14

11 dicembre 2017

 

Nina parcheggia davanti al rifugio e saluta i due volontari che la stanno aspettando, Joseph e Simona.
Joseph è un operaio in pensione, un ometto rubicondo con un’eterna sigaretta rollata tra le labbra. Di quando in quando si degna di riaccenderla. Simona ha perso il figlio in un incidente stradale. Se tutti i giorni non portasse i cani a passeggio si farebbe saltare le cervella, reggere i guinzagli le permette di restare in piedi. Gli animali abbandonati sono il suo bastone per ciechi.

Nina ha visto passare molti volontari da quando lavora lì, una specie di sfilata eclettica fatta di muratori, inservienti ospedalieri, borghesi, vedove, vecchi, giovani appena un po’ sciupati, anime solitarie e troppo sensibili che rattoppano se stesse pulendo i box, aggiustando le reti, scambiando due chiacchiere davanti a un caffè caldo per conoscersi o riparando le lamiere ondulate che fanno da tetto ai canili. Poi un giorno se ne vanno perché si sentono meglio o si trasferiscono da un’altra parte o si sposano, dichiarano che è troppo faticoso o non è più il momento e spariscono come sono arrivati.

Stamattina Nina ha appuntamento con Romain Grimaldi. Stamattina Bob se ne va.

Al rifugio ogni volta che viene piazzato un cane o un gatto ognuno fa festa in cuor suo. I giorni di adozione sono momenti particolari. Da una parte piangono per la partenza dell’animale al quale si sono necessariamente affezionati e che non vedranno più, dall’altra sorridono perché la bestiola smette di essere negletta, il suo abbandono si conclude. Quei momenti di sollievo li aiutano a tenere duro nel Tetris della vita.

Romain Grimaldi sta aspettando Nina davanti alla porta dell’ufficio. Entrano insieme dopo essersi stretti la mano. Ha sempre lo stesso buon odore, pensa lei.

Le piace l’aroma che emana, le fa tornare in mente il marito, i loro inizi. È tutta una questione di percezioni sensoriali, pensa anche.

«Ho preparato i documenti, fra un mese Bob sarà ufficialmente suo».

«Non è mio oggi?».

«Ha un mese di tempo per ripensarci».

«Non c’è motivo».

«Non si sa mai. Adottare è come sposarsi, può venire voglia di divorziare il primo anno».

«Succede spesso?».

«No, non spesso, ma capita che mi riportino un cane perché non corrisponde alle aspettative del padrone».

Arriva Simona con Bob. Saluta Romain, mormora «È un bravo cane, ne abbia cura», gli porge il guinzaglio e se ne va.

Prima Simona non aveva rapporti con gli animali. Non avrebbe torto loro un capello, ma neanche li vedeva.

Due giorni prima che seppellissero il figlio Éric era entrata nel suo monolocale per prendere dei vestiti da dare alle pompe funebri e si era trovata faccia a faccia con una vecchia cagnetta che Éric aveva raccolto dalla strada senza dirlo a nessuno. Si era ricordata che avere un cane era sempre stato il sogno del figlio, un sogno che lei gli aveva negato per tutta l’infanzia. Simona e la bestiola si erano guardate a lungo, lei aveva riconosciuto il proprio dolore nello sguardo dell’animale, la cagnetta aveva capito che il padrone non sarebbe tornato. Consolandola, Simona aveva consolato se stessa. L’aveva presa in braccio e non se n’era più separata. Quand’era morta, quando il veterinario le aveva detto che non c’era più niente da fare, era andata a trovare Nina. «Ho bisogno di portare a spasso i cani». Nina l’aveva arruolata il giorno stesso. Conosceva Simona di vista, sapeva della morte di Éric, suo compagno di scuola al liceo, sapeva che dal giorno del funerale Simona e la cagnetta stavano sempre insieme, la vedeva camminare con lei sui marciapiedi di La Comelle come se portasse a spasso una tristezza. Nina aveva subito capito che quell’ennesima azzoppata dalla vita aveva la necessità di lavorare lì. Sapeva che per Simona non sarebbe stato facile affrontare la malattia, la vecchiaia e la morte di certi animali, ma non aveva scelta, non se la sentiva di rifiutarla, di rimandarla a casa, così aveva deciso di farla collaborare.

«Ammiro molto quello che fa» dice Romain a Nina firmando i documenti per l’adozione.

«Anch’io... Non dev’essere facile gestire una scuola media».

«La parte più difficile non sono gli alunni, ma i genitori».

Nina sorride. Romain compila un assegno.

«Non è obbligato» dice Nina.

«Lo so».

«Grazie da parte loro».

Romain porta Bob con sé. Va alla macchina, apre la portiera del passeggero e fa salire il cane sul sedile davanti.

«Le darò notizie».

Nina fa una foto a Bob col telefonino.

Un cenno di saluto e la macchina è già scomparsa. Nina rimane lì qualche secondo tra gli odori di benzina e di cane bagnato.

Poi torna in ufficio, entra sul sito del rifugio, posta la foto di Bob che ha appena scattato e ci scrive accanto Bob adottato con un cuoricino.