Una farfalla nera
Dei funerali di solito si ricordano solo alcuni dettagli insignificanti.
Una scheggiatura nella vernice della panca davanti alla tua, il rossetto troppo acceso di qualche parente, l’odore dell’incenso e delle candele, l’organista che non esegue perfettamente un brano.
Del funerale di mia madre ricordo solo una suora che mi si avvicinò per farmi una carezza e disse: «È così piccola».
Della cerimonia per Adam, ricorderò sempre il modo in cui Evan ha stretto la mano di suo padre mentre entravano in chiesa. Ricorderò il profumo dei fiori, decine e decine di fiori bianchi e rosa, una macchia di luce nella semioscurità. E una farfalla nera posata su uno dei fiori che circondavano l’altare. Ricorderò come Cassidy e Lauren mi si sono strette intorno mentre cercavo di trattenere le lacrime, e come invece Conor e Thomas abbiano pianto per tutto il tempo.
Ricorderò Bran che stringeva Joanne e sistemava la copertina in cui era avvolto suo figlio.
Ricorderò l’odore del vestito nero che Cassidy mi ha prestato, quell’odore di pulito che avevano le lenzuola di casa sua quando mi preparava la brandina per la notte.
Ricorderò la pioggia che non ha smesso nemmeno per un attimo di cadere, la mano di Evan che ha stretto forte le mie dita quando abbiamo lasciato il cimitero.
Il pianto straziante di Danielle, il suo ripetere “no” nel non volersi rassegnare a lasciar andare la persona che amava.
E Shannon, che a metà della funzione è uscita fuori ed è sparita chissà dove. Non si è presentata neanche in cimitero, e ora, a casa dei Byrne, è l’unica assente oltre a Danielle.
Cassidy mi porge un bicchiere con dell’acqua.
«Come stai?» mi chiede.
Prendo un sorso e alzo le spalle.
«La verità è che non so come affrontare questa cosa».
«In che senso?»
«Sto male da morire per lui». Cassidy mi guarda negli occhi, seria. «Sai già cosa significa questo, vero?»
Annuisco.
«Rain, sei la mia migliore amica, e sai che non te lo direi se non pensassi che è la cosa migliore per te. Tu sei innamorata di Evan, e se non lo hai dimenticato sino a ora, credimi, non lo dimenticherai mai. Ti sei innamorata di lui persino dopo che il tuo cervello lo aveva eliminato dai tuoi ricordi».
La fisso in silenzio, mentre prosegue.
«Dovresti dargli una seconda possibilità. E tu, dovresti smetterla di tenere lontane le persone che ami».
«Non so se ne ho la forza, Cassie…»
«E allora perché sei corsa da Evan, dopo che ti ho chiamata? Nessuno ti impediva di restartene in Galles» mi interrompe.
Le sorrido debolmente. «Tu e Conor avete deciso dove cercare casa?» Le cose per la mia amica stanno andando davvero bene da quando sta con Conor, e ora voglio essere felice per lei.
«Sì, credo torneremo in Irlanda. I genitori di Conor sono rientrati definitivamente a Belfast, e ci lascerebbero la casa a Howth».
La guardo, e mi rendo conto che non l’ho mai vista così raggiante quando stava con Nathan.
«Che c’è?» mi chiede notando la mia espressione.
Scuoto la testa. «Niente. Solo… Non ti avevo mai vista così serena prima».
Mi rivolge un sorriso dolce. «Perché non lo ero mai stata davvero. E in un certo senso devo ringraziare te per questo. Se non mi avessi mandata a prendere la tua roba da Evan, dopo la Masquerade, io e Conor probabilmente non ci saremo mai rivisti».
Lui le si avvicina con il figlio di Bran in braccio.
«Shawn voleva salutare le zie».
Cassidy guarda intenerita il suo ragazzo e gli posa un bacio sulla guancia, poi comincia a giocare con il piccolo.
La osservo sorpresa. I bambini non le sono mai piaciuti, ma pare che stare con Conor le stia facendo cambiare idea.
«Parlavate di me, per caso?» le chiede lui.
Lei fa il solletico a Shawn che ride come un pazzo. «Stavo dicendo a Rain che, se non ci fossimo rivisti a casa di Evan, ora non potrei morderti quel bel sedere che ti ritrovi ogni volta che voglio».
A pensarci bene forse non è cambiata poi tanto.
Lui se la ride, continuando a guardarla con l’espressione più dolce che io abbia mai visto.
Li osservo mentre giocano con il bambino e penso che sarebbe bello un giorno poter avere una famiglia vera.
Accarezzo la manina del piccolo Shawn e le sue dita si serrano intorno al mio indice.
Mi torna alla mente la piccola piramide di mani che abbiamo fatto con Evan e le sue sorelline ieri, e sento il bisogno di stare con lui.
«Vado da Evan» li avviso.
«Digli che Shawn vuole salutare anche lo zio» mi dice Conor prima che io esca dalla sala.
Sto per salire le scale quando sento una voce sconosciuta alle mie spalle.
«Rain Donovan?»
Mi giro e vedo un uomo brizzolato, sui cinquanta, che mi osserva spaesato.
«Ci conosciamo?»
Lui scuote la testa, poi mi sorride e mi porge la mano.
«Sono Dominic Cavanagh».
Il suo nome mi è familiare, ma non ricordo dove l’ho sentito.
Stringo la sua mano, continuando a guardarlo disorientata.
«Sono… Ero un amico dei tuoi genitori».
«Oh». È l’unico suono che mi esce dalla bocca.
«Somigli davvero tanto a tua madre. L’ultima volta che ti ho vista avrai avuto sì e no sette anni».
«Mi dispiace, io non mi ricordo».
«È normale. Lily ti portò con sé solo quella volta. Aveva saputo che mia madre era venuta a mancare, e volle venire alla funzione. Tu passasti tutto il tempo insieme ai gemelli dei Byrne. E siete rimasti amici, a quanto pare».
Mi rivolge un sorriso triste, ma sono troppo frastornata per ricambiare.
«Scusami, credo di averti trattenuta con le mie chiacchiere. Stavi andando da Evan?» domanda con uno sguardo in direzione del piano superiore.
«Sì. Sì, io… Stavo per salire».
«Allora ti lascio andare. È stato un piacere, mia cara».
«Anche per me».
Inizio a salire le scale lentamente, quando la voce del signor Cavanagh mi richiama.
«Rain?»
Mi volto verso di lui, tenendomi saldamente al corrimano in legno.
«So che in questi anni non hai avuto bisogno del mio aiuto, ma ricorda che per qualunque cosa io ci sono. L’ho promesso a tuo padre».
Annuisco, stordita, e riprendo a salire.
Mio padre non mi ha mai parlato di lui, e la mamma… Perché sarebbe dovuta venire sino a Cork per un funerale senza papà?
E come se non bastasse, il signor Cavanagh ha detto che in quell’occasione ho passato tutto il tempo con i figli dei Byrne.
Con Evan.
E con Adam.
Mi fermo un istante davanti alla porta della camera di Evan, mentre le lacrime cominciano a venire fuori insieme alla stanchezza.
Io e Adam abbiamo passato dei momenti insieme, e anche se ero troppo piccola per ricordarmene, sento farsi ancora più pesante il senso di perdita.
E l’idea di aver conosciuto Evan quando ero ancora una bambina…
L’ansia cerca di serrarmi il respiro, ma grazie alla dottoressa Lloyd ho imparato a controllarla.
Mi appoggio alla parete del corridoio e chiudo gli occhi. Mi sembra quasi di vedere Adam scarabocchiare una serie infinita di elefantini lungo il muro e un sorriso dolce mi sfugge tra le lacrime. Attendo qualche minuto sino a che non mi riprendo, poi mi avvicino alla porta della camera di Evan. Busso, ma lui non risponde, così provo ad abbassare la maniglia e la trovo aperta.
Entro. Lui è seduto sul letto, con la chitarra in braccio.
Sta suonando una canzone, la stessa che abbiamo cantato in spiaggia, dopo la festa da Thomas. La stessa che ha eseguito al saggio di fine anno, una di quelle che gli ho sentito cantare nei pomeriggi in cui a scuola c’eravamo solo noi.
E come allora, resto ad ascoltarlo in silenzio, senza distoglierlo dall’incanto che sta creando.
Come allora, osserva la pioggia fuori dalla finestra.
E all’improvviso non sono più nella sua stanza, ma nel corridoio della scuola con un libro stretto al petto. Lui ha la camicia arrotolata sino ai gomiti, e quello sguardo.
Quello stesso sguardo.
E ora so a cosa pensasse ogni volta che abbassava la maschera.
A chi.
«Rain» la sua voce mi riporta al presente.
«Scusami, non volevo disturbarti».
Scuote la testa. «Chiudi a chiave».
Faccio come mi ha chiesto, poi torno a guardarlo.
Batte una mano sul piumone, invitandomi a sedermi.
Mi sistemo accanto a lui che riprende a suonare, e lo ascolto in silenzio. Evan ha trovato nella musica un modo per lasciare libere le sue emozioni. Lo invidio. Io non sono mai stata capace di farlo, non ho mai trovato un modo per trasformare il dolore che ho dentro in qualcosa di bello.
Duncan riusciva a farlo attraverso l’arte, Chris attraverso la fotografia.
Io ho solo parole non pronunciate e pagine lasciate in bianco.
«Gli altri sono preoccupati per te, Ev. Persino Shawn».
Lui accenna un sorriso.
«Mi dispiace. Ma non sopporto le chiacchiere inutili e le belle parole che tutti sembrano desiderosi di spendere nei confronti di Adam. Non era un santo, era... mio fratello. Aveva un mucchio di difetti, mi rubava sempre la schiuma da barba e le felpe. Ma era anche per questi motivi che gli volevo bene». Distoglie gli occhi dalla chitarra e li porta su di me. «Ti va… Ti va di venire in un posto con me?»
Lo guardo senza capire. «Adesso?»
«C’è un posto in cui devo tornare. Poi ti riaccompagnerò a Dublino per prendere il traghetto».
Sto per rispondere quando sentiamo bussare insistentemente alla porta.
Ci scambiamo uno sguardo d’intesa e mi alzo per andare ad aprire.
Giro la chiave. Quando spalanco la porta, mi trovo davanti due occhi nocciola che mi fissano dapprima sorpresi, poi infuriati.
Shannon si scaglia contro di me per colpirmi, ma Evan la blocca. «Che cazzo ci fa lei qui?»
Evan la lascia andare e mi affianca.
«Cosa vuoi, Shannon?»
Lei lo guarda con cattiveria. «Ero venuta a offrirti il mio conforto, e a darti le condoglianze da parte dei tuoi vecchi amici».
Lo sguardo di Evan si indurisce. «Sei stata da Jason e gli altri?»
Shannon annuisce.
«Si fottano. Non hanno avuto nemmeno le palle di venire di persona. Ho chiuso da tempo con loro. E se il tipo di conforto che volevi darmi è quello che sto pensando, beh, fanculo anche a te. Non prendo quella merda…»
Non l’ho mai visto così disgustato prima d’ora.
«Certo, tu preferisci fartela con le stronze psicopatiche» lo aggredisce lei. Poi si rivolge a me. «Non hai la minima idea di quello che ha passato Duncan a Londra per colpa tua, vero?»
Le sue parole mi colpiscono come un pugno allo stomaco. Non voglio sentir parlare di Duncan, non da lei, non in questo momento. «Lo hai quasi ucciso, brutta stronza. Lo hai quasi ucciso…»
«Shannon, ora piantala» interviene Evan, giusto in tempo prima che la mia mano destra si alzasse per colpire sua cugina.
«E vai fuori dalla mia camera».
«Mi fai pena, Evan. Te ne stai nascosto qui dentro perché hai paura. Te la fai sotto all’idea che i nostri parenti ti ricordino che se tuo fratello è sepolto sei piedi sotto terra, è solo colpa tua».
Vedo Evan chiudere i pugni e capisco che se Shannon dirà ancora qualcosa, lui non si tratterrà dal colpirla.
«Shannon, ora basta» intervengo. Non perché mi importi qualcosa di lei, ma non voglio che la giornata di Evan diventi ancora più uno schifo.
Lei si volta verso di me con una risata sprezzante.
«Ti ha raccontato quello che è successo?» mi chiede, ma non le rispondo. Si sfrega una mano sul naso. «Immagino di sì. E ti ha anche detto che era ubriaco e fatto, quando ha colpito Adam? Ti ha raccontato quello che faceva qui a Co… Ma che cazzo fai?»
Evan le ha afferrato il polso e lo stringe forte. «Lasciami andare» grida, ma lui non molla la presa, costringendola ad arretrare oltre la soglia. «Lasciami andare o…»
«O cosa? O cosa, Shannon? Sei strafatta e vieni qui a tentare di farmi sentire una merda per le stronzate che ho fatto quando avevo diciott’anni? Beh, sai una cosa? Sprechi il tuo tempo. Ora vattene prima che io…»
Lei gli sorride maligna. «Vuoi farmi fuori come hai fatto con Adam?»
Vedo il volto di Evan indurirsi e istintivamente gli poso una mano sul braccio.
Lui si volta a guardarmi, mentre gli chiedo silenziosamente di lasciarla andare.
Allenta la presa e lei ci lancia un’ultima occhiata schifata prima di lasciare la stanza.
Evan sospira pesantemente.
«Avviso i miei genitori che partiremo tra poco, se sei d’accordo».
Lo fisso un istante, poi annuisco.