Un ritorno inatteso
Dublino, un anno dopo.
EVAN
«Non torna neanche quest’anno?»
«Chi?»
«Rain».
Resto spiazzato dalla domanda di Roswen. Lo sguardo mi cade sul pupazzetto di Babbo Natale che tiene in mano.
«Ti manca?»
«Tantissimo. E a te?»
Da morire. Sono passati quattro mesi dall’ultima volta che l’ho vista, al battesimo del figlio di Cassidy e Conor, ma sembrano un’eternità.
«Non vi volete più bene? Come i genitori di Joshua?»
«Certo che ci vogliamo ancora bene, Ranocchietta».
«E allora perché non state insieme?»
Sospiro pesantemente. «Perché lei adesso vive a Londra». E ha un fidanzato.
«Non era felice qui?»
Le mie labbra si piegano in un sorriso amaro.
«Credo di no. Una volta ti ho detto che era come Cenerentola, ricordi?»
«Sì». Poggia il piccolo Babbo Natale sul tavolo del centro ricreativo. «Ma tu l’hai portata al ballo, Ev».
Già. Ma non è stato abbastanza. Io non sono stato abbastanza. Abbastanza coraggioso, abbastanza sincero. Gli altri bambini fanno un bel casino con le loro voci, costringendomi a richiamarli all’ordine.
«Allora, volete che ci sentano anche al Polo Nord?»
Un coro di risate si leva in risposta. Li osservo mentre realizzano un piccolo Presepe in cartapesta. Non riesco a credere che presto dovrò dire addio a tutto questo. Il signor Cormack è morto il mese scorso, e il figlio ha deciso di vendere lo stabile che ospita il centro ricreativo a una catena di supermercati. Se non troviamo in fretta una soluzione, saremo costretti a chiudere il centro.
«Ha un fidanzato?» riprende Roswen. «Tu ce l’hai un’altra fidanzata. Quella che è venuta qui la settimana scorsa».
Mi lascio sfuggire un sorriso.
«È solo una mia amica, piccola impicciona». Le do un buffetto sulla guancia.
«Lo sapevo». Mi metto a ridere.
«Ah sì?»
«La tua amica è ok, ma tu non sei felice come quando c’era Rain».
Colpito.
«Potremmo mandarle un regalo per Natale?»
La guardo un istante, indeciso.
«Cosa avevi in mente?»
«Le possiamo comprare un altro ciondolo come quello che mi avevi regalato».
«Vuoi dire che ne possiamo chiedere un altro alla principessa delle fate?»
Lei si mette a ridere. «Ev, lo so che te la sei inventata tu quella storia. Ho undici anni ormai».
«Oh oh, qualcuna diventerà presto una streghetta piena di rughe, allora».
Lei allunga una mano e me la schiaffa sulla faccia cercando il mio naso.
«Non è vero» protesta tirandomelo. «Però sei stato carino a inventare quella bugia».
«Carino? Io sono un pirata, non sono carino per niente». Faccio la voce grossa avvicinandomi e lei ridacchia.
«Allora devi trovare un tesoro, così non ci mandano via».
«Già».
Quando esco dal centro, tira un forte vento. Chiudo bene il cappotto e mi incammino veloce verso la macchina. Davanti al parcheggio del market un mendicante mi chiede una sigaretta. Ha indosso un maglione logoro, di quelli raffiguranti una renna con il ponpon al posto del naso. Domani gli darò uno di quelli di Adam che ho portato con me l’anno scorso da Cork.
«Mi dispiace, amico. Non fumo».
Mi infilo in auto e guido fino alla stazione, dove aspetto che Danielle scenda dal treno. Quando la vedo, mi avvicino per aiutarla con la valigia e lei mi stampa un veloce bacio sulla guancia.
«Dovresti farti la barba, Heaven» dice con un sorriso raggiante, mentre carico la sua valigia nel cofano.
Lancio un’occhiata allo specchietto; effettivamente non ha tutti i torti. Sono dieci giorni che non mi rado e comincio ad avere prurito.
Ci fermiamo a mangiare qualcosa in un ristorante italiano.
«Si è più staccato?» mi chiede Danielle indicando con il cucchiaino il secondo bottone del mio cappotto.
Mando giù un sorso di caffè dal bicchiere prima di rispondere. «No».
Lei mi sorride.
«Te l’avevo detto, con due giri di filo…»
«Grazie» la interrompo.
«Per cosa?»
«Per averlo aggiustato».
«Ma figurati, per così poco».
La osservo mentre prende una cucchiaiata di tiramisù dal piatto e la porta alla bocca.
È strano il modo in cui abbiamo iniziato a trarre conforto l’uno dall’altra, dopo esserci riavvicinati. È come se io e lei riuscissimo a creare un piccolo universo parallelo in cui sentirci meno soli.
«Sono felice che tu abbia accettato di passare il Natale con me e la mia famiglia» le dico prima di risalire in auto.
«E io sono felice che tu me lo abbia chiesto».
Arriviamo a casa della nonna dopo qualche minuto di camminata dal parcheggio.
«Nonna» chiamo non appena richiudo la porta d’ingresso alle nostre spalle. «Siamo arrivati». Ci sfiliamo i cappotti, li appendo all’ingresso ed entriamo in salotto, dove la troviamo in compagnia di un uomo.
«Ciao, Evan» mi saluta il dottor Cavanagh alzandosi dal divano per porgermi la mano.
Gliela stringo. «Dominic, quanto tempo».
«Il dottor Cavanagh è passato a trovarci» mi spiega la nonna alzandosi a sua volta per salutare Danielle. «Hai fatto buon viaggio cara?»
«Sì Ellen, grazie per avermi invitata».
Si siedono sul divano di fronte a quello su cui prendo posto insieme a Dominic e cominciano a chiacchierare.
«Allora, Evan» mi fa lui, «Tua nonna mi ha detto che te la stai cavando piuttosto bene».
«La nonna esagera».
«Sono contento che tu abbia reagito positivamente a quello che è successo».
Mi poggia una mano sulla spalla e me la stringe in un gesto confortante.
«Direi che sono cresciuto, finalmente» butto lì con una risata.
«Ellen mi ha detto che Rain ti è stata vicino in quei giorni. È bello che siate rimasti amici».
Non so cosa gli abbia raccontato di preciso la nonna, quindi aspetto in silenzio che vada avanti.
«Ricordo ancora il giorno in cui vi siete incontrati la prima volta. È stato quando vi ho regalato quelle calamite che tenevo sul frigo».
Alle sue parole un ricordo della mia infanzia mi attraversa.
Rivedo me e Adam litigare per decidere chi avrebbe dovuto prendere l’elefante azzurro. Nessuno di noi due voleva la giraffa.
Alla fine, fui io ad avere la meglio. Adam rimase così deluso che si mise in un angolo e giocò da solo con la sua calamita.
Mi dispiaceva vederlo così, quindi decisi di scambiare il mio elefante con la sua giraffa, ma proprio quando stavo per avvicinarmi comparve una bambina accanto a lui.
Una bambina con capelli rossi e lentiggini, che monopolizzò l’attenzione di mio fratello per tutta la serata.
Quando si accorse che me ne stavo in disparte mi venne vicino. Mi prese per mano e mi portò nel loro angolino, dove la giraffa di Adam e la sua scimmietta avevano già fatto amicizia.
«Sì, beh…» mi riscuoto schiarendomi la voce. «Sì, siamo rimasti amici, anche se ci siamo persi di vista per un bel po’ di tempo».
«La cosa importante è che vi siate ritrovati».
«Già».
Quando il dottore se ne va, prendo la valigia di Danielle dal cofano e la porto su fino alla camera che la nonna ha preparato per lei.
«Ti dispiace se faccio una doccia?» mi chiede prendendo un cambio di vestiti.
«No, tranquilla». Le mostro il bagno e le do un asciugamano pulito, poi entro in quella che un tempo era la camera di mio padre e ora è tornata a essere la mia. Abbiamo dovuto affittare la stanza che occupavo nella casa che ho diviso con Rain, ma tutto sommato è stato meglio così. Non potevo più sopportare di dormire in quel letto, non dopo che siamo stati sul punto di fare l’amore tra quelle lenzuola.
“Non posso, Evan, mi dispiace. Ho un fidanzato
”.
“E lui dov’è, adesso? Perché tu sei qui, con me, nella mia camera. E potrai anche raccontarti che hai accettato di salire su quel taxi con me solo perché abbiamo bevuto troppo, al ricevimento, ma sai che sarebbe solo una bugia. E se adesso te ne vai, se torni da lui, sappi che potrebbe non esserci un’altra occasione
”.
Mi siedo sul letto e imbraccio la chitarra. Comincio a suonare, accompagnato dal rumore della pioggia che ha iniziato a cadere.
«Will you fall on me, falling like the rain, will you still go on when you’ll see my pain?
»
Continuo a suonare la canzone che avevo scritto per Rain. Non credo che riuscirò mai a fargliela sentire. Non sono nemmeno stato in grado di vincere quel maledetto contest, l’anno scorso. Ci provo a fare la cosa giusta, ma continuo a fallire miseramente.
Il telefono che ho nella tasca comincia a vibrare. Lo prendo e osservo il display.
È lei. Dopo quattro mesi di silenzi, di messaggi a cui non ha mai risposto, mi sta chiamando. Non rispondere, non rispondere, cazzo. Ti distruggerà di nuovo.
«Pronto?» Stupido masochista
.
«Ev?»
È il suono della sua voce, è il modo in cui pronuncia il mio nome, è il suo respiro, tutto di lei mi manda fuori di testa e mi porta a fare sempre la scelta sbagliata. Perché deve fare così male. «Rain».
«Io… Scusa, forse ti ho disturbato».
Mi passo una mano tra i capelli. «No, certo che no. Va tutto…»
«Sono a Howth».
Resto zitto. A Howth. A mezz’ora da qui. Mi concentro su Danielle che è arrivata da Cork per stare con me, su Danielle che mi è stata vicina in tutti questi mesi, su Danielle che non è Rain.
«Ev? Ci sei?»
«Sì. Cosa è successo?»
«Sono a casa dei miei. Mi fermerò un paio di giorni».
«Perché?» domando confuso.
«Riona. Ha insistito perché passassi il Natale con lei».
«Sei con il tuo ragazzo?»
«No, non… non stiamo più insieme».
«Perché?» Sembro un dannato disco rotto, inceppato su quell’unica domanda.
«Non sempre ciò che amiamo è sufficiente a renderci felici». La ascolto in silenzio, chiedendomi se si stia riferendo al suo ragazzo o a noi.
«Ev?»
«Mh?»
«Resterò per poco, poi tornerò a Londra. Ti va… ti va di vederci?»
Perdermi. Dentro di lei. Lasciare che i confini tra noi svaniscano del tutto. Andrà a finire come tutte le altre volte, come questa estate, quando ci siamo ritrovati al battesimo del figlio di Conor.
«Ev? Ti va di vederci? O forse…»
Esito. So che me ne pentirò. Ma forse, per una volta, è la cosa giusta. «Io… Non credo sia una buona idea, Rain. Non sono da solo, Danielle…»
«Capisco. Hai ragione, scusami, non avrei dovuto chiedertelo…»
«Ma posso stare al telefono, se hai bisogno di parlare…»
«No. No, ti ho già disturbato abbastanza. Passa una buona serata».
Chiude senza darmi il tempo di ripensarci e resto a fissare il telefono come un idiota.
È sempre così tra noi, un susseguirsi di scelte sbagliate. Un continuo sfiorarsi e mancare il contatto per un soffio.
Lancio il telefono sul letto.
Fanculo.