Dieci passi
RAIN
Percorrere questo corridoio mi fa un certo effetto.
È come ripercorrere dieci mesi della mia vita non da protagonista, ma da semplice spettatrice.
È come guardare la vita di qualcun altro scorrermi davanti agli occhi.
Passiamo davanti alla biblioteca chiusa e mi fermo un istante.
«Forse avremmo dovuto ricominciare da qui, ma non conosco la bibliotecaria» mi dice Evan.
Mi volto verso di lui che mi scruta con un mezzo sorriso.
In questi quattro anni è cresciuto, ma ha mantenuto quell’aria dolorosamente rassegnata che a scuola tentava in ogni modo di nascondere.
«Va bene così, Ev».
Riprendiamo a camminare diretti all’uscita.
A dieci passi da qui c’è l’aula di musica.
Chiudo gli occhi per un istante e comincio a canticchiare. Quando li riapro, vedo Evan che mi osserva con un misto di nostalgia e tristezza. Anziché svoltare a destra, però, proseguiamo dritti.
«Non ce la siamo cavata poi così male, dopo tutto questo tempo» mi dice mentre tiene aperta la porta per permettermi di uscire.
«Direi di no. Il pubblico chiedeva il bis».
Fuori, ci accoglie il silenzio ovattato della sera, interrotto solo dallo sfregare degli pneumatici sull’asfalto bagnato.
Ci avviciniamo al cofano dell’auto della nonna di Evan.
Lui lo apre e prende un pacchetto. Poi lo richiude con un colpo secco.
Lo guardo incuriosita.
«Seguimi, c’è un altro posto in cui dobbiamo andare prima di dire addio al nostro liceo una volta per tutte».
Gli vado dietro sino al campo da calcio, illuminato dalla luce dei lampioni che lo circondano.
Ci sistemiamo sulle gradinate deserte e i jeans che ho indossato si bagnano al contatto con gli spalti umidi.
Chiudo gli occhi e vengo investita dai ricordi. Sento il casino della folla esultante per il gol che ha segnato Conor.
Sento l’odore dei marshmallow che avevo comprato per dividerli con Cassidy e la mano di Evan stringere la mia.
«Tutto a posto?» mi chiede.
Riapro gli occhi e gli sorrido.
«Sì. Solo un ricordo che è riaffiorato».
«Spero fosse un bel ricordo».
Annuisco. «Era la volta in cui abbiamo guardato la partita sopra il tettuccio della macchina di Michael Walsh».
Lui ride.
«È stato quando Cassidy ha rimorchiato il suo ex ragazzo, vero?»
«Sì».
Mi guarda serio. «Quella volta mi hai detto che non le avevi parlato di noi… Insomma, del modo in cui avevo cominciato a romperti le scatole».
Annuisco.
«Ma… Non avete mai parlato di quella sera, della festa? O del compleanno di mia cugina o… Non so, di qualunque altra cosa che potesse aiutarti a…» sospira. «A ricordarti di me?»
Lo guardo negli occhi e posso leggere tutto il rimpianto per quello che ci è successo. E mi dispiace incredibilmente. Per lui. Per noi.
«Dopo l’incidente, ho provato ad allontanare anche Cassie». Fisso il campo da calcio, vuoto e silenzioso. Respiro forte l’odore di terra ed erba umida. «Ma lei non ha mai mollato la presa. Ha provato ad aiutarmi a ricordare, ma ogni volta io stavo male, così alla fine non abbiamo mai più parlato di quei dieci mesi. Non mi ha mai parlato di te perché l’avevo convinta di non sopportarti, e ogni volta che provava a ricordarmi un episodio in cui tu eri coinvolto, come quello della festa, il mio cervello si rifiutava di elaborare la cosa».
La sua mano stringe forte la mia. «Ti ho rimosso dalla mia memoria insieme a quel pezzo della mia vita, Ev, perché eri troppo legato al mio incidente».
Mi appoggio alla sua spalla. «Faceva troppo male».
«Sono stato io a farti del male, Rain» bisbiglia. «Mi dispiace».
Sollevo la testa e mi ritrovo a un respiro dalla sua bocca.
«C’è una cosa che ti devo dare» mormora.
Prende il pacchetto che ha portato con sé e me lo porge.
Lo scarto e resto sorpresa quando mi ritrovo con un diario tra le mani.
«Mi hai detto che la tua matrigna ha buttato il tuo, così ho pensato che avresti potuto scriverne un altro».
In mezzo c’è una penna. La stappo e inizio a scrivere.
«Me lo farai leggere?» mi chiede. Fingo di non averlo sentito, ma lui me lo strappa di mano.
«Ehi» esclamo risentita.
Si sdraia sulle mie gambe e inizia a leggere.
«Evan Byrne è un idiota». Riabbassa il diario e mi guarda con un sopracciglio alzato. «Divertente».
Ridacchio. «Vai avanti questa volta».
«No, se non c’è scritto che sono il ragazzo più sexy che avessi mai incontrato a scuola».
«Leggi, Evan».
«Ok».
Torna a fissare la pagina. «Ma ha anche gli occhi più neri che io abbia mai visto. Ci si potrebbe perdere dentro».
Mi guarda sorpreso. «Avevi scritto sul serio una cosa del genere?»
Annuisco.
«Perché?»
Alzo le spalle. «Era quello che pensavo».
Lui si rimette a sedere accanto a me.
«Ero convinto mi detestassi».
«Un po’, soprattutto all’inizio. Non ho mai sopportato gli imprevisti, e tu sei stato il peggiore che mi sia mai capitato».
La sua espressione si fa dispiaciuta.
«Ma anche il migliore».
Gli poso una mano sulla guancia e avvicino il mio viso al suo.
«Lo pensi sul serio?»
«Sì. Evan Byrne, eri un idiota e sei l’unico che io abbia mai detestato tanto in vita mia. Persino più di Rob Sullivan». Gli sorrido dolce. «Ma sei anche stato l’unico capace di farmi innamorare due volte».
Lo bacio e sento che, piano piano, pezzo dopo pezzo, le cose rimaste in sospeso tra noi si stanno finalmente avviando alla conclusione.