Cicatrici
EVAN
Ci sono un sacco di motivi per baciare una persona.
Ma con Rain, ho sempre avuto una sola ragione per farlo.
E mille altre, stupide e dannatamente sbagliate, per non farlo.
Ma oggi, oggi forse è finalmente arrivato il momento di mettere a posto le cose.
Il momento di mantenere sino in fondo la promessa che ho fatto a Adam.
Avevo detto a Rain che non l’avrei mai dimenticata. Ed era vero.
Sapevo che la mia promessa ci avrebbe fatto incontrare di nuovo.
Lo sapevo la prima volta, quando le ho detto addio in ospedale, e l’anno scorso, quando è partita per il Galles.
Ma non avrei mai immaginato che sarei stato io ad avere bisogno di lei, stavolta. E non avrei mai creduto che sarebbe tornata indietro per me.
Parcheggio fuori da casa sua, a Howth.
«Sei sicura di voler andare da sola?»
Lei annuisce e scende dalla macchina, poi percorre il vialetto che conduce sino all’ingresso.
Sosta alcuni minuti davanti alla porta rossa. Quando questa si apre, la signora Donovan fissa Rain per un istante, immobile.
La vedo sorridere e farla entrare, poi la porta si richiude.
Scendo dalla macchina e resto appoggiato alla fiancata mentre aspetto che Rain prenda un cambio di vestiti.
Infilo una mano in tasca per tirare fuori il pacchetto delle sigarette, ma ci ripenso. Voglio chiudere anche con questo.
Respiro l’aria del mare e lascio che il vento mi sferzi la faccia, mentre osservo l’esterno della piccola villetta a due piani.
Se solo avessi saputo quello che succedeva qui dentro dopo che Rain era stata dimessa dall’ospedale…
Ieri notte mi ha raccontato tutto. Mi ha parlato dei ricordi che stanno riemergendo pian piano, di quello che accadeva in casa sua con il patrigno.
Credevo che il peggior genitore del mondo fosse toccato a me, ma ho dovuto ricredermi.
Esistono molti modi per annientare una persona, ma la violenza genera solo altra violenza, verso gli altri, verso se stessi.
Io ho conosciuto l’indifferenza.
Ti svuota di tutto ciò che ti rende quello che sei, ti fa credere di non valere nulla e ti rende terreno fertile per il rancore e l’invidia.
Tira fuori il peggio di te, ti cuce addosso una maschera di menzogne a cui non puoi fare a meno di credere, e distrugge la tua vera essenza lentamente.
Rain ha dovuto convivere con l’odio.
Ho capito che ci sono uomini tanto deboli da non riuscire a vincere contro la parte peggiore di sé, quella che si annida in ciascuno di noi, ma che soltanto alcuni riescono a tenere a bada.
Ho capito che una vita apparentemente normale possa nascondere un vero inferno fatto di liti continue, grida, violenza e rancore vomitati addosso.
E mentre la stavo ad ascoltare, mentre immaginavo lo schifo che le si presentava davanti ogni giorno, mentre capivo cosa le passasse per la testa la sera in cui l’ho salvata da quella macchina davanti a casa di Conor, ho deciso che non permetterò mai più a nessuno di distruggerla dentro.
La vedo uscire con un borsone in spalla.
Mi avvicino per aiutarla a caricarlo nel cofano e lei mi sorride.
«Hai preso tutto?» le chiedo mentre allacciamo le cinture.
Annuisce. «Posso sapere dove stiamo andando?»
«Che impaziente» la prendo in giro, ma in fondo questa è una delle cose che amo di lei.
La sento ridere.
«Hai fatto il misterioso per tutta la mattina, e sei sparito per diverse ore, quindi vorrei sapere se devo preoccuparmi». La sua voce è rauca.
Le lancio un’occhiata veloce. Ha gli occhi arrossati.
Evidentemente l’incontro con la sua matrigna non è andato bene. Non dico nulla. Se vorrà, sarà lei a parlarmene.
Aspetterò.
Quando arriviamo al nostro vecchio liceo, il parcheggio è semideserto.
Mi fermo a pochi metri dall’entrata, sgancio la cintura e mi volto verso Rain che mi guarda perplessa.
«Che ci facciamo qui?»
«Lo vedrai. Ora seguimi». Scendo e le apro la portiera, invitandola a prendere la mano che le sto porgendo.
«Credevo che la scuola fosse chiusa oggi» dice afferrandola.
«Non per me. Ho chiesto un piccolo favore al custode. Sua figlia viene al centro ricreativo».
Entriamo nell’edificio e percorriamo il corridoio vuoto sino alle scale che conducono al teatro. Gli armadietti e le porte delle aule sono decorati con ragnatele, scheletri e fantasmi. I termosifoni sono spenti e fa abbastanza freddo.
Tiro fuori le chiavi che mi ha lasciato stamattina il signor O’Gallagher e apro la porta.
«Non stiamo per fare quello che sto pensando, vero?» mi chiede.
Mi lascio scappare una risata.
«Dipende. Se stai pensando a qualcosa di perverso, dovrai aspettare sino a stanotte».
Mi dà uno schiaffetto sulla spalla, poi si lascia prendere nuovamente per mano e trascinare dentro.
«Vieni, la signora Murphy ha lasciato i nostri copioni sul tavolo».
«La signora Murphy?»
Mi fermo davanti alla piccola scrivania di fronte al palco per guardare Rain.
«La nostra ex insegnante di Teatro».
«Sì, mi ricordo di lei. Ma è andata in pensione dopo il vostro diploma».
Annuisco. «Ma io ho ancora il suo numero».
Prendo i due copioni dal tavolo e ne porgo uno a Rain. «Così, quando le ho spiegato quello che avevo in mente, si è offerta di darmi una mano».
«Oh mio Dio» esclama. «Questo è proprio il mio... Ehi».
Lo fissa torva, poi alza gli occhi su di me.
«Eri stato tu a scrivere questa cosa?» chiede girandolo.
Leggo a voce alta.
«Ruolo: GIULIETTA. Studente: stRAINge DONOVAN».
Scoppio a ridere.
«Che cosa ci trovi di divertente?» mi rimprovera.
Avevo dimenticato quell’episodio. Avevo scarabocchiato il suo copione mentre lei aiutava Molly a ripassare le battute, una delle ultime volte in cui abbiamo recitato insieme. «Scusami». Riprendo il controllo e salgo sul palco.
Lei mi segue e si posiziona accanto a me.
«Hai detto di aver parlato anche con il custode, giusto? Non vorrei ci chiudesse dentro la scuola» mi dice abbassando la testa sul copione.
La guardo, e la rivedo di fronte a me, con la divisa scolastica, che rilegge le battute prima di provarle davanti all’insegnante e agli altri ragazzi.
Come allora, una ciocca rossa le va a finire sul viso.
Istintivamente gliela scosto.
Alza la testa e come quattro anni fa mi ritrovo a fissare i cieli grigi dei suoi occhi. Ma ora, mi sorride dolce quando incontra i miei. Ha ancora molte ferite celate dietro lo sguardo malinconico, ferite che voglio rimarginare una volta per tutte.
E come allora, sento forte l’impulso di prenderla tra le braccia e baciarla.
Mi schiarisco la voce e comincio a leggere. «Ride delle cicatrici altrui, chi non ha mai provato ferita alcuna».
Rain mi sorride e cominciamo a recitare per il nostro pubblico invisibile.
E stavolta, arriveremo sino alla fine di questa tragedia.