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4 dicembre 2017

 

Stamattina Nina mi ha guardata senza vedermi. Prima di sparire nel canile il suo sguardo mi è scivolato addosso come gocce d’acqua sull’impermeabile.

Pioveva a dirotto.

Ne ho intravisto il pallore e i capelli neri sotto il cappuccio della cerata. Portava stivali di gomma troppo grandi per lei e aveva in mano un lungo tubo per annaffiare. Vederla mi ha provocato una scarica elettrica in pancia, cinquecentomila volt a dir poco.

Le ho lasciato trenta chili di croccantini. Lo faccio ogni mese, senza entrare mai nel rifugio. Sento i cani, ma non li vedo, tranne quando mi passano davanti con qualcuno che li porta a passeggio.

Allineo i sacchi davanti al cancello d’ingresso. Un dipendente, sempre lo stesso, un ragazzone con la barba incolta, mi aiuta a portare quei premi di consolazione fino a sotto le scritte Abbandonare uccide e Si prega di chiudere bene la porta.

Ogni anno a Natale e subito prima delle vacanze estive, ma mai lo stesso giorno, infilo un po’ di soldi nella cassetta delle lettere del rifugio per animali abbandonati. Soldi anonimi in una busta su cui scrivo Nina Beau a pennarello nero. Non voglio farle sapere che vengono da me. So bene che finirà tutto in cibo e cure veterinarie, ma non lo faccio per gli animali, lo faccio per lei. Voglio che il denaro passi tra le sue mani senza lasciare traccia, giusto perché sappia che fuori non c’è soltanto gente che butta gattini nella spazzatura.

Anche trentuno anni fa mi aveva guardata senza vedermi, come stamattina. Stava uscendo dalla toilette degli uomini, aveva dieci anni. Davanti a quella delle donne c’era la ressa, e già all’epoca a Nina non piaceva aspettare.

Il suo sguardo mi era scivolato addosso, poi lei si era precipitata tra le braccia di Étienne.

Eravamo al Progrès, il bar tabacchi dei genitori di Laurence Villard. Era una domenica pomeriggio. Il bar era chiuso, le saracinesche abbassate. Avevano riservato il locale per il compleanno della figlia. Ricordo le sedie a gambe all’aria sui tavoli, una sull’altra, e una pista da ballo improvvisata tra il flipper e il bancone disseminato di pacchetti regalo sventrati accanto alle patatine, ai biscotti Choco BN e ai bicchieri di carta con le cannucce gialle pieni di aranciata Oasis o limonata.

C’era tutta quella che poi sarebbe diventata la quinta elementare. Io non conoscevo nessuno. Ero appena arrivata a La Comelle, città operaia di circa dodicimila anime nel centro della Francia.

Nina Beau. Étienne Beaulieu. Adrien Bobin.

Avevo osservato il loro triplice riflesso negli specchi lungo il bancone.

Avevano nomi fuori moda, nomi da nonni. La maggior parte di noi si chiamava Aurélien, Nadège o Mickaël.

Nina, Étienne e Adrien erano all’inizio di un’infanzia da amici inseparabili. Non mi avevano vista quel giorno come non mi avrebbero vista tutti gli altri giorni.

Nina ed Étienne avevano ballato tutto il pomeriggio sulle note di Take on Me, degli a-ha. Un maxi-quarantacinque giri, un pezzo che durava un’eternità. Quelli della mia classe l’avevano messo a ripetizione come se non disponessero di altri dischi.

Avevano ballato come i grandi, come se non avessero fatto altro nella vita, almeno così mi ero detta osservandoli.

Sotto la luce stroboscopica sembravano due uccelli marini con le ali spiegate nel buio delle notti ventose, di cui soltanto un faro lontano illuminava il volo aggraziato.

Adrien era rimasto seduto per terra a poca distanza da loro, appoggiato al muro. Quando Cindy Lauper aveva attaccato True Colors era balzato in piedi per invitare Nina a ballare il lento.

Étienne mi aveva sfiorata. Non dimenticherò mai il suo odore dolciastro di vetiver.

 

*

 

Abito da sola sulle alture di La Comelle, anche se in realtà alture è una parola grossa, è solo una campagna un po’ collinosa. Ho vissuto altrove, poi sono tornata perché qui conosco il rumore delle cose, i vicini, le giornate di sole, le due strade principali e le corsie del supermercato in cui faccio la spesa una volta alla settimana. Da una decina d’anni il prezzo al metro quadrato è crollato, case e terreni sono regalati. Così con pochi soldi mi sono comprata una casetta e l’ho rimessa a posto. Quattro stanze e un giardino con un tiglio che d’estate fa ombra e d’inverno torna utile per le tisane.

Da qui se ne vanno tutti. Tranne Nina.

Étienne e Adrien se ne sono andati. Come al solito, sono tornati per Natale e poi ripartiti.

Lavoro da casa, saltuariamente correggo o traduco manoscritti per case editrici e, per mantenere un legame sociale con la vita di qui, ad agosto e dicembre sostituisco il redattore locale del giornale di zona. D’estate mi occupo di necrologi, anniversari di matrimonio e tornei di briscola. D’inverno pure, con l’aggiunta degli spettacoli per bambini e dei mercatini di Natale.

Traduzioni e correzioni sono strascichi della mia vita di prima.

Ci sono i ricordi, il presente e le vite di prima che hanno un odore diverso. Cambiando vita cambiano i profumi.

L’infanzia odora d’asfalto, di camere d’aria, di zucchero filato, del disinfettante delle aule, del fuoco di caminetto che emana dalle case nei giorni freddi, del cloro delle piscine comunali, del sudore che impregna le tute quando si torna dalla palestra in fila per due, dei chewing gum Malabar in bocca, della colla che fa i fili sulle dita, delle caramelle mou Carambar appiccicate ai denti, di un albero di Natale piantato nel cuore.

L’adolescenza odora del primo tiro di sigaretta, di deodorante al muschio, di fetta di pane imburrata immersa in una tazza di cioccolata calda, di whisky e Coca in cantine trasformate in discoteche, di corpo che desidera, di lozione purificante Eau Précieuse, di gel per capelli, di shampoo all’uovo, di rossetto, di effluvi di detersivo sui jeans.

Le vite di dopo hanno un odore di sciarpa dimenticata dal primo amore che ci ha spezzato il cuore.

Poi c’è l’estate. L’estate è atemporale, fa parte di tutti i ricordi e il suo odore è il più tenace, è quello che si attacca ai vestiti, quello che cerchiamo per tutta la vita: frutti dolcissimi, vento di mare, frittelle, caffè nero, crema Ambre Solaire, cipria Caron delle nonne. L’estate riguarda tutte le età, non ha infanzia né adolescenza. L’estate è un angelo.

Io sono abbastanza alta e ben proporzionata. Frangetta, capelli castano scuro di media lunghezza con qualche filo bianco che nascondo col mascara marrone.

Mi chiamo Virginie, ho la loro stessa età.

Oggi, di tutti e tre, Adrien è l’unico che ancora mi rivolge la parola.

Nina mi disprezza.

Quanto a Étienne, sono io che non voglio più saperne di lui.

Eppure fin dall’infanzia mi affascinano. Sono sempre stata legata soltanto a loro tre.

E a Louise.