Ritrovarsi
Arrivo a Dublino quando il sole comincia a rischiarare il cielo. L’aria è impregnata di profumi familiari che credevo di aver dimenticato. Il vento che mi soffia sulla faccia quando scendo dal taxi non è lo stesso che mi dà la sveglia a Bangor.
Sussurra tra le strade e la sua è la voce di mia madre, di papà, di Duncan e delle persone che amo e che non rivedrò mai più.
Percorro il cortile sino all’ingresso e mi fermo davanti alla porta della casa in cui ho vissuto con Evan per un mese.
In questa casa ho fatto l’amore con lui per l’ultima volta, prima che le nostre strade si allontanassero nuovamente.
Qui ci saremmo dovuti scambiare delle nuove promesse, avremmo dovuto ricominciare insieme, lasciandoci gli errori del passato alle spalle.
Ma è il passato con il suo carico di scelte sbagliate e di rimpianti a renderci ciò che siamo.
Comincia a piovere.
Aspetto alcuni istanti prima di bussare, chiedendomi cosa farò quando me lo ritroverò davanti. Stavolta non c’è un autobus che mi porterà via dal dolore che mi provocano quei cieli senza stelle. Quando la porta si apre, è Thomas ad accogliermi.
«Ehi, bellezza». Il suo tono è spento e il suo viso tirato e stanco. La barba rossa è incolta come sempre, ma gli occhi azzurri sono incredibilmente tristi. Aspetto che mi abbracci, ma non lo fa.
«Lui dov’è?»
«Sta dormendo» dice. Poi mi fa entrare.
«Ti va un caffè?»
Annuisco e lo seguo in cucina.
Mi sistemo su una sedia e lascio la borsa a terra, mentre lui mette il bollitore sul fuoco.
Qui dentro tutto è rimasto come l’avevo lasciato: le calamite sul frigo, qualche fiore portato dalla signora McCarty, un libro di fisica sul tavolino del soggiorno, i pochi bicchieri rimasti nella credenza dopo che Evan li aveva fatti cadere. È come se il tempo si fosse fermato e io non me ne fossi mai andata.
«Credo di non averti mai chiesto scusa per averti morso, alla festa di diploma di Shannon».
Thomas si volta e mi sorride.
«A me dispiace per aver finto di non sapere chi fossi, quando sei venuta a casa mia con Evan. Ti avevo vista solo una volta prima di quella sera, ed ero piuttosto ubriaco… Due, se contiamo la volta fuori da casa di Conor. Ma sapevo chi eri. Evan mi aveva detto che ti avrebbe portato con sé e mi aveva chiesto di tenere la bocca chiusa. Ho sempre pensato che fosse una scelta del cazzo».
Inizio a capire lo strano atteggiamento di Thomas quella sera, la sua insistenza nel dirmi che ci eravamo già visti. «È per questo che mi hai parlato della scommessa che avevate fatto a casa di Conor?»
«Volevo vedere se ricordavi qualcosa. Quando Evan mi ha preso da parte col pretesto di parlarmi di Lauren mi ha piazzato un casino. Non l’avevo mai visto così spaventato».
Lo guardo senza capire. «In che senso?»
Si volta per spegnere il fuoco e prendere due tazze dal mobile.
«Aveva paura che tu ti ricordassi di lui».
Versa l’acqua e del caffè in polvere, poi apre il barattolo dello zucchero.
«Due» gli dico.
Gira il cucchiaino nei caffè e mi si avvicina per porgermene uno.
Lo ringrazio e lui resta in piedi davanti a me mentre prendo il primo sorso.
«Non ho mai capito perché hai deciso di andare in Galles».
Ci guardiamo in silenzio e capisco che ce l’ha con me, anche se si sforza di non mostrarlo apertamente. «È stato meglio così, Tommy».
«Per te, forse».
Non può nemmeno immaginare quanto si sbaglia.
«Io e lui non avremmo potuto essere felici…»
«Lui è uno dei miei migliori amici» mi interrompe.
«Lo so».
«E non vorrei mai vederlo ridotto come ieri sera. Aveva bisogno di te, Rain, almeno quanto ne aveva di me e Conor, forse persino di più».
Ha uno sguardo così dispiaciuto che non riesco a sostenerlo.
«Credevo sarebbe stato meglio senza di me…» Fisso il liquido scuro dentro la tazza che ho in mano.
Lui si lascia sfuggire una risata amara. «Pensavo avessi capito come è fatto».
Poi prende una lunga sorsata prima di poggiare la tazza vuota sul tavolo. «Io ora devo andare, Devo accompagnare Lauren a fare una visita». Porta le tazze vuote sino al lavandino. Lui e Lauren hanno iniziato a uscire insieme poco dopo la festa che Evan aveva organizzato a casa nostra, e sembra che per loro le cose abbiano continuato ad andare bene.
«Andrai con lui a Cork?» chiede, voltandosi verso di me.
Esito un istante, e quando faccio cenno di sì lui si rilassa. Finisce di sciacquare le tazze e va verso il salotto, ma quando raggiunge l’ingresso lo sento parlare con qualcuno.
Il mio cuore accelera e, senza rendermene conto, mi alzo dalla sedia e lascio la cucina. La porta d’ingresso viene chiusa con un tonfo e un istante dopo quella del salotto si apre.
Evan si ferma sulla soglia e mi fissa in silenzio.
I capelli sono ancora lunghi e gli sfiorano la mandibola, oscurata da un velo di barba. E i suoi occhi sono ancora quell’abisso in grado di sommergermi.
Resto ferma davanti a lui, incapace di distogliere lo sguardo dal suo volto.
Non so chi dei due faccia il primo passo, ma in un istante mi ritrovo tra le sue braccia.
«Sei qui. Sei qui» mormora tra i miei capelli stringendomi forte. Le mie mani si aggrappano alla sua schiena. È come la prima volta, alla fermata, quando mi ha salvata dall’auto che stava per investirmi. Sento il suo cuore che batte veloce, infuriato come il mio, sotto la maglietta nera che ha addosso. Percepisco una sensazione familiare, mi sento al sicuro e protetta, mentre respiro il profumo di sigarette e legna della sua t-shirt.
È come stringere tra le braccia una parte della mia vita.
È come tutte le volte in cui le nostre strade si sono incontrate.
Solo, stavolta fa male.