Attraversando il ponte
Un anno e mezzo dopo.
RAIN
Le lanterne che pendono dagli archi proiettano piccole ombre sul ponte.
Mi appoggio alla ringhiera e osservo le acque grigie del fiume Lifey che si lasciano accarezzare dal cielo d’agosto. Respiro forte l’aria di casa.
Prendo il telefono dalla borsa, faccio partire la chiamata.
Due bambini corrono verso l’altra estremità del ponte, uno di loro, il più piccolo, cade. Piange. La madre lo prende in braccio e lo consola con un bacio.
La chiamata viene aperta. Resto in ascolto.
Silenzio.
«Dun».
Non mi risponde. Sospiro e mi allontano dalla ringhiera.
«Va bene, non importa, non dire nulla. Ma ti prego, ascolta quello che ti dirò sino alla fine. Sono sull’Ha’ Penny Bridge».
Faccio una pausa. «So che non mi dirai dove sei, ma se resti al telefono, sarà come averti qui con me». Porto una mano al collo, sfioro la mela d’argento. È tornata finalmente intera. «Il cuore che mi hai restituito, l’ho dato a lei».
Sollevo la testa a guardare le lanterne che pendono dal soffitto. «Quasi sei anni fa mi hai chiesto cosa desideravo, proprio qui su questo ponte, te lo ricordi?» Un sospiro mi raggiunge dall’altro capo. «Allora non ti ho risposto, ma tutto ciò che desideravo era stare con te. E ti avrei detto che, se fosse stato possibile tornare indietro, avrei cambiato un sacco di cose. Oggi, invece, ti direi che va bene così. Non rimpiango niente, perché sono state le scelte che ho fatto a portarmi qui dove sono adesso. E tutto ciò che desidero è andare avanti, arrivare all’altra estremità del ponte».
Inizio a incamminarmi. «E voglio attraversarlo con te, Duncan. Perciò resta con me sino a quando non sarò arrivata alla fine».
Mi fermo a dieci passi dal punto in cui il ponte si interrompe e cominciano i gradini.
Uno. «Non ti chiederò perché te ne sei andato».
Due. «Non ti chiederò se ti sei pentito delle tue scelte».
Tre. «Né se pensi mai a come sarebbe potuto essere ricominciare insieme».
Quattro. «Non ti chiederò se mi ami ancora».
Cinque. «Né se sei felice. Voglio credere che tu lo sia, che stia facendo il possibile per esserlo. Lo devi a te stesso, Duncan, a quel bambino che per troppo tempo si è sentito solo e sbagliato».
Sei. «Non ti chiederò se la notte fatichi a prendere sonno, pensando a lei».
Sette. «Se guardando i suoi occhi riuscirai a vedere la bellezza dei tuoi».
Otto. «Se un giorno tornerai indietro e le dirai che la ami. Ti aspetterà sempre, Dun».
Nove. «Ti chiedo solo di farmi una promessa».
Dieci. «Quando sentirai cadere la pioggia, chiudi gli occhi e lascia che ti accarezzi. Sarà la stessa pioggia a bagnarci, in qualunque parte del mondo ci troviamo. Ti porterà da noi e porterà noi da te, sino al giorno in cui ci ritroveremo». Scendo il primo gradino. Sento un sospiro. Poi la sua voce che si spezza.
«È bellissima. Come l’hai chiamata?»
«Sinead [6] ».
Una goccia si posa sullo schermo del telefono mentre la chiamata si chiude.
Poi un’altra. Un’altra.
Comincia a piovere.
Chiudo gli occhi lasciando che la pioggia mi accarezzi per un istante, prima di andare avanti senza più voltarmi indietro. Ho qualcuno a casa che mi sta aspettando.