Miss Laundry
«Non ho mai…»
Non ho mai avuto tanta voglia di andarmene dalla nostra cucina. Questo gioco mi è venuto a noia e come se non bastasse mi ricorda la festa che Evan aveva organizzato nella nostra casa.
Rebecca, invece, sembra divertirsi un mondo. Manda giù tutto d’un fiato il bicchierino di vodka che il tipo seduto accanto a lei le ha riempito e si mette a ridere per qualcosa che lui le sta dicendo all’orecchio.
«Per quanto andranno avanti ancora, secondo te?»
Mi volto in direzione del ragazzo seduto sulla sedia accanto alla mia, l’unico a parte me che non sembra divertirsi, capelli castano chiaro e occhi verdi.
«Per me possono continuare anche sino a domani. Tra un po’ mi rintanerò in camera a leggere un libro».
«Mhmm, l’idea non è affatto male. Potrei rubartela».
«Sei uno dei ragazzi del secondo piano?»
«No, vivo nella parte nuova del campus. Sono un compagno di corso di Andrew».
Lo scruto un istante, cercando di ricordare come si chiami. Non è Matt, che è il tizio seduto accanto a Rebecca, mentre Andrew è quello che sta vicino a Karen, la bionda con il piercing al naso che vive nell’appartamento al terzo piano.
«Scusami, ma non riesco proprio a ricordare il tuo nome».
Lui ridacchia. «Non ti preoccupare, non sei la prima persona a cui succede. Sono Cadoc Stephens, comunque». Allunga una mano verso di me.
«Rain Donovan» mi presento stringendogliela.
«Non sono l’unico ad avere un nome particolare a quanto sembra».
La sua osservazione mi strappa una risata.
«Ehi, voi due» ci richiama Rebecca, «invece di starvene in disparte a flirtare, perché non andate al ventiquattr’ore? Abbiamo finito la Cadbury».
Fuori fa piuttosto freddo e quando usciamo mi stringo nella sciarpa che mi ha regalato Chris.
«Allora» riprende Cadoc «che cosa studi?»
«Scrittura creativa e media».
«Wow, quindi frequenti lo stesso corso di Matt».
Annuisco. «Tu invece?»
«Psicologia. Originale, vero?»
«Penso sia una materia affascinante».
Lui ridacchia. «Così tanto che è il corso con il maggior numero di iscritti. Il tuo coinquilino, invece…»
«Chris?»
«Sì. L’ho visto spesso nei locali in cui faccio dj set, è il ragazzo che fa le foto, vero?»
Annuisco. «Lui studia cinema».
«Ok, sono decisamente lo studente con la carriera più noiosa di tutta…» si interrompe. «Non è lui, quello? Che sta facendo?» Indica un punto vicino alla lavanderia, dove vedo Chris accovacciato sulle gambe. Mi blocco, poi mi affretto a raggiungerlo lasciandomi dietro Cadoc.
«Chris!» lo chiamo mentre mi avvicino. Quando si volta tiro un sospiro di sollievo. Sta bene.
«Rain» mi saluta sorpreso, alzandosi. Accanto a lui, un gatto sta mangiando da un piatto di plastica.
Cadoc ci raggiunge e osserva la scena incuriosito. «Come si chiama?» chiede poi a Chris indicando il gatto con un cenno.
«Miss Laundry. Io e il custode l’abbiamo chiamata così perché gira sempre qua attorno».
Cadoc sorride. «Ho anche io un gatto, a casa dei miei». Si volta verso di me. «Rain, tu hai animali?»
«Avevo un cane quando stavo dai miei, a Howth».
Mi guarda sorpreso. «Avevi? Che gli è successo?»
Non rispondo, limitandomi a scambiare un’occhiata con Chris.
«Ok, sono stato indiscreto. Quanti anni ha questa signorina?»
«Quattro» risponde Chris. Cominciano a parlare della gatta e per la prima volta vedo Chris iniziare ad aprirsi con qualcuno che non conosce.
«Bene» dice Cadoc rialzandosi, dopo aver grattato Miss Laundry sulla testa. «Io e Rain stavamo andando al ventiquattr’ore, ti va di unirti a noi?»
Aspetto che Chris rifili a Cadoc la prima scusa che gli passa per la testa, ma mi lascia sorpresa quando accetta con un’alzata di spalle e un “Perché no?” seguito da uno dei suoi sorrisi storti.
Al market prendiamo delle patatine in busta e dei popcorn, poi ci spostiamo verso lo scaffale delle caramelle.
«Sentite,» Cadoc prende una confezione di toffee «e se anziché tornare dai nostri amici andassimo da me a vedere un film?»
Chris si avvicina alla cassa per pagare. «Credevo che la cena di Rebecca fosse uno sballo».
Cadoc ridacchia mentre prende una confezione di cioccolatini dal carrello e la passa a Chris.
«Per me è ok, comunque».
La risposta di Chris mi sorprende per la seconda volta nel giro di mezz’ora. «Che c’è?» domanda mentre prendo il portafogli dalla tasca del cappotto.
Non riesco a nascondere un sorriso. «Niente».
L’alloggio di Cadoc si trova al primo piano di una delle palazzine del blocco vicino alla palestra.
Quando arriviamo ci fa accomodare in un salotto con un divano a quattro posti e un grande televisore al plasma.
Prendo un marshmallow dalla bustina che tengo sulle gambe, poi la passo a Chris che è seduto accanto a me e si guarda intorno perplesso. «Non capisco» dice pescandone uno, «perché da noi non ci sono né un divano né una tv?»
«Perché continuiamo a prendere multe ogni volta che vengono a ispezionare l’appartamento».
Cadoc prende il telecomando dal tavolino. «Sul serio?»
Annuisco. «Lui e Rebecca hanno scambiato la cucina per uno sgabuzzino».
«Non è vero». Guardo mister Scarpesultavolo di traverso e lui mi passa un braccio attorno alle spalle. Cadoc accende la televisione e inserisce un dvd nel lettore, poi si siede accanto a Chris. Li sento scambiare qualche battuta e ridacchiare mentre guardiamo il film, una parodia di Star Wars.
Quando il film finisce, Cadoc ci ringrazia per la serata e ci chiede i numeri di telefono. Poi propone a Chris di vedersi qualche volta.
«Il compagno di mia madre è un fotografo, te lo farò conoscere».
Chris accetta, poi gli chiede se può usare il bagno. «Seconda porta a destra, non spaventarti per il casino».
Rimasti da soli, chiedo a Cadoc dove passerà il Capodanno.
«Ho accettato di fare dj set in un albergo a Cardiff. Ho degli inviti per la festa, se vi va potreste unirvi. L’invito è esteso anche a Rebecca ovviamente».
Mi infilo il cappotto e avvolgo la sciarpa attorno al collo. «Perfetto, Becca sarà entusiasta. E forse mi perdonerà per essere sparita».
Chris rientra e si rimette la giacca mentre io prendo la busta con gli snack. Cadoc ci accompagna sino all’ingresso, dove ci saluta con la promessa di farsi sentire presto.
«Mi sa che hai fatto colpo» dico a Chris una volta fuori.
«Di che stai parlando?»
«Cadoc ha un certo debole per te, non dirmi che non te ne sei accorto».
Infila le mani nelle tasche e cammina fissandosi la punta delle scarpe. «Non mi piacciono i ragazzi».
«Ok. Scusa» aggiungo notando che si è rabbuiato. Lui si limita a scrollare le spalle. Percorriamo un lungo tratto in silenzio, poi lo sento sospirare.
«C’è una cosa che non ti ho detto… Riguarda mia madre».
«Di che si tratta?»
«Mi ha chiamato questo pomeriggio. È caduta dalle scale, quindi non potrà andare dalla sua amica per Natale».
«Mi dispiace».
«Mi ha chiesto di tornare per darle una mano. Partirò domani».
«Ma hai detto che tu e lei non…»
«Lo so. E so anche che non me lo ha chiesto perché le fa piacere passare il Natale con me. Ma non posso lasciarla da sola con mio padre».
«Verrò con te».
«Cosa?» Il suo sguardo è attraversato da un lampo di paura. «No, non…»
«Hai mai portato qualcuno a casa?»
«No. Non ho mai avuto molti amici…»
«Conosco le persone come tuo padre. Davanti agli estranei, fingono una calma che non gli appartiene. Se ci sarò anche io…»
«Scordatelo».
«Perché?» domando fermandomi davanti all’ingresso del nostro palazzo.
«Perché non voglio e basta».
«Non ti farò andare da solo, Chris».
«Sì invece».
«Perché non…»
«Insomma, Rain, mi conosci da poco più di tre mesi e già credi di sapere come sia la mia vita o cosa sia meglio per me?»
«No, ma…»
«E allora non insistere. Restane fuori. Non voglio il tuo aiuto. Non voglio l’aiuto di nessuno». Apre la porta d’ingresso senza più guardarmi e mi lascia qui, a darmi mentalmente della stupida. Entro anche io, decisa a scusarmi, ma quando percorro il corridoio del nostro appartamento lui si è già chiuso nella sua stanza. Raggiungo la cucina, dove trovo Rebecca che sta ancora bevendo e fumando con gli altri. Mi avvicino alla mia amica per lasciarle la busta del ventiquattr’ore. Prima di andarmene, le chiedo se l’offerta di passare il Natale dai suoi è ancora valida.
La sua risposta riesce a strapparmi un sorriso. Rientro in camera, lancio il cellulare sul letto e mi preparo per la notte. Vado in bagno per lavare i denti. Con un sorso d’acqua mando giù il contraccettivo che mi ha prescritto la dottoressa. Mentre lego i capelli in una treccia, il casino della cucina si sposta nel corridoio e si placa sino a spegnersi in un piacevole silenzio. Mi sono appena infilata a letto quando sento bussare alla porta. Mi alzo per aprire.
«Ehi». Chris mi rivolge un sorriso storto. «Eri già a letto?»
Scuoto la testa. «Che succede?»
«Volevo scusarmi per prima…»
«No, avevi ragione tu. Non avrei dovuto intromettermi. È solo che mi…»
«Che ti dispiace per me» mi interrompe. «Lo capisco, ma non voglio che tu mi compatisca».
«Stavo per dire che mi preoccupo per te, Chris».
Mi sorride imbarazzato. «Sono stato un idiota».
Ricambio il suo sorriso, poi vado verso il letto e mi infilo sotto le coperte, invitandolo a fare lo stesso.
Gli faccio posto mentre si distende accanto a me e tira il piumone sopra di noi. «Non sei costretto a tornare a casa per Natale, se non vuoi».
«Lo so».
«E allora non andare. Inventa una scusa, parti per quel giro della costa di cui mi parli sempre. Non volevi fotografare l’alba dalle scogliere?»
«L’ora blu».
«L’ora blu?»
«Sì» mette un braccio sotto la testa, «quando il sole è sotto l’orizzonte e la luce ha quella particolare sfumatura fredda. È l’unico momento in cui la notte e il giorno si incontrano».
«Deve essere meraviglioso visto dalla costa».
«Lo è. Ma non posso andare, non adesso. Mia madre ha bisogno di me».
«Ma continuare a vivere con quell’uomo è una sua scelta, Chris. Non puoi sentirti costretto a…»
«È da quando ho sedici anni che non alza un dito contro di me» mi interrompe. «Non ne ha più il coraggio, dopo l’ultima volta in cui ci ha provato. Ho reagito. Se avessi voluto, lo avrei ammazzato». Chiude gli occhi. «Ma quando lo guardo, continuo a vedere l’uomo forte e gentile che mi portava in giro sulle spalle quando avevo sei anni».
Stringo le dita sul cuscino. «Che cosa lo ha cambiato?»
«Il tempo. Era un militare, è stato riformato dopo aver perso l’uso della gamba destra. Ha iniziato a passare le giornate sul divano, a bere e imprecare contro tutto e tutti. Ha smesso di prendermi sulle spalle,» si volta a guardarmi «ma ha continuato a essere mio padre. Ho i suoi stessi occhi».
«No, non credo. I tuoi cercano la bellezza anche dove non sembra esserci più».
Chris sorride amaramente. «Sei la prima persona che trova qualcosa di buono in me, Rain. E sei tu che vedi la bellezza anche dove non c’è».
Restiamo un istante in silenzio. Poi lui mi sfiora la bocca con un bacio.
«Chris…»
«Scusami. Non so perché l’ho fatto».
Scuoto la testa. «È tutto ok».
Mi fissa le labbra ancora per un istante, poi si allontana. «Ti leggo qualcosa, vuoi?»
Annuisco e lui allunga una mano verso il mio comodino. Afferra il libro che ho lasciato accanto alla lampada e riprende a leggere da dove si era interrotto l’ultima volta. Mi rannicchio contro di lui e chiudo gli occhi, mentre la sua voce mi accarezza.
L’allarme antincendio comincia a suonare. Chris si lascia sfuggire un’imprecazione e mette giù il libro. «Un’esercitazione adesso?!»
Ci alziamo, ancora mezzo addormentati. «Comincia a uscire» mi dice, «io infilo le sneakers e una felpa e ti raggiungo».
Fuori trovo gli altri studenti radunati in mezzo alla strada. Tra loro avvisto Victor, indossa la divisa da custode e all’orecchio ha il walkie-talkie che solitamente porta appeso alla cintura.
Mi avvicino a Rebecca. «Che cosa è successo?»
«Non hai freddo?» chiede notando che sono in pigiama e pantofole.
«Un po’. Ma perché stanno facendo un’esercitazione adesso?»
«Non è un’esercitazione» interviene Matt. «Qualcuno ha appiccato il fuoco vicino alla lavanderia».
«Merda».
L’imprecazione di Chris mi raggiunge alle spalle. Mi volto in tempo per vederlo cominciare a correre. Gli vado dietro e quando ci avviciniamo al luogo dell’incendio uno dei pompieri viene verso di noi.
«Non potete stare qui». Ci fa segno di allontanarci. «È pericoloso».
L’odore di bruciato mi dà la nausea; porto le mani davanti alla bocca e cerco di respirare piano.
«C’è un gatto che gironzola sempre qui attorno» sento dire da Chris. «Volevamo assicurarci che…» la voce gli si spezza mentre viene scosso da un colpo di tosse.
«Non abbiamo visto animali, rientrate al campus».
Chris mette un braccio davanti alla faccia e mi rivolge uno sguardo d’intesa. Ci allontaniamo in fretta e cominciamo a cercare la gatta lungo la strada che porta ai dormitori.
«Pensi che sia qui vicino?» domando preoccupata.
Chris mi risponde con un cenno di assenso, poi comincia a chiamarla. «Miss Laundry!» Mi unisco a lui, guardandomi attorno mentre l’aria fredda della notte mi fa rabbrividire.
Un miagolio rauco ci raggiunge da sotto una macchina; ci fermiamo e Chris si piega per controllare. «È lei». Allunga una mano e cerca di farla uscire. «Qui, Miss Laundry. Sono io, non temere».
La gatta miagola, in un modo che ricorda il lamento di un neonato. Chris mi guarda preoccupato.
Mi chino accanto a lui e sgancio la mia collanina. Agito la mezza mela sull’asfalto e la gatta si trascina fuori seguendola. Chris la prende in braccio. «Non riesce a respirare».
«Portiamola dai pompieri, forse possono aiutarci…»
Mentre corriamo, inciampo e cado. «Vai Chris, ti raggiungo».
Mi rimetto in piedi e tolgo la polvere dalle gambe. Ho un ginocchio sbucciato e quando provo a muovere un passo sento una fitta alla caviglia. Che serata del cavolo. Stringo i denti e cerco di fare più in fretta che posso. Ma quando raggiungo Chris, lo trovo seduto sul bordo del marciapiede, in lacrime.
«Chris…»
«Non ce l’ha fatta».
Mi siedo accanto a lui e gli poso la testa sulla spalla. La luce di un lampione crea un gioco di ombre ai nostri piedi.
«Dov’è adesso?»
Si sfrega una mano sugli occhi. «L’hanno presa i pompieri, ci penseranno loro».
Il vento smuove le fronde degli alberi dall’altra parte della strada. Mi stringo nelle braccia.
«Torna al campus, Rain, prenderai freddo».
«No. Non ti lascio qui da solo». Gli prendo la mano. È gelida.
Lui stringe le dita attorno alle mie. Osservo le unghie rosicchiate fin quasi a metà e comincio ad accarezzargli le dita.
«Ho un gatto a casa dei miei» dice sottovoce. «Si chiama Xero. È un maschio, il mio unico amico. Miss Laundry… Victor sarà distrutto. È vedovo, quella gatta gli faceva compagnia…»
«Mi dispiace».
Lascia andare la mia mano e si rimette in piedi. «Ce la fai a camminare?» mi chiede notando la sbucciatura che ho sul ginocchio.
«Sì». Faccio per alzarmi ma una fitta alla caviglia mi costringe a mordermi il labbro. «Devo aver preso una storta».
Lui mi osserva preoccupato. «Vieni qua». Mi circonda le spalle con un braccio, passa l’altro dietro le mie gambe e mi solleva. Mi aggrappo alle sue spalle, sorpresa dalla facilità con cui mi tiene tra le braccia.
Quando arriviamo al campus, gli altri sono già rientrati nelle loro stanze. Chris mi posa sul mio letto e va in bagno per prendere una medicazione.
«Avresti potuto studiare infermieristica» lo prendo in giro mentre applica un cerotto sulla mia sbucciatura. Mi rivolge un sorriso storto.
«Ecco fatto. Ti prendo del ghiaccio per la caviglia». Si allontana e quando rientra ha con sé uno strofinaccio in cui ha avvolto dei cubetti di ghiaccio.
«Tienilo premuto per una manciata di minuti, dovrebbe aiutarti». Mi porge la borsa del ghiaccio improvvisata e fa per andarsene.
«Non resti qui?»
«No, ho bisogno di stare un po’ da solo. Scusami».
«Non preoccuparti. Ci vediamo domani».
«Sì, a domani. Buonanotte, Rain».