Un futuro insieme
«Venite ragazzi, vi ho preparato le camere».
La signora Stephens, la madre di Cadoc, ci invita a seguirla su per le scale.
Quando siamo arrivati mi ha abbracciato forte prima di farmi entrare e ha stampato un bacio sulla guancia del figlio, che ha sorriso imbarazzato.
All’interno la casa è modesta ma accogliente, con un salottino alla destra dell’ingresso; sul tappeto riposa un gattone nero, che si avvicina alla signora per strusciarsi contro le sue gambe.
«Hai fame, Sigmund?» Per tutta risposta, quello comincia a fare le fusa.
«Non salutare anche me, mi raccomando» lo rimbecca Cadoc. «Gattaccio obeso».
Ridacchio e Cadoc si volta verso di me. «Si fa coccolare solo da mia madre. Credo mi detesti».
«Non dire stupidaggini» ribatte la signora mentre la seguiamo su per le scale. «Sei stato tu a portarlo a casa, ti adora».
Cadoc alza le spalle. «Sarà».
«Ma certo che è così. Rain, sapevi che mio figlio mi dà una mano con il volontariato al gattile ogni volta che torna a casa?» Apre la porta di una delle camere. Sapevo che Cadoc amasse gli animali, ma non ero a conoscenza del fatto che andasse in giro a raccogliere randagi.
«È da quando aveva undici anni che mi porta animali in casa» prosegue lei facendomi accomodare all’interno.
La stanza è molto carina, con un letto a una piazza su cui è stesa una trapunta bianca, decorata con una stampa a farfalle viola, lo stesso colore del cuscino e dei mobili.
«Questa è la stanza degli ospiti. Ho preso il piumone apposta per te, Cadoc mi ha detto che ami le farfalle e i fiori».
Annuisco. «È stupenda, mi creda. Non so come ringraziarla».
«Oh, figurati tesoro. Ora torno di sotto, o quella belva mi azzannerà una caviglia se non gli darò la pappa» dice con una risata. «Cadoc, amore, ci pensi tu a mostrarle il resto della casa?»
«Certo mamma. Chiamaci, se hai bisogno di aiuto in cucina».
Appoggio il borsone accanto al letto e Cadoc mi aiuta a sfilare il cappotto.
«Ti piace sul serio?» mi chiede appendendolo nell’armadio.
«Sì. E anche tua madre. È meravigliosa, sei fortunato».
«Aspetta di conoscere Paul. È da lui che ho preso il senso dell’umorismo».
«Finalmente conoscerò il responsabile di quest’arma di tortura» lo punzecchio sedendomi sul letto.
Lui poggia le mani sulla trapunta, ai lati dei miei fianchi, e si abbassa sul mio viso.
«Non ho capito bene, era un insulto?»
«Dipende. Sono in pericolo se rispondo di sì?»
«Lo sei anche se dici di no».
Senza darmi tempo di ribattere, cattura le mie labbra in un dolce bacio.
Mi spinge delicatamente sul materasso, insinua una mano sotto il mio maglione. Il cellulare squilla nella tasca dei miei jeans, interrompendoci.
«Mhmm, no» protesta lui senza staccare le labbra dalle mie. «Richiameranno più tardi».
Ignoro la chiamata e afferro il bottone dei suoi jeans, ma il telefono riprende subito a squillare.
«Potrebbe essere importante» mi scuso mentre lo allontano per alzarmi. Lui mette il broncio.
«Pronto?» Torno a sedermi sul letto.
«Signorina Donovan?»
Non ho mai sentito la voce della donna dall’altra parte, ma mi ha chiamata per cognome, quindi presumo non abbia sbagliato.
«Sì, sono io. Con chi parlo?» domando mentre Cadoc si avvicina al mio collo e comincia a baciarlo. La barba di due giorni mi punge la pelle facendomi il solletico, e mi lascio scappare una risatina.
«Sono Nereide Collins, dello studio legale Collins di Londra…»
Smetto immediatamente di sghignazzare e cerco di assumere un tono serio. «Sì, ho provato a chiamare ieri, ma non ho ricevuto risposta. Mi dica».
«La chiamo per il testamento di sua nonna, la signora Vivian Finlay, vedova Hawkings. Sua madre era Liliam Hawkings?»
Allontano Cadoc con la mano. «Sì, era mia madre. E Vivian era mia nonna, nonna Ann. Ma non ho più avuto sue notizie da quando… Credo che lei e mia madre non andassero molto d’accordo» taglio corto.
Guardo Cadoc, che mi osserva disorientato.
«Sua nonna è venuta a mancare una settimana fa» riprende l’avvocato. «Ha nominato lei sua unica erede. Abbiamo provato a contattarla all’indirizzo di residenza, ma dato che non abbiamo ricevuto risposta, mi sono permessa di chiedere il suo domicilio alla signora Riona Ferguson, vedova Donovan. Dovrebbe venire a Londra appena possibile, per l’esecuzione testamentaria».
«O… ok» dico ancora confusa. La saluto, assicurandole che la informerò non appena avrò deciso la data di arrivo a Londra.
Chiudo la chiamata e guardo Cadoc, frastornata.
«Che succede?» domanda preoccupato.
«Mia nonna… La madre di mia madre… È morta la settimana scorsa».
«Mi dispiace» mormora accarezzandomi una guancia.
Scuoto la testa. «Non l’ho mai conosciuta. Lei e mio nonno si sono lasciati quando mia madre era una ragazzina. Non si sono mai separati legalmente, ma lei e il nonno non andavano d’accordo, così decise di lasciare l’Irlanda e trasferirsi in Inghilterra».
Cadoc mi ascolta in silenzio, continuando ad accarezzarmi. «Su una cosa però lei e il nonno erano d’accordo. Non approvavano il matrimonio tra mia madre e mio padre, per questo nessuno di loro ha mai voluto conoscermi».
«Mi dispiace» sussurra senza staccare gli occhi dai miei. «Perché ti hanno chiamata?»
«Mi ha nominata sua unica erede. Devo andare a Londra appena possibile».
«Wow, so che suona poco delicato, ma potrebbe rivelarsi un’ottima cosa per te. Insomma, potrebbe averti lasciato una somma sufficiente a pagarti l’alloggio e la specialistica, o qualunque cosa tu decida di fare dopo la laurea…»
«Non lo so, Cadoc. Non sono nemmeno sicura di presentarmi a Londra».
«Perché?»
«Non posso accettare qualcosa che viene da una persona che ha contribuito a rendere infelice mia madre».
«Lo capisco, ma qualche volta bisogna concedere una seconda possibilità. Soprattutto a se stessi».
Rialzo la testa e incontro i suoi occhi che mi fissano seri.
Lo stringo forte e lui ricambia l’abbraccio. Poi mi fa sdraiare nuovamente sotto di sé e ricomincia a baciarmi.
A pranzo conosco Paul, il patrigno di Cadoc, un uomo di colore sulla cinquantina, alto e ben piazzato. Ha un sorriso gentile ed è molto loquace.
«Paul è un fotografo di moda» spiega Cadoc, mentre l’uomo mi racconta del suo ultimo viaggio di lavoro in Francia. «Per questo io lo invidio e la mamma lo chiama cinquanta volte al giorno su Skype quando è fuori».
Paul ride mentre la signora si finge offesa. «Sei un gran bugiardo! Secondo te sono gelosa di quei manichini che fotografa?» Addenta una fetta di pane nero e toglie le briciole dalla bocca, «Mio marito ama le donne vere, quindi posso stare tranquilla».
Il pranzo si conclude con una torta di mele che la signora Stephens ha preparato per noi.
«Perché non mostri a Rain il mio studio?» propone Paul.
Cadoc annuisce mentre si serve una fetta di torta.
«Paul ha una camera oscura giù nel seminterrato. Ti va di andarci dopo? Potresti provare a scattare qualche foto e chiedergli qualche consiglio».
Mi blocco con il cucchiaino a mezz’aria. «Certo, ne sarei felice».
Finito il dolce, lasciamo Paul e la signora intenti a sparecchiare e scendiamo nel seminterrato. Mentre seguo Cadoc giù per le scale, sento la risata di sua madre provenire dalla cucina.
«Paul è una persona fantastica».
Lui accende la luce. «Sì, lo è». Ai muri sono appese foto e stampe, e su un lungo tavolo sono posizionate delle vaschette di metallo. «Mi sarebbe piaciuto fargli conoscere Chris» Apre un armadio e mi mostra una macchina fotografica. «A volte stento a credere che sia successo davvero».
«Anche io».
Lui mi accarezza una guancia, poi accende il display e insieme cerchiamo di capire in che modo selezionare la messa a fuoco, lo zoom, la regolazione del flash e tutte le altre opzioni disponibili.
«Allora, preferisci fotografare un modello atletico e bellissimo, o uno grasso e peloso?»
«Dai Cadoc, non sei così grasso. Certo, se mangerai un’altra fetta di torta di mele…»
«Che simpatica. Sì, ridi pure, ma se scegli di fotografare il mio gatto sappi che non ti perdonerò».
«Mhmm, e cosa potrebbe succedermi se lo preferissi a te?»
«Attenta, siamo soli in una camera oscura».
Senza dargli tempo di dire altro gli scatto una foto. Lui si acciglia e si impossessa della macchina fotografica.
«Però, niente male. Certo, con un modello così figo…»
Alzo gli occhi al cielo e lui ride.
«Dai, andiamo di sopra, vediamo cosa riusciamo a combinare con quella palla di pelo».
Passiamo il resto del pomeriggio a immortalare Sigmund che sembra piuttosto contento di posare per noi.
«Non ci credo» esclama Cadoc mentre il gatto mi si avvicina per fare le fusa. Lo gratto sotto le orecchie e lui ricambia strusciando il muso contro la mia mano.
«Mamma, Paul, venite a vedere. Sigmund sta cercando di sedurre la mia fidanzata!»
Non ho ancora pensato a me e Cadoc nei termini di una coppia e sentirmi chiamare da lui in quel modo mi fa uno strano effetto.
«Accidenti, ragazza mia, ti hanno mai detto che hai del talento?» sento chiedere da Paul, mentre esamina il mio lavoro.
«Dice sul serio?»
Lui annuisce.
«Domani porterò la mia attrezzatura al picnic. Se ti va, potrei insegnarti qualcosa».
Guardo prima Paul, che mi sorride gentile, e poi Cadoc.
«La mamma organizza un picnic per raccogliere fondi per il gattile».
«Vendo le mie torte» la signora Stephens si avvicina. «Di solito, mio figlio mi dà una mano a cucinarle».
«Sai fare le torte?» gli chiedo sorpresa.
«Me la cavo. Ne prepareremo una insieme domani, se vorrai».
«Sono una frana, lo sai» dico avvicinandomi. Lui mi stringe in un abbraccio e con la coda dell’occhio vedo sua madre e Paul rientrare in cucina.
«Hai altri talenti» sussurra al mio orecchio prima di mordicchiarlo. Sbuffo. «Mi riferivo alla fotografia, ovviamente».
«Come no».
Si siede sul divano, invitandomi a prendere posto accanto a lui. «Hai pensato a quella faccenda dell’eredità?»
Mi rannicchio contro il suo petto. «Sì. Credo partirò la settimana prossima. Ti va di accompagnarmi?» Mi prende la mano e giocherella con l’anello che ho al dito. Poi sorride e mi bacia. «Dopo cena prenotiamo i biglietti. Treno o aereo?»