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12 dicembre 2017

 

Romain Grimaldi apre la porta e vede solo i suoi occhi neri, acqua di fonte.
Nina saluta e lancia il cappotto su una sedia. Si sbarazza dal freddo, lo posa lontano da sé, si soffia sulle mani. Dal divano Bob solleva la testa, la riconosce e va a farle le feste.

«Ciao, vecchio mio».

«Vuole bere qualcosa?» le chiede Romain.

Lei si volta, lo fissa, si avvicina. Lui le sorride un po’ a disagio.

«Il mio corpo è morto da anni» dice Nina. «Una pelle che non viene toccata muore. Un corpo che non viene guardato vive nell’inverno. Strati di freddo si sovrappongono, come nevi eterne. Non conosce più altre stagioni, non ha più desiderio né speranza di ritorno, è cristallizzato nel passato, bloccato da qualche parte, non so dove. Ha paura. Ho paura. Il mio corpo non ha più un presente. Vorrei fare l’amore. Vorrei sapere se il mio corpo si è scordato tutto o se ricorda ancora qualcosa. Lei mi piace. Io le piaccio?».

Romain risponde di sì.

Un sì che è anche una domanda, un sì diffidente che ha paura di lei, di quella franchezza che suona come una musica pericolosa.

«Sì, vorrei bere qualcosa di forte» dice lei in un soffio.

«Anch’io».

Romain va in cucina. Nina lo sente aprire sportelli, prendere i bicchieri. Le batte il cuore come la prima volta che ha visto il mare. Guarda il salotto. Lampade, libri, tavolino basso, televisione a volume azzerato. C’è un documentario sull’India, si vede il Gange, donne in sari. Si impone di non pensare, di fidarsi di se stessa una volta tanto.

L’uomo torna con due bicchieri pieni di un liquido scuro, bourbon. Li bevono d’un fiato senza staccarsi gli occhi di dosso. Porta anche lui jeans e maglione nero, sembrano due gemelli che la madre abbia vestito uguali.

Apre la bocca per dire qualcosa, e nello stesso movimento si baciano. Nessuno fa il primo passo, lo fanno insieme. Nonostante il tremito e qualche maldestro dondolio sanno trovarsi e toccarsi. Riscoprono la fluidità dei gesti, la lentezza, le mani sollecite, i tentativi. Lui si toglie golf e maglietta. A Nina piace l’odore della sua pelle, è un primo passo. Quando si ama l’odore dell’altro, quando lo si identifica con qualcosa di familiare e lo si riconosce come proveniente da una stessa matrice sensoriale, si possiede tutto il resto. Per giunta sa baciare.

Non si è sbagliata cercandolo. Ha delicatezza e sensualità.

Sente la sua lingua. Era convinta che non le sarebbe più successo di stare con un altro.

Ha difficoltà a realizzarlo, si sente quasi ipnotizzata, in uno stato di irrealtà. Gli passa le mani nei capelli folti, vorrebbe farlo entrare dentro di sé tutto intero. La sua barba della sera le punzecchia le guance, il mento, la bocca. Anche lei si spoglia. Lui sente il sapore della sua pelle, un cocktail dolce che sa di vacanze.

«Staremo più comodi in camera mia» dice Romain.

«Spenga la luce» risponde lei.

Lui le chiede se è sicura di volere il buio. Sì, ne è sicura.

Sorride. Sorridono.

Si fanno un altro bicchierino prima di salire in camera, il bicchiere della staffa prima di affrontare il viaggio. Lunga è la strada da percorrere. Scale, piedi nudi sulla moquette. Sono entrambi spettinati e ardenti, sudano l’uno contro l’altra, gemono. È il preludio. “Niente è più delizioso dei preliminari” pensa Nina. Un’adolescenza che non finisce più. Ancora meglio di una promessa, di una parola mantenuta. Si tengono, si afferrano, si incontrano, si precipitano, hanno tempo, hanno tutta la notte, la notte appartiene a loro. Ricchezza dell’istante. A mani piene.