Sfiorarsi
DUNCAN
Spengo la canna nel lavandino, la butto nel gabinetto, tiro l’acqua e lavo le mani. Esco dalla toilette, mi avvicino alla cassa e pago il caffè.
Fuori sta ancora piovendo.
Attraverso di corsa, per poco un taxi non mi mette sotto, entro in galleria con la giacca bagnata, già sento le proteste di Ashley. Saluto Tessa all’accoglienza.
«Dove ti eri cacciato? Ashley ti stava cercando».
Infilo le mani nelle tasche dei pantaloni e raggiungo la sala.
Cerco Ashley in mezzo alla folla, avvisto Carlos e Mark vicino a uno dei tavoli, si stanno versando del vino nei bicchieri.
«Avete visto Ashley?»
«Ti cercava, credo sia andata nel suo ufficio». È lo spagnolo a rispondere. Faccia pulita, pelle ambrata, riccioli scuri e sorriso gentile. Brav’uomo, sui quaranta, vita tranquilla, nessun vizio. Unico difetto: mi ha infilato la lingua in bocca una volta che siamo rimasti da soli in galleria. Non che mi abbia fatto schifo, ma dopo ha continuato per giorni a chiedermi se fossi sicuro della mia sessualità. Provaci tu a vivere con Ashley per un anno e mezzo, e poi ne riparliamo.
Mi allontano per raggiungere l’ufficio, ma mi fermo quando passo davanti a una delle mie opere, una farfalla materica che ho realizzato raccogliendo rifiuti dai cestini della spazzatura, durante le mie passeggiate notturne. Una ragazza con lunghi capelli rossi, completamente fradici, sta per poggiarci sopra una mano. Eppure lo abbiamo scritto chiaro e tondo sotto ogni opera.
«Non sai leggere? Non si possono toccare i quadri».
Si blocca. La mano esita, poi si posa sulla tela. Cristo. Mi avvicino per toccarle una spalla, forse è straniera e non capisce l’inglese, ma sarà meglio che se lo ficchi in testa dove può mettersi le mani.
La tocco, si volta. E io smetto di respirare.