Un capitolo chiuso
RAIN
1. Fate bollire l’acqua in una pentola abbastanza grande. Per evitare che la pasta si attacchi, usate almeno 4 quarti di acqua per ogni pound di noodles.
2. Salate l’acqua con almeno un cucchiaino di sale. L’acqua salata conferisce sapore alla pasta.
3. Aggiungete la pasta.
4. Girate la pasta.
5. Verificate la cottura della pasta assaggiandola.
6. Scolate la pasta ”.
Sono tornata agli spaghetti in barattolo. Sono tornata a stare in un posto che non è casa. Un posto che avrebbe potuto diventarlo, se le cose tra me e Cadoc avessero funzionato. Mi sono trasferita qui quest’estate, dopo la laurea. E ora ho deciso di venderla. Tornerò in Irlanda e prenderò un piccolo appartamento, continuerò a lavorare per la rivista online di Bangor e nel mentre cercherò qualcosa di meglio.
Dovrò riempire scatoloni di inutili soprammobili, servizi di piatti, posate, bicchieri, centrini, incellofanare divani e poltrone, mettere sottovuoto coperte e piumoni. Comincerò domani mattina, mi terrò occupata fino al momento di andare alla mostra.
Prendo un piatto dalla credenza, ci verso i noodles, odorano di cibo per cani. Doge. Chissà se sta bene, chissà se sta ancora con lui. Lancio uno sguardo al calendario appeso accanto al camino. Oggi è il 13 gennaio.
Sono passate tre settimane da quando Evan mi ha scritto per dirmi che sua cugina doveva parlarmi, due da quando ho cominciato a cercare Duncan.
Riona ha saputo dirmi soltanto che ha ripreso il suo cognome prima che lasciasse l’Irlanda. Michael ha perso i contatti con lui dopo il diploma. Shannon mi ha dato un numero di cellulare che non è più attivo. Così ho dovuto mettermi alla ricerca di Duncan Ferguson da sola. Una ricerca che si è conclusa due giorni fa, quando ho letto il suo nome sul sito della galleria Simmons.
Mi siedo sul divano e comincio a mangiare.
Ho perso quattro chili, per giorni non ho dormito né mangiato. Riona si è presa cura di me, io continuavo a pensare a quello che mi aveva detto Shannon, a piangere e vomitare.
Arrotolo i noodles attorno alla forchetta, il manico di plastica rossa, il piatto di ceramica bianca con un motivo floreale ai bordi. La prima cosa che non sia un tè, ben zuccherato, con limone, in una tazza di ceramica bianca con il manico sbeccato. Sul tavolino di fronte al divano, insieme alla mia borsa, il libro che leggevo in autobus. Gente di Dublino .
Porto il piatto vuoto in cucina, lo infilo nella lavastoviglie, torno sul divano e ricomincio a leggere.
Il telefono che ho lasciato nella borsa inizia a squillare. Lo prendo. È Cassidy. Mi chiede come sto, se ho fatto buon viaggio, si assicura che io abbia mangiato. Mi aggiorna sulla sua gravidanza e mi informa che la signora McCarty è stata dimessa, la settimana scorsa.
«Chiamalo, Rain» mi dice prima di salutarmi. «Almeno per sapere come sta sua nonna».
Quando chiudo con lei, compongo il numero di Evan.
«Pronto?»
Resto spiazzata dalla voce che risponde dall’altro capo.
«Scusi, forse ho sbagliato… cerco Evan Byrne».
La ragazza ride. «Al momento è piuttosto impegnato, sei Rain, vero?»
Resto in silenzio un secondo, poi realizzo dove ho già sentito questa voce. «Danielle?»
«Sì, sono io». Il suo tono si fa più freddo. «E sono qui con lui, adesso. Sarebbe meglio se smettessi di chiamarlo, se capisci cosa intendo».
«Sì. Sì, ti capisco benissimo. Hai ragione, non avrei dovuto chiamare. Ma volevo sapere come sta sua nonna».
«Ellen è una donna forte, starà bene».
«Ho capito. Immagino non gli dirai che ho chiamato».
«Tu che ne dici?»
Non rispondo.
«Stammi bene, Rain».
«Anche tu, Danielle».
Chiudo la chiamata e osservo il display per alcuni secondi, poi elimino il numero di Evan dalla rubrica. Lascio il telefono sul tavolino e vado in camera. Apro il cassetto del comodino, prendo il cuore di granato che mi ha regalato Duncan. L’ho portato via da Bangor quest’estate, quando mi sono trasferita. Chiudo il gancetto dietro il mio collo. Sono qui anche per questo.
Per ridarglielo.