La mia nuova vita
EVAN
Faccio un ultimo giro di accordi e chiudo la canzone.
Gary e gli altri ragazzi del gruppo si scambiano occhiate soddisfatte prima di cominciare a smontare l’attrezzatura.
Ho ripreso a suonare con le Scimmie Spaziali un mese dopo che mio fratello è morto. Glielo dovevo.
«Ci vieni al pub per una birra?» mi fa Charlie, spegnendo l’amplificatore.
Scuoto la testa. «Oggi rientro a Dublino».
Gary sistema il charlestone. «Come mai parti così presto?»
«Domani ho lezione». Richiudo la custodia della chitarra e me la carico sulla spalla.
«Vabbè, sarà per la prossima. Mia sorella ha detto di farti vivo, qualche volta» aggiunge riferendosi a Danielle. Non la vedo dal funerale di Adam.
«Non verrà a sentirci suonare, qualche volta?»
«Chiamala, Evan. Le farà piacere».
Faccio un cenno di assenso e saluto tutti, poi lascio la sala prove ed esco. Raggiungo la mia macchina, una Audi che ho comprato il mese scorso dopo aver venduto la moto, carico la chitarra nel portabagagli e mi sistemo al posto di guida. Lancio un’occhiata allo specchietto, a cui ho appeso il ciondolo che mi ha lasciato Rain.
Chissà se è felice. Cassidy mi ha detto che sta frequentando un compagno di college. Sta andando avanti, mentre io resto fermo sempre allo stesso punto, congelato in quell’istante che ha cambiato per sempre la mia vita. No, molto peggio. Sto per tornare indietro.
Scorro la rubrica e chiamo Danielle, che risponde al terzo squillo.
Mentre parliamo, penso che potrei provare ad aggiustare le cose almeno con lei.
È trascorso quasi un intero anno dalla morte di Adam.
In questi mesi non sono mai andato in cimitero, ma l’ho sentito vicino in ogni cosa che facevo, mentre suonavo, mentre camminavo sotto la pioggia, quando giocavo con Lizzie e Sophia, ogni volta che ho abbracciato la mamma, o che ho deciso di restare a casa con la nostra famiglia anziché chiudermi in un pub a bere sino a star male. In ogni scelta che ho fatto, lui era presente. Eppure, mi manca da morire.
Guido piano sino a Dublino, dove arrivo a mezzanotte passata.
Parcheggio non troppo lontano da casa, entro e lascio la chitarra nell’ingresso, dove c’era il vaso che Harry ha rotto.
Se non ci fossero la nonna e il centro ricreativo sarei tornato a vivere a Cork. Questa casa in cui ho vissuto con Rain è così piena della sua assenza da risultare opprimente. Abbiamo affittato la sua camera a uno studente pakistano, un tipo tranquillo che passa il suo tempo a studiare ingegneria elettronica.
Mentre salgo le scale sino alla mia camera, non posso evitare di chiedermi come sarebbe la mia vita se lei fosse rimasta.
Tommy si è sposato, Bran è diventato padre e tra poco toccherà anche a Bambi.
Sono felice per loro, ma non riesco a non pensare che se avessi fatto anche solo una scelta diversa in passato, forse ora sentirei odore di riso al ketchup bruciato e la voce stonata di Rain che canticchia in cucina. O la troverei sul divano, addormentata con un libro di Whitman in mano. La porterei su per le scale sino alla camera da letto, e la guarderei dormire, posandole dei baci leggeri tra i capelli.
Sentirei il pianto di un bambino, del nostro bambino, che cullerei sino a farlo addormentare.
Mi fermo davanti allo specchio dell’armadio. Sfioro la mia mandibola, la barba di due settimane mi fa apparire più vecchio di almeno dieci anni. Sorrido nel pensare a cosa direbbe mio fratello nel vedermi. A quest’ora avrebbe già concluso la triennale di architettura. Butto un occhio agli scatoloni che ho portato via da casa dei miei genitori.
Questa estate, io e mio padre abbiamo svuotato la camera di Adam. Abbiamo dato via molte delle sue cose, ma alcune le ho volute portare qui con me. Cose stupide, come un paio di vecchie sneakers verdi dalla punta consumata che si ostinava a conservare. Diceva che gli avevano portato fortuna, quando aveva detto per la prima volta ti amo a una ragazza. Ora so a chi si riferiva. Io a Danielle non l’ho mai detto, quando stavamo insieme.
Mi chino su uno scatolone e tiro fuori il telefono di mio fratello, il modello ormai è vecchio.
Lo metto in carica e lo accendo, poi mi siedo sul letto e apro la cartella dei video.
La festa di Halloween organizzata da Jessica Twomey, in sottofondo la techno di Colin, io con una maglietta su cui ho scritto “Mr. Hyde”.
Gli spogliatoi della scuola prima di una partita di rugby.
In ogni video, lui è solo una voce fuori campo.
Sto per uscire dalla cartella quando parte un altro filmato. Deve averlo fatto pochi giorni prima di quella maledetta gita.
È seduto davanti alla scrivania con la chitarra in braccio e la mia felpa addosso. Mi lascio sfuggire un sorriso amaro. Non riuscivi proprio a evitare di usare la mia roba, vero? Ma forse era solo il tuo modo di continuare a condividere le cose con me. Non l’ho mai capito, Adam, non ti ho mai capito fino in fondo.
«Sono Adam Byrne, questa è la canzone che ho composto per partecipare al contest…»
Il mio cuore comincia a battere al ritmo della musica che Adam sta suonando.
Uno dei versi è lo stesso da cui sono partito quando ho scritto la canzone per Rain.
Esco dalla cartella e apro l’applicazione dell’e-mail.
Scorro velocemente tra quelle ricevute e la vedo.
Una mail datata novembre di cinque anni fa, inviata dagli organizzatori del contest, in cui lo informavano che aveva passato la prima fase delle selezioni.
Mi fiondo alla scrivania e apro il mio portatile. Digito l’URL del sito e vedo l’annuncio delle iscrizioni all’edizione di quest’anno.
Sono ancora aperte. «Sì! Sì, cazzo».
Decido di tentare il tutto per tutto. Non posso portare la canzone di Adam, ma posso portare la mia. C’è un passaggio complicato al bridge, dovrò starci attento.
Domani manderò il video della mia candidatura. Chiudo il pc e vado in bagno. Lavo i denti, tolgo le lenti a contatto e infilo il pigiama.
Quando rientro nella mia stanza, spengo la luce e mi infilo a letto. Allungo una mano verso il comodino e prendo il telefono per impostare la sveglia. Guardo incredulo il display. C’è un messaggio di Rain.