Adam
RAIN
«La mamma deve parlare con il suo amico».
Guardo mia madre che mi sorride, con il viso a pochi centimetri dal mio. Ha il sorriso più dolce che io abbia mai visto.
Mi piace anche il sorriso di papà, ma la mamma quando sorride è bellissima. Ha le lentiggini e i capelli rossi come me, ma è molto più alta. Per questo si è dovuta abbassare per potermi parlare. Intorno a noi c’è un sacco di gente che fa una gran confusione e c’è odore di quella cosa che fuma papà, e che a scuola ci hanno detto che fa male.
«Vai a giocare con quei bambini, amore».
Mi fissa con gli occhi azzurri, in attesa che io faccia come mi ha detto.
Mi giro in direzione dei bambini che mi ha indicato. Sono uguali. Non avevo mai visto prima due bambini identici. Uno di loro, però, mi sembra più basso.
«Ma stanno litigando» dico tornando a guardare la mamma. Lei sta parlando con un signore con i capelli neri. Quando si accorgono di me, è lui ad abbassarsi per parlarmi. Ha un viso gentile, ma non è bello come il mio papà. Papà assomiglia al principe delle fiabe.
«Che cosa succede, tesoro?» mi chiede. La sua faccia odora di quella cosa che usa papà dopo che si toglie i peli dalle guance.
Mi sorride, poi si volta verso la mamma. «Dio, come ti somiglia, Lily».
«Gli occhi sono di John» risponde lei. I miei occhi sono di papà? Non lo sapevo. «Perché i miei occhi sono di papà?» le chiedo.
Lei si volta verso di me, apre la bocca poi la richiude. Alla fine sorride di nuovo.
«Vuol dire che i tuoi occhi sono uguali ai suoi». Poi mi dice: «Rain, amore, vai a giocare. Qui con noi ti annoierai».
Annuisco e mi avvicino ai due bambini, ma uno di loro, quello più basso, si allontana e si mette a giocare in un angolo vicino al caminetto.
L’altro ci resta male, ma non si muove. Decido di andare prima dal bambino nell’angolo.
«Ciao» lo saluto. Lui solleva gli occhi dalla calamita a forma di giraffa con cui stava giocando.
«Ciao» mi sorride. Ha un segno sul mento, come se ci avesse premuto sopra un dito. E gli occhi sono del colore delle farfalle che a volte vediamo sulla scogliera, neri neri.
«Io sono Rain».
Lui mi guarda stupito. «Che bel nome che hai. A me piace tanto la pioggia, lo sai?» Scuoto la testa perché non lo sapevo. «Anche a te piace? Per questo ti chiami così?»
Rido. È davvero simpatico, e ha un buon odore. Mi ricorda i fiori. «No, il nome lo hanno deciso mamma e papà. Tu come ti chiami?»
«Adam».
«E la giraffa?»
«Non lo so».
«Io ho una scimmietta» dico, prendendo dalla tasca dei pantaloncini la calamita che mi ha dato l’amico della mamma.
«Come si chiama?» mi chiede.
«Mhmm… Adam» decido con una risatina.
«Madam?»
Sto per dirgli di no, che si chiama come lui perché un po’ gli somiglia, è simpatica e anche lui lo è, ma alla fine decido che anche Madam mi piace.
Ci mettiamo a giocare sul pavimento, sopra il tappeto. L’odore del camino mi piace, mi fa pensare a papà. Chissà perché non c’è. Cerco la mamma e la vedo ancora insieme al suo amico. Lui mi sembra triste, forse perché la sua mamma è andata in cielo. Chissà perché non è andato con lei. Parlano tantissimo, come fanno sempre gli adulti, poi la mamma dice sì con la testa e poi fa una cosa che di solito fa con papà. Dà un bacio al suo amico, forse perché così dopo non è più triste.
Guardo il bambino uguale a Adam che se ne sta tutto solo. Anche lui è triste. Dopo gli darò un bacio.
«Perché l’altro Adam non gioca con noi?» chiedo dopo un po’ a quello che ho davanti.
«Non si chiama come me. Si chiama Evan. È mio fratello». La sua giraffa dà un bacetto alla mia scimmietta che si è fatta la bua saltando giù da un ramo.
«E perché è uguale a te?»
«Perché siamo gemelli».
Non so cosa voglia dire, ma va bene lo stesso. Giochiamo ancora un po’, poi penso che potremmo divertirci di più se il gemello di Adam giocasse con noi.
«Evan ce l’ha una calamita?» chiedo a Adam. Lui dice sì con la testa.
Mi alzo e vado verso Evan. Sta giocando con un elefante. Mi avvicino e gli prendo la mano. Lui mi guarda e io noto che non è proprio uguale uguale a Adam. Ha gli occhi più scuri. E il suo odore è come quello della legna nel caminetto.
Mentre giochiamo tutti e tre insieme, la giraffa di Adam e l’elefante di Evan litigano di nuovo e la giraffa si fa la bua.
Evan ride, e a lui non si forma il segno sul mento. Forse essere gemelli significa essere uguali, ma non in tutto.
È come per i miei occhi che sono di papà ma solo perché sono uguali. Però i miei occhi sono miei e i suoi sono i suoi, non usiamo gli stessi. «Evan, Adam, dobbiamo andare».
I genitori dei gemelli li chiamano. Evan si allontana per primo, quindi non gli posso dare un bacetto per farlo stare meglio, mentre Adam aspetta di far guarire la giraffa prima di alzarsi. Il bacetto lo do a lui sulla guancia, così magari è come averlo dato a Evan.
Lui sorride di nuovo e si avvicina per darmene un altro, ma il suo papà lo richiama e quindi si allontana dalla mia guancia. Mi dice: «Ciao ciao Rain. Ci rivedremo». Poi se ne va. Lo vedo sparire insieme a tutti gli altri. Mi guardo attorno. Non c’è più la mamma, né il suo amico, né gli altri adulti. Sono rimasta da sola, seduta sul gradino di casa, a Howth. Io e mia madre abbiamo viaggiato per quattro ore da Cork, io ho sonnecchiato. Quando mi sono svegliata, ero ancora dentro la sua macchina, parcheggiata vicino alla scogliera. Lei mi ha chiesto se volessi fare un gioco e mi ha dato la sua collana. Siamo scese, io ho iniziato a correre. Dritta fino a casa senza mai voltarmi indietro. Ma mentre correvo la scimmietta mi è caduta dalla tasca della giacchetta. Mi sono fermata per raccoglierla, mi sono voltata. Mia madre non c’era più.
«Ciao Rain».
Questa voce, così simile a quella del bambino che ha giocato con me quel giorno, ma più adulta.
«Evan?»
Mi guardo intorno, ma nel cortile di casa ci sono solo io. Mi rimetto in piedi. Sono più alta, calzo un paio di Converse rosse. Addosso ho un vestitino di velluto, dello stesso colore delle scarpe. I miei capelli sono rossi come quelli di mia madre e mi sfiorano la schiena.
Vado verso la strada e mi ritrovo nel giardino che separa la casa al mare di Shannon da quella di sua nonna. Riconosco il melo sotto il quale Evan mi ha fatto la sua promessa. Mi avvicino al tronco, lo accarezzo piano. Il legno è umido.
Sento qualcosa cadermi sulla testa. Mi passo una mano tra i capelli e mi ritrovo con un fiore di melo tra le dita. Ne sento cadere un altro e un altro ancora. Stanno cadendo dal cielo, una pioggia morbida e leggera che profuma di ricordi perduti, baci e promesse.
Chiudo gli occhi, qualcosa mi bagna il viso. Quando li riapro, sta piovendo sul serio. Piove, una pioggia lieve che mi accarezza.
«Rain».
Mi volto in direzione della voce che mi ha chiamata sin qui.
Il ragazzo che ho davanti sta piangendo. Indossa un paio di sneakers verdi, consumate sulla punta.
«Adam».
«Ti sei ricordata di me» la sua voce è simile a quella di Evan, ma meno bassa, più cristallina. Ho davanti il bambino che ha giocato con me, il primo a cui io abbia mai dato un bacio. Il ragazzo che mi ha tenuto compagnia mentre ero in coma. È a lui che ho promesso di svegliarmi, dopo l’incidente. Gliel’ho promesso, per poterlo vedere un’ultima volta.
«Mi dispiace di essermene andato senza poter ricambiare il tuo bacio». I suoi occhi mi fissano malinconici. «Mi dispiace per un mucchio di cose che non ho fatto, e per tutti quelli che amavo e che ho perso».
Le gocce di pioggia si fondono con le sue lacrime, in una danza che gli bagna il viso.
Mi avvicino a lui lentamente, per paura che sparisca da un momento all’altro.
Gli sfioro la guancia con un bacio.
È così simile a Evan, così solo e triste. Lo abbraccio.
Restiamo stretti l’uno all’altra, mentre la pioggia continua a caderci addosso.
«Devi svegliarti, Rain. Promettilo».
«Lo prometto» sussurro. «Mi sveglierò, ma tu non piangere».
Lo sento fare un cenno di assenso, mentre continua a tenermi premuta contro la sua felpa. Odora di erba e di fiori.
«Neanche tu metti il cappuccio quando piove?» gli chiedo, accarezzando i suoi capelli bagnati.
«Amo la pioggia». Mi sussurra qualcosa all’orecchio, ma non riesco a sentirlo. «La senti? Riesci a sentire la promessa che porta con sé? È una promessa che ci lega tutti. È come un bacio, come quello che mi hai dato quando eravamo bambini, e come quello che hai dato a mio fratello sotto il melo». Inizia a muoversi lentamente. Stiamo danzando. «La pioggia non sceglie su chi cadere, Rain, né può scegliere di non farlo. Cade su ciascuno di noi nello stesso istante, in un attimo che può legarci per sempre. Anche in questo momento, sta bagnando me ed Evan a Cork, la stessa pioggia che è qui con noi, adesso». Sento le lacrime iniziare a scendere lungo le mie guance. «Non puoi scegliere di non amare, Rain. Ama. Cadi. E ama ancora. Fallo anche un milione di volte, se necessario. Ma vivi».
Si scosta e mi passa un pollice sulla guancia.
Gli stringo la mano prima che possa allontanarla. È gelida. «Avrei voluto che le cose fossero andate diversamente. Avrei voluto… Avrei voluto che tu… Mi dispiace così tanto, Adam».
I suoi occhi si fanno tristi, neri come le ali di una farfalla.
«Non piangere, Rain. Ci rivedremo, un giorno. Te lo prometto».
Si china su di me e mi posa un bacio leggero sulla guancia. «Quel giorno sentirai cadere la pioggia, perché attraverso la pioggia tornerò da te».