lui ridacchia. «Di non essermi fatto baciare da te, vorrai dire».
Sbuffo. Il rametto si spezza sotto la mia suola.
«Non lo so, comunque. Forse sì. Ma penso che la nostra amicizia valga molto più di qualunque altro tipo di relazione». Fissa un punto di fronte a sé e si accarezza un polso. «Ho avuto delle ragazze, ma mai un amico vero, o un’amica, qualcuno che mi capisse e mi accettasse per quello che sono».
Poso i gomiti sulle cosce e il mento sui pugni. Davanti a noi, un passerotto saltella sull’erba.
«Chissà come sta» dico piano.
«Chi?»
Evan. Duncan. Chissà cosa staranno facendo in questo momento. Chissà se anche loro, come me, hanno trovato qualcuno in grado di capire quello che si portano dentro. «L’uccellino che hai salvato».
Un colpetto alle costole mi sbilancia su un lato. «Che fai?» chiedo a Chris che si sta rimettendo in piedi.
«Conosco quell’espressione».
«Quale?»
Mi rivolge un sorriso storto. «Rimettiamoci al lavoro, ok?»
Accetto e lo seguo in mezzo alla boscaglia. Trascorriamo qualche minuto immersi nel silenzio della natura; poi Chris propone di spostarci in città.
«Ceni con noi stasera?» domando mentre lui rimette la fotocamera nella custodia. «Ci saranno anche i ragazzi del secondo piano».
«No, ma grazie per avermelo chiesto».
«Non ti piacciono, vero?»
Accenna un sorriso. «Diciamo che alcuni di loro mi hanno reso la vita difficile quando andavamo a scuola».
Mentre lui rimette la tracolla in spalla, ricevo un messaggio sul cellulare. È Rebecca, dice che è passato il custode ed è entrato nella mia camera mentre lei era in cucina per prendere da bere…
«Oh merda!»
Chris mi osserva perplesso. «Che succede?»
«Devo rientrare al campus, subito!»
Comincio a correre. Fuori dal palazzo c’è ancora il caddy del custode, mi precipito dentro e lo trovo nella nostra cucina. Sta parlando con Rebecca e tiene in mano la canna che lei stava fumando sul mio letto.
«È venuto per controllare l’impianto elettrico e le prese…» mi spiega lei non appena mi vede.
L’uomo, alto e corpulento, sulla sessantina, mi guarda severo. «Sei tu Rain Donovan?»
Annuisco mentre cerco di riprendere fiato.
«È tua, questa? L’ho trovata sul tuo letto, insieme a un accendino e un posacenere».
Esito. Non voglio tradire Rebecca, ma se mi assumessi la colpa nel migliore dei casi verrei espulsa.
«È mia».
Cosa cavolo… Mi volto verso Chris che mi ha raggiunta alle spalle.
«L’ho dimenticata in camera sua».
Faccio per ribattere ma lui mi guarda come per dire di stare al gioco. Rebecca se ne sta zitta e non sembra troppo preoccupata del fatto che, per colpa sua, Chris rischia di finire nei casini. Ma io non posso permettere che succeda.
«Chris, non è necessario. Quella canna è…»
«È mia» interviene Rebecca, lasciandomi di stucco.
«I miei amici stanno tentando di prendersi la colpa, ma…»
«Statemi bene a sentire. Sono tenuto a informare la Polizia, lo sapete. Devo prendere dei provvedimenti contro tutti e tre, o mi dite a chi appartiene?»
«È mia» ripetiamo all’unisono. A Rebecca viene da ridere, ma il custode la mette a tacere con uno sguardo. Poi si rivolge a Chris.
«È davvero tua?»
«Sì, Victor. È mia».
L’uomo lo fissa in silenzio.
«Va bene. Sei fortunato che sia stato io a trovarla. Una sanzione ti farà passare la voglia di sprecare i tuoi soldi per comprare quella roba».
Chris si rilassa mentre l’uomo infila la canna in tasca.
«Domani passeranno i colleghi della Sicurezza per sistemare le prese. Sarà meglio per voi che non trovino nulla di strano nelle vostre stanze». Lancia un’occhiata severa nella mia direzione, poi saluta Chris con una pacca sulla spalla e se ne va.
Rebecca si scusa per averci messi nei casini e prova a convincere Chris a prendere parte alla cena di stasera, ma lui rifiuta augurandoci buona serata prima di infilarsi nella sua camera.
«Però, devo ammettere che quello che è successo ha fatto guadagnare un sacco di punti allo sfigato».
«Quand’è che la smetterai di chiamarlo così?»
Lei ridacchia. «Quando tu ammetterai che ti piace».