Sono incinta».
Sono nudi in camera di Étienne. Lui si toglie il preservativo con due dita, Clotilde è stesa accanto a lui con le gambe piegate. Le guarda la bocca. Sembra un roditore. Ha sempre pensato che abbia una bocca troppo sottile, troppo piccola, troppo brutta. Per giunta si mette il rossetto ed è come se accentuasse il difetto. Denti bianchi ben allineati, ma un po’ in fuori. Occhi azzurri con ombretto viola. Sono il suo punto di forza, tutti le guardano gli occhi, ragazzi e ragazze. Naso piccolo, dritto, sottile. Pelle bianca come il latte. A Étienne piacciono i suoi seni, i capezzoli rosa pallido, la pancia piatta, il corpo slanciato da sportiva. Non è molto alta, non più di Nina. Paragona tutte le sue conquiste a Nina, mai alla sorella Louise. Con una sorella non si fanno paragoni. Nina è diversa da una sorella, è indefinibile. Un’amica d’infanzia. Così dice quando la presenta a qualcuno: «La mia amica d’infanzia». È un modo per evitare difficili spiegazioni del tipo “Non è la mia ragazza, passiamo la vita appiccicati, ma non stiamo insieme”. Di Adrien dice «Il mio migliore amico», ma non lo pensa. Anche Adrien è un’altra storia. Prima non facevano mai niente insieme se non c’era pure Nina. Da quando ha compiuto quattordici anni Adrien va da lui da solo per suonare il sintetizzatore e giocare ai videogiochi. La console Sega è collegata ventiquattr’ore su ventiquattro a un televisore accanto alle tastiere. Si mettono su un vecchio divano, selezionano Mortal Kombat o Sonic e giocano per ore. Quando arriva Nina, Étienne le cede il joystick a malincuore, ma lei si stufa presto, una cosa che i due ragazzi non sopportano.
Étienne dà un tiro alla canna e chiude gli occhi. Li riapre solo quando Clotilde mormora:
«Non so che cavolo ho combinato con la pillola».
Lui rimane zitto, si copre il pisello col lenzuolo, come se di colpo fosse diventato pudico o volesse mettere fine alla loro vicinanza, alla loro intimità.
Pensa al padre. Che dirà se viene a saperlo? Lo coprirà di insulti. Abbandonerà ogni remora. Fino a quel momento Marc è stato zitto perché Marie-Laure non sopporta che faccia paragoni tra Étienne e Paul-Émile, ma se scopre che il figlio ha messo incinta una ragazza si sentirà libero di rovesciargli in faccia parole che feriscono.
«Oh cazzo... Siamo nella merda» geme Étienne.
«Lo so» dice Clotilde.
«Ma sei sicura?».
«Sì».
«Sei stata da un dottore?».
«Ancora no».
«Dobbiamo sbrigarci».
«Lo so».
«Fra un mese abbiamo l’esame».
Fanno l’amore tutti i mercoledì pomeriggio a casa di Étienne. Si chiudono in camera, se la prendono comoda, si riscaldano, sperimentano. Sono due novellini di diciassette anni che esplorano, cercano e scoprono il piacere. Si divertono e nient’altro. All’amore vero Étienne penserà più tardi. Se immagina il futuro si vede vivere a Parigi con Nina e Adrien.
È la prima volta che sta così a lungo con una ragazza, ben sei mesi, ed è anche la prima volta che ci prende davvero gusto.
Ancora non ha realizzato bene quel che gli ha detto Clotilde. «Il rovescio della medaglia», commenterebbe il padre. La canna lo fa planare. In lui convive un dualismo: darsela a gambe ed essere fiero. Metterla incinta è un qualcosa che appartiene all’ordine della virilità, gli viene quasi da gonfiare il petto. Allo stesso tempo ha un’angoscia crescente: diventare padre a neanche diciott’anni è un incubo che significa restare a La Comelle, diventare come i genitori, uscire presto e tornare tardi, scordarsi dei suoi sogni. Un figlio prenderebbe il suo posto alle piscine, sullo skate, in discoteca, suonerebbe il sintetizzatore e giocherebbe ai videogiochi mentre lui sgobberebbe per crescerlo. Non può essere.
Nina non pensa ad altro che sposarsi, fare figli e avere una casa. Angoscia pura. Étienne non le crede quando si proietta in quella vita fittizia, pensa che crescendo le passerà e vivranno tutti e tre di libertà e d’acqua fresca, che faranno concerti un po’ dappertutto e forse anche tournée in giro per il mondo.
Si riveste. Ha appuntamento con gli altri due a casa di Nina per studiare. Stanno ore a leggere schede e interrogarsi a vicenda. Se non ci fossero stati loro Étienne non sarebbe mai passato in terza e meno che mai in quarta. Ancora non si capacita di essere all’ultimo anno, benché ne goda i benefici, visto che i genitori gli permettono di fare quel che vuole finché prende bei voti. Per potersi trasferire a Parigi l’anno prossimo dovrà proseguire con gli studi, una cosa qualsiasi. Mai i genitori lo lascerebbero andare per “fare musica”. A forza di pensarci e guardare alla televisione Commissario Navarro e Il commissario Moulin si è convinto che gli piacerebbe diventare poliziotto. Poliziotto e musicista, roba di classe. E poi ha un vantaggio sugli altri, la sua bravura nello sport.
Guarda Clotilde che si riveste. Incinta. Lo trova surreale come quando Nina ha avuto le mestruazioni a dieci anni, sono cose che non esistono nel suo mondo.
«Ti riporto a casa» dice.
Trovano Louise che legge sprofondata sul divano. Si scambiano un breve «Ciao, a stasera». Étienne si chiede come sia possibile leggere un romanzo per il solo piacere di leggerlo, senza nessuno che ti costringa a farlo. Adrien e Louise si prestano libri. Étienne ha capito che c’è qualcosa tra la sorella e l’amico, ma fa come se il loro rapporto non esistesse, anche se è chiaro come il sole. Non vuole sapere.
Dà il casco a Clotilde, accende la moto e attraversa La Comelle a tutta velocità con Clotilde dietro, attaccata a lui. È tentato di frenare di colpo in modo che cada, lo lasci, smetta di esistere. I pensieri lo tormentano. La deposita a casa quasi con sollievo. Prima di andarsene le dice di farsi visitare da un dottore appena può. Ancora non ci crede. Com’è possibile che i loro giochini sessuali siano sfociati in una gravidanza? Lei sostiene di prendere la pillola, lui si mette il preservativo. È vero che ogni tanto gli si sfila o si rompe, ma sarà successo un paio di volte, non di più.
«Vai da loro?» chiede Clotilde.
Nella domanda è sottinteso un rimprovero: “Molla un po’ quei due. State sempre insieme”.
«Sì, stiamo studiando».
Étienne scappa letteralmente a casa di Nina, apre la porta, sale al piano di sopra. Ormai da anni, quando vanno dall’uno o dall’altro non bussano più. Si sentono a casa propria. I grandi ci hanno fatto l’abitudine. Quand’erano piccoli, i genitori dicevano che sarebbe passata, che era una fase dell’infanzia, che crescendo si cambia, si trovano altri amici, soprattutto alle medie, ma, vedendo che sono arrivati alla fine del liceo ancora insieme, se ne sono fatti una ragione, lo trovano naturale. Sono come figli di una stessa famiglia che dormono in casa dell’uno o dell’altro, crescono insieme, mangiano insieme e trascorrono insieme i giorni festivi. C’è un affetto molto forte fra loro. Joséphine adora Étienne e Nina, li accarezza sui capelli, li abbraccia calorosamente, conosce i loro piatti preferiti e glieli prepara apposta. Pierre si è affezionato a Adrien ed Étienne come se fossero figli di un fratello o di una sorella che non ha mai conosciuto. Marie-Laure e Marc includono sempre gli altri due nelle loro cene, e se Nina e Adrien non si fanno vivi per qualche giorno e non danno notizie sentono un vuoto. Tutti si danno del tu da anni. Ogni famiglia ha visto i figli delle altre due cambiare pelle e sguardo, trasformarsi.
Étienne sale le scale a due gradini per volta ed entra in camera di Nina. Gli altri due sono già seduti per terra a gambe incrociate. Si stanno facendo domande in inglese. Étienne saluta e si sdraia sul letto. Non gli piace stare per terra.
«Che hai?» gli chiede Nina. «Sei tutto bianco. Sembri me dopo che ho visto L’esorcista».
Étienne non ha voglia di parlarne. Si vergogna un po’, perché lui e Nina non hanno l’abitudine di nascondersi le cose, si raccontano apertamente ciò che li riguarda. Adrien li ascolta, ma resta sulle sue, misterioso, interviene raramente nei loro dialoghi. Diversamente dagli altri due, parla soltanto di quanto odi il padre, dei libri che ha letto e dei testi delle canzoni, mai di sesso o d’amore. Quando sono soli Nina non fa che chiedergli: «E tu chi ami? Ti piacciono le ragazze o i ragazzi? È vero che sei innamorato di Louise? L’hai baciata? Avete scopato?». Domande a cui Adrien risponde regolarmente: «Io amo te». Allora Nina si arrabbia: «Che palle che non rispondi mai! Fai sempre lo gnorri. Io ti racconto tutto».
Il sabato sera vanno al Club 4, una discoteca a trenta chilometri da La Comelle. Ce li portano i genitori o il nonno a turno e li vanno a riprendere nel parcheggio alle quattro del mattino.
Si preparano insieme, scelgono con cura come vestirsi, cenano presto, bevono qualche bicchiere di nascosto, si profumano e si lavano i denti fianco a fianco. Certe volte Nina e Adrien si scambiano le magliette. Étienne, molto più alto, non può partecipare al baratto. Nina si trucca sotto gli occhi dei ragazzi. «Non esagerare, altrimenti diventi volgare» la ammonisce sempre Étienne.
Guardano le riviste, si pettinano come rock star, si passano il vasetto del gel. Étienne si pettina i capelli biondi di lato, ha l’ossessione di somigliare a Kurt Cobain, che è morto da pochissimo. Adrien si asciuga i capelli scuri e ricci a testa in giù, sogna di possedere il carisma di David Bowie. Nina si cura il carré corto per sembrare Debbie Harry quand’era giovane, cambia colore di capelli come se cambiasse camicia e sperimenta tutti i generi di acconciatura.
Ultimamente, quando si preparano a casa di Étienne, Louise li raggiunge nel bagno che odora di profumo, lacca, sigarette, vodka e shampoo. Vorrebbe tanto andare al Club 4 con loro, scalpita, supplica, ma i genitori sono irremovibili.
«Hai solo sedici anni».
«Quasi diciassette! E Adrien è maggiorenne, può sorvegliarmi lui!».
«Non insistere».
*
12 dicembre 2017
Il Club 4... Ricordo che quand’ero all’ultimo anno di liceo adoravo andarci. Ci trovavo i festaioli della mia classe e altri giovani della regione. Era una discoteca selettiva, non facevano entrare chiunque. Gente vestita male, ubriachi e ragazzini non erano ammessi.
Arrivavamo di sera tardi, verso le undici, bevevamo un primo bicchiere col biglietto d’ingresso che dava diritto a due consumazioni, poi qualcuno di noi aveva sempre una bottiglia nascosta a cui attingevamo sottobanco. La proprietaria lo sapeva, ma chiudeva un occhio. I bei giovani erano pur sempre un’attrattiva per il suo locale.
Il Club 4 era frequentato da una fauna cosmopolita, c’erano liceali, vecchi, gay, habitué, coppie sposate, travestiti. Per essere una discoteca di provincia era piuttosto alla moda. Alcuni avventori venivano perfino da Parigi. Ricordo che c’era un privé in cui non avevamo mai messo piede, ma sapevamo che la gente faceva sesso dietro la tenda rossa che ne mascherava l’entrata.
Col senno di poi mi sembra pazzesco che ci permettessero di penetrare in quel luogo al limite della depravazione, visto che molti di noi erano minorenni, e che addirittura ci accompagnassero lì i nostri genitori come se si trattasse di una discoteca normale. Probabilmente non sapevano che al Club 4 niente rientrava nella normalità.
Il nostro gioco preferito era inalare popper tutta la serata. Lo vendevano liberamente al bar, ci passavamo le fialette di mano in mano e ci guardavamo allo specchio. Le nostre percezioni erano alterate, dilatate, i parametri normali andavano a farsi benedire, ridevamo, avevamo la sensazione di trasgredire a un divieto.
Il dj era un vero artista a mixare, la musica era eccellente, più che altro techno. Ci metteva le ali, ci aumentava il battito cardiaco. Ballavamo stretti gli uni agli altri inebriati da sensazioni che scoprivamo insieme. Giocavamo a fare i grandi, liberi, senza complessi, ma eravamo ancora bambini che si baciavano sulla bocca e stavano appena cominciando a esplorare la sessualità.
All’una il dj smetteva di mandare musica elettronica e in pista entravano travestiti inguainati in abiti di paillettes che imitavano le dive americane cantando I Will Survive di Gloria Gaynor, I Feel Love di Donna Summer, One Way Ticket degli Eruption.
Dopo lo spettacolo c’era sempre il cosiddetto “ballo del tappeto”.
Nina non sceglieva mai Étienne nel girotondo dopo essere stata baciata al centro del cerchio. Troppo pericoloso, troppo complicato, flirtare insieme avrebbe significato mettere in pericolo la loro amicizia. E poi si conoscevano troppo bene. Solo gli estranei sembravano desiderabili e intriganti. Erano come quelle vecchie coppie che non si guardano più.
Adrien non partecipava mai, osservava Nina ed Étienne da lontano e sorrideva. Quante ragazze e ragazzi porgevano il foulard a Étienne? Era il più gettonato, continuamente al centro del cerchio. Lui se la godeva un mondo, baciava le ragazze e se era ubriaco depositava un bacio anche sulle labbra dei ragazzi. Quell’anno stava con Clotilde Marais, ragione di più per slinguazzare con altre ragazze durante il ballo del tappeto. Era l’unica circostanza in cui lei glielo permetteva, anche se gli teneva il muso quando il bacio durava troppo. Oppure si vendicava invitando anche lei un altro ragazzo, cosa che Étienne non sopportava: meglio morire che essere cornificato davanti a tutti.
Nina non l’aveva ancora mai fatto, come si diceva tra ragazzi, ma non pensava ad altro, era il suo chiodo fisso. Voleva farlo con un uomo di cui fosse innamorata, soprattutto la prima volta. Aveva perso la testa per un certo Alexandre con cui aveva scambiato al massimo un «Ciao, come va?» «Bene, e tu?» «Buona serata», parole che l’avevano lasciata tremante, beata ed esangue. Alexandre arrivava al Club 4 verso le due di notte. Appena lei lo scorgeva nella penombra, appena ne vedeva la sagoma e i vestiti, abbandonava la pista. Lui e Nina si giravano intorno, facevano in modo da non essere mai lontani l’uno dall’altra, ma lui aveva una ragazza che non gli staccava gli occhi di dosso. Perfino quando andava in bagno, lei si appostava davanti alla porta come un buttafuori sapendo che Nina si infilava nella toilette degli uomini per evitare la fila di quella delle donne. Si erano incrociati una sola volta. Alexandre aveva placcato Nina contro il muro e l’aveva baciata, un bacio sensuale che l’aveva tramortita in piedi. Quando aveva riaperto gli occhi se n’era già andato.
Nina sentiva gli sguardi di Alexandre, si sorridevano, si cercavano, certe volte si sfioravano la mano o la spalla, ma la sanguisuga aveva i sensi all’erta. Quei due stavano insieme da quando avevano quattordici anni, erano giovani vecchi, sposati nell’anima, formavano una coppia da troppo tempo. «Non la ama più, ma non ha il coraggio di lasciarla» aveva sentito dire Nina da un’amica comune.
Adorava raccontarsi la storia dell’amore impossibile, pensare che se Alexandre fosse stato libero si sarebbero amati.
Alexandre aveva ventun anni, studiava legge a Digione e conviveva con quella specie di Super Attak della compagna. In fondo era quello il sogno di Nina: appartamento, divano rosso, cucina attrezzata e principe azzurro in dotazione. Continuava a ripetere che dopo il liceo sarebbe andata con Étienne e Adrien a Parigi per vivere davvero, ma dentro di sé era continuamente in bilico: un giorno sognava l’amore con tanto di figli e istruzioni per l’uso, il giorno dopo una libertà senza intralci in cui avrebbe amato, viaggiato, cantato e plasmato la propria vita da artista.
Che fosse nell’uno o nell’altro sogno, di una cosa era certa: nessuno l’avrebbe mai separata da Étienne e Adrien.