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22 dicembre 2017

 

Nina suona. Le apre Étienne. Imbarazzo. Lungo silenzio guardandosi negli occhi. Non si vedono da quattordici anni. Tutto si sgonfia come un soufflé tirato fuori dal forno. In fondo non è più così importante, non è niente di grave. Il fatto che si siano voluti bene non vuol dire che debbano continuare a volersene. Il tempo è passato. Dicono che il tempo si porti via tutto, e la prova è che lei non sta tremando.

Étienne è in ciabatte, probabilmente un paio del padre. Sapeva che lei sarebbe venuta, avrebbe potuto fare lo sforzo di cambiarsi. Nina è convinta che l’abbia fatto apposta, che abbia voluto mostrarsi nella sua luce peggiore.

Si è ingrossato, ha lineamenti da uomo maturo, un inizio di barba ispida, i capelli si sono scuriti, la sua bellezza è un po’ sfumata, si è rivelata un uccello di passo, mentre Nina aveva pensato che non sarebbe migrata mai, che fosse inscritta nei suoi geni. La bellezza diventa ciò che se ne fa. Resta solo uno sguardo da cui si vede che ha mollato tutto ciò che è vita, gioia, desideri. Nei suoi occhi non c’è più speranza, solo poca allegria e molta stanchezza. È un uomo che si annoia. Alla fine le fa un mezzo sorriso beffardo. Almeno quello gli è rimasto.

«Credevo che non saresti venuta».

Ha una voce più bassa e strascicata. Dov’è finita la sua superbia? Le mette una mano sulla spalla e le dà un bacio sulla guancia, uno solo. Ha bevuto, Nina lo sente dall’alito.

«L’avevo promesso a Valentin» risponde lei.

«Hai visto com’è carino mio figlio? Ti aspettavamo, entra, abbiamo preparato l’aperitivo».

Nina rivede il corridoio che conosce così bene, ha sempre lo stesso odore, un profumo artificiale alla rosa, rivede la scala che porta di sopra, i mobili sempre nello stesso posto, compreso il tavolino del telefono su cui prima c’erano gli elenchi che ormai non ci sono più, sostituiti da Internet, l’armadietto delle scarpe nel quale tante volte ha lasciato le sue prima di salire le scale a due gradini alla volta per andare in camera di Étienne, la cucina sulla sinistra, con la porta aperta, una cucina nuova come se ne vedono ovunque, con un’isola centrale, una credenza bianca, legni di mare dipinti in celeste. In corridoio c’è la stessa carta da parati. Tutte cose che da giovane le sembravano molto raffinate e che di colpo le appaiono obsolete, come se la casa fosse invecchiata male e con lei Étienne. Non ha un grande stile, in fondo.

Arriva Valentin in calzini, con un cellulare in mano.

«Ti ho chiesto l’amicizia su Facebook, hai visto? Ce l’hai Instagram e Snapchat?».

«No» risponde lei con un sorriso forzato.

In quella casa Valentin somiglia ancora di più al padre alla stessa età. A turbare Nina è la sua presenza, più che quella di Étienne. In quel momento sente che il suo Étienne è andato, che di lui resta solo una pelle morta, che tutte le cellule del suo corpo si sono rinnovate per lasciare il posto a quello sconosciuto che la sta portando in un’altra stanza. Troppa acqua è passata sotto i ponti. Cosa mangia adesso? A che ora? Che abitudini ha? Qual è il suo gruppo musicale preferito? E il suo film del cuore? Come si chiamano i suoi amici? Ha cambiato odore. Prima lei lo riconosceva subito, sapeva di zucchero.

Segue padre e figlio in salotto. Marie-Laure, sul divano, sembra commossa. Si alza, le va incontro, la abbraccia. È cambiata. La bella donna abbronzata ormai ha le rughe. “Quanti anni ha? Una sessantina” calcola Nina mentalmente.

«Nina! Che bello rivederti!».

Anche lei abbraccia Marie-Laure. Ha sempre lo stesso profumo, Fleur de rocaille.

«Scusami, Marie-Laure, scusami».

«E di cosa?».

«Di non essere mai venuta a trovarti».

«Sarei potuta venire io al rifugio... Anch’io ho molto da farmi perdonare. Quando te ne sei andata avrei dovuto capire... Ma non parliamone più, vieni a sederti».

Alle sue spalle Nina vede Marc che le sorride e va a dargli un bacio. Ha messo su un po’ di pancetta. Le sembra meno riservato di prima, più caloroso.

Quante volte Étienne si è lamentato che il padre non gli volesse bene? Chissà se alla fine sono riusciti a parlarsi, capirsi, trovare un punto d’incontro.

Si alza anche Louise. Ha sempre gli stessi splendidi occhi azzurri, svanita l’adolescenza si è fatta donna, una donna bella e luminosa. Dopo di lei tocca al fratello maggiore Paul-Émile, a sua moglie Pauline e ai loro figli Louis e Lola, un maschio e una femmina di otto e dieci anni. Poi entra una bionda sulla quarantina inoltrata, bassa e magra, ma con una stretta di mano energica.

«Sono Marie-Castille, la moglie di Étienne».

«Piacere».

Marie-Castille guarda Nina come una rivale, una minaccia, è una sensazione immediata. La sua stretta di mano e il suo modo di dire «la moglie di Étienne» significano “È mio”.

“Decisamente, appena Étienne tocca una donna scatta un senso di possesso paranoico” pensa Nina.

Nina porge a Marie-Laure la scatola di cioccolatini che le ha portato.

«Non dovevi».

«È il minimo».

Si è messa il vestito che ha comprato il giorno prima. Si sente in maschera come a Carnevale. È pure passata al volo al supermercato a comprare un fondotinta e una matita da labbra rosso carminio che ha mescolato al suo burro di cacao, tanto per darsi un po’ di colore, e si è fatta una riga scura sulle palpebre, alla base delle ciglia. Pensava di aver dimenticato il gesto, ma è il gesto che non ha dimenticato lei.

«Allora, ti occupi del rifugio della Protezione animali?».

«Sì».

«Non mi stupisce. Disegni ancora? No? Che peccato. Ho tenuto molti ritratti che hai fatto a Étienne e Louise, li ho fatti incorniciare, stanno in camera nostra».

Louise fa la chirurga a Lione, è single e non ha figli.

«Io faccio sempre il poliziotto» dice Étienne. «Ho conosciuto Marie-Castille sul lavoro, è la mia commissaria».

Marie-Laure e Marc sono in pensione. L’orecchio di Nina capta vagamente che Paul-Émile e Pauline sono ingegneri e lavorano a Ginevra, ma non ascolta più nessuno, sorride, dice dei sì e dei no.

Étienne non pare malato. Che Valentin le abbia mentito? No, non sembra tipo da dire bugie. L’adolescente scatta qualche foto col telefonino, si fa un selfie e dice a quelli che stanno dietro di lui di sorridere.

Nina sente lo sguardo di Étienne posarsi spesso su di lei, sente che la sta osservando. Che pensa? Probabilmente che anche lei è cambiata, è invecchiata, la pelle, le rughe, tutto il tempo a portare fuori cani e recuperare gatti, i pensieri, i canili che non si svuotano, gli open days per disintasare i box, i cani vecchi che muoiono lì, il dispiacere di non essere riuscita a collocarli, di non aver potuto offrire loro una cuccia al caldo prima del passaggio della grande mietitrice.

“Tutte cose che mi si vedono per forza sul viso e sulle mani” pensa Nina.

Appena si sofferma su Étienne lui guarda da un’altra parte. Sente di nuovo il fastidio che le suscitava un tempo, il suo affetto invadente, le loro schermaglie: «Fai questo, non fare quest’altro», «Piantala di metterti in mostra»...

Étienne si alza.

«Dove vai, caro?» domanda Marie-Castille.

Lui le risponde con voce impastata.

«In un luogo dove non puoi andare al posto mio».

Passa dalla cucina, apre un armadietto, beve tre sorsi del Grand Marnier che la madre usa per il flambé delle crêpes, un modo come un altro di anestetizzare il dolore. Ha la nausea. Sale al piano di sopra, si chiude in bagno, si abbassa i pantaloni, si siede sul gabinetto. Gli gira la testa.

Gli torna in mente un ricordo.

Era sulla spiaggia di Saint-Raphaël, stava amoreggiando con una ragazza che gli piaceva molto. Come si chiamava? Ah sì, Camille. Gli altri l’avevano soprannominata Camomille. «Ma fidati, vecchio mio, non è proprio il tipo di ragazza che ti fa addormentare». Lui aveva fatto un sorriso ebete senza capire, ignorando che la camomilla ha un effetto calmante. Le teneva i capelli lunghi con la mano sinistra per liberarle il viso mentre con la destra la accarezzava nelle zone più interessanti del corpo. A un certo punto un’ombra si era frapposta tra lui e il sole, una presenza ferma. Si era sentito chiamare per nome, si era voltato, aveva aperto un occhio, era la madre. Étienne avrebbe voluto ucciderla. La odiava. Che cavolo voleva? Come le era saltato in mente di intromettersi in quel momento di intimità? Marie-Laure era controluce.

«Che c’è?» le aveva chiesto, aggressivo.

«Dobbiamo tornare a casa, è successo un fatto grave».

Accanto a lei era spuntato il padre, ci mancava solo quello, padre e madre chini su di lui. Camille si era alzata. “Nooo, non te ne andare, era troppo bello”. Étienne era in costume da bagno, gli era venuto un po’ duro, non si era mai vergognato tanto. Ma che volevano? Tornare a casa? A casa dove?

«È morto Pierre Beau».

 

In salotto Marie-Laure sta versando a Nina una seconda coppa di champagne.

«Poi basta, devo guidare».

La sua voce è coperta dagli strilli di Louis e Lola che si rincorrono per una questione di pupazzetti di Game of Thrones rubati all’una o all’altro.

«Comunque resti a cena con noi» dice Marie-Laure.

Ricerca frenetica di una scusa.

«Non posso, devo andare a recuperare un cane dal veterinario prima delle otto».

«Quale cane?» si informa Valentin.

Nina cerca un’altra bugia, pensa a Romain, poi al vecchio Bob che la notte scorsa, quando si è rivestita a tutta velocità, dormicchiava sul divano.

«Si chiama Bob, è un piccolo griffone. Stamattina non l’hai visto, era già dal medico».

«Cos’ha?».

«Mal di cuore».

Ha risposto d’istinto. “Chi, in questo salotto, ha il cuore più sofferente?” si chiede. Il tempo divide quelli che si vogliono bene... In merito aveva scritto una canzone all’epoca di loro tre. Diceva:

 

Il tempo divide chi si ama

Anche quei due sposini di cui tenevi lo strascico

Del loro amore restano pallidi ricordi

Il tempo divide chi si ama...

 

Non ricorda più come continuava. Né le parole né la melodia.

Una mattina il suo ex marito aveva bruciato i suoi quaderni con i disegni e i testi delle canzoni. «Liberiamoci di questo vecchiume» aveva detto, e Nina aveva visto andare in fumo le sue parole e i suoi schizzi. Non aveva provato tristezza, l’aveva lasciato fare senza dire niente, stava accanto a lui come una bambola che avesse un sorriso permanente stampato sulle labbra.

Marie-Castille non pronuncia una sola frase senza infilarci dentro il nome di Étienne, come fosse una garanzia o una sfida da raccogliere: «Étienne pensa che...», «Étienne vorrebbe...», «A Étienne non piace che...», «Étienne ha detto che...», «Étienne dormiva quando...».

Étienne torna in quel momento e si rimette sul divano accanto alla moglie mentre lei sta chiedendo a Valentin se «papà sa che sei andato lì stamattina?».

«No, non l’ho detto a nessuno» risponde l’adolescente.

«Cosa dovrei sapere?» domanda Étienne.

«Che stamattina Valentin è andato da solo al rifugio per animali».

«Mamma, per piacere, ho quattordici anni! Non sono mica andato a spacciare crack all’uscita delle scuole, sono andato a trovare Nina».

«Spero soltanto che Nina non ti abbia messo in testa di adottare un animale» osserva Marie-Castille con un tono di falsa complicità.

La replica di Nina è immediata.

«Non lo faccio mai. Un animale va meritato».

Étienne ride.

«Non sei cambiata».

«Étienne mi ha raccontato che facevate musica, che avevate un gruppo» dice Marie-Castille per cambiare discorso.

«Sì» risponde Nina. «Diciamo di sì...».

Non ha nessuna voglia di parlarne.

«Adoro quando Étienne si mette al pianoforte» continua Marie-Castille.

“Brava” pensa Nina, “sei riuscita a piazzare Étienne nelle tue ultime dieci frasi”. Il quale Étienne le chiede a bruciapelo:

«Vieni a fumare una sigaretta con me?».

«Non fumo» risponde Nina.

«È il momento di cominciare, allora».

«Con l’asma che ha...» reagisce Marie-Laure.

Étienne si alza, Nina lo imita senza guardare Marie-Castille, che di sicuro non è d’accordo, e lo segue nella stanza che porta in giardino.

«Mettiti qualcosa, là fuori si gela» le dice.

«Sì, papà».

Lui sorride. Si ritrovano nel freddo pungente. Saltellano sul posto. Étienne le offre una sigaretta che lei rifiuta.

«Lo sai che non posso. Non ho mai potuto». Poi nota una cicatrice che gli attraversa l’arcata sopraccigliare. «Hai una cicatrice sopra l’occhio».

«Ferita di guerra...» sorride Étienne. «Se ti dicessi chi me l’ha fatta non ci crederesti...».

«Qualcuno che conosco?».

Lui elude la domanda e le chiede:

«Sei felice?».

«Più tranquilla che felice. Sto in pace. E tu sei felice?».

«Come te con la sigaretta: lo sai che non posso, non ho mai potuto».

«Sei malato?».

Étienne la guarda negli occhi. Nina è diretta come sempre. Sembra incollerito, poi abbattuto, come se si arrendesse.

«Chi te l’ha detto?».

«Valentin».

Étienne sembra rintronato. Tra i due scende il silenzio. C’è solo il loro respiro e le nuvolette di fumo nel freddo. Ogni volta che fa un tiro sembra che la bocca gli prenda fuoco.

«Non mi va di parlarne» dice poi.

«Che hai?» insiste Nina.

«Non mi va».

«Perché?».

«Non mi va e basta».

Ha l’espressione testarda dei giorni neri, come quando da bambino o da adolescente gli veniva rifiutato qualcosa. Si invecchia, si cambia pelle, ma certi automatismi non si perdono. Solo i capelli alla fine si perdono.

«Tua moglie lo sa?».

«No... Pensavo che neanche Valentin lo sapesse... Deve aver rovistato nelle mie cose. Torniamo dentro? Fa un freddo cane».

Nina non ha il tempo di rispondergli. Étienne ha già aperto la porta. Dall’interno arriva una folata di calore, l’odore degli stuzzichini, le voci, le risate.

«Vado» dice rivolta ai presenti.

«Di già? Ma sei appena arrivata» fa Marie-Laure, dispiaciuta.

Tutti si alzano per salutarla.

«Ci ha fatto piacere rivederti».

Louise le stringe entrambe le mani.

«Vengo a prendermi un caffè da te prima di tornare a Lione» dice.

Nina sa che non lo farà.

«Con chi passi le feste?» le chiede Marie-Laure.

«Con i colleghi e gli amici del rifugio. Lo facciamo tutti gli anni. Ci invitiamo a turno».

«Tornerai a trovarci?» domanda Valentin.

«Come no... E tu passa quando vuoi, sono là tutti i giorni».

«Okay».

«Verrò anch’io» dice Marie-Laure. «Stavolta vengo davvero».

Valentin fa l’occhiolino a Nina.

«Ti accompagno» borbotta Étienne.

Escono insieme. Si fermano davanti alla macchina di Nina.

«Bella carriola» non può fare a meno di scherzare Étienne di fronte al furgone Citroën.

«...».

«Perché tanta fretta di andartene? Non hai nessun cane da recuperare dal veterinario».

«No, infatti».

«Perché sei venuta?».

«Per Valentin».

«...».

«Ti assomiglia».

«Io somigliavo a lui, tanto tempo fa. Tu invece sei ancora bella».

«Piantala».

«Avrei dovuto scoparti, in fondo. Come le altre».

«Piantala, per piacere!».

«Scusa, scusa, ho sbevazzato. Faccio pena».

Nina vorrebbe parlare di Clotilde, ma non lo fa, non è il momento né il luogo adatto. Gli accarezza la guancia, vecchio tragitto che la mano fa sulla sua faccia, gesti dalla memoria automatica, come i tratti di matita sulle palpebre. Étienne le sorride con aria triste, dà due colpetti sul tetto del furgone e fa dietrofront.

«Contento di averti rivisto» dice.

Nina lo guarda sparire dentro casa. La luce della soglia si spegne.

Riparte con le mani che, come una bomba a scoppio ritardato, cominciano a tremarle per l’emozione. Punta verso se stessa lo specchietto retrovisore e dà un’occhiata al proprio riflesso. Il trucco è quasi sparito, assorbito da una pelle che non è più abituata al superfluo.

Le si offrono due possibilità: tornare a casa e passare l’aspirapolvere mentre riscalda qualcosa nel microonde o andare da Romain Grimaldi a vedere come sta il vecchio Bob.

A meno che... Sono ancora le sette, non è troppo tardi per andare a vedere come sta il gattino Nicola.