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Tornato tremante dalla scuola, Pierre Beau richiude le buste rubate, le rimette tra le lettere da distribuire, lava le lenzuola, rifà i letti e non ne parla più, neanche con Nina. La sera, quando lei rincasa morta di vergogna, con la voglia di sparire sottoterra, le prepara due croque-monsieur e un’insalata verde di contorno e le dice di mangiarli finché sono caldi. Nina ha ancora il segno delle sue dita sulle guance. Non osa dire che non ha fame, manda giù lacrime e insalata senza aprire bocca, poi sale in camera, vede il letto rifatto, i vestiti puliti. Istintivamente cerca la lettera anonima sotto il cuscino: non c’è più niente. Apre il primo cassetto della scrivania, prende la busta con le tre foto della madre, apre la finestra, dà fuoco alla busta con un accendino dimenticato da Étienne e la tira sulla tettoia sottostante dicendo più volte: «È colpa tua, puttana».

Il giorno prima si è rovinata gli occhi per cercare di decifrare il viso e il corpo della madre sulle tre fotografie. A che pensava Marion? Era innamorata? Quali erano le sue amiche tra tutte quelle ragazze? La madre di Étienne? È possibile che l’amicizia si trasmetta di generazione in generazione? Si confidava? Conosceva già mio padre? Ho i suoi occhi? Il suo naso? Il suo sorriso? Com’era la sua voce? Dove sono finiti i vestiti che aveva quel giorno?

Guarda la busta che finisce di consumarsi dentro la grondaia.

Qualche giorno dopo trova sul tavolo della cucina una lettera indirizzata a lei. Stando al timbro è stata spedita il giorno prima da La Comelle. Riconosce la scrittura sulla busta, il suo modo di tracciare le lettere.

Sale in camera per aprirla.

 

Piccola mia,

questa non avrai bisogno di rubarmela dalla borsa, è una lettera per te. Leggere la posta degli altri è una cosa grave, ma ti chiedo scusa, non avrei mai dovuto picchiarti. Ho avuto paura, la paura di un vecchio che ha troppi pensieri. Ciò che hai fatto non giustifica che ti abbia preso a schiaffi davanti ai tuoi compagni. Non avrei dovuto alzare le mani su di te, così piccola e indifesa, luce dei miei occhi. Mi vergogno e sempre mi vergognerò del mio gesto inammissibile e fuori luogo. Spero che mi perdonerai. Ti voglio bene,

Nonno

 

La scrittura incerta e infantile di Pierre la commuove. Gli risponde con una cartolina che mette in una busta, una bella incisione dell’Uccello turchino, in ricordo del racconto che il nonno le leggeva ogni sera quand’era piccola.

 

Caro nonno,

ho ricevuto la tua lettera. Sono io che ti chiedo scusa.

Cercavo lettere damore, e sapere che forse nella tua borsa ce nerano mi ha fatto un poperdere la testa, ma proverò a non farlo più.

Ancora scusa,

La tua piccola