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14 agosto 1994

 

È una cosa che rientra nel campo dell’impossibile. Il cervello non capta più, non trasmette più le informazioni giuste, si mantiene ad anni luce di distanza, nel tempo che impiega a capire dove vanno a parare le parole tutto è già morto da secoli.

È Marie-Laure a farsi carico dell’annuncio.

«Siediti, cara, ho una brutta notizia da darti. Tuo nonno ha avuto un incidente, è stato investito, non si è potuto fare niente per salvarlo».

Chi è “si”? Si, si, si, si. “Si” è un pronome impersonale atono di terza persona singolare o plurale, ma chi è?

«Non ha sofferto» aggiunge Marc.

Nina non riesce più a muoversi. Tutto si blocca. Ha già visto una scena del genere in un cartone animato, Candy Candy. Sì, era Candy Candy.

 

Candy è poesia,

Candy Candy è larmonia,

Candy è la magia,

Candy Candy è simpatia

È zucchero filato, è curiosità,

è un mondo di pensieri e libertà

È un fiore delicato, è felicità,

che a spasso col suo gatto se ne va

Candy, oh Candy, nella vita sola non sei,

anche nella neve più bianca, più alta che mai...

 

Sì, ricorda un episodio in cui la ragazzina, colpita da una maledizione, si trasforma in statua di pietra.

Di fronte a lei, abbronzati, appena tornati dalle vacanze, tutti aspettano una sua reazione. Étienne, Louise, Paul-Émile, Marc, Marie-Laure. Ci sono anche Adrien e Joséphine. Nina non riconosce più nessuno.

È una statua di pietra. Con martello e scalpello, come Isabelle Adjani nel film Camille Claudel, Marie-Laure scolpisce parole su di lei.

«Il funerale sarà celebrato mercoledì 17 nella chiesa di La Comelle. Pierre sarà sepolto accanto a tua nonna Odile. Ho già sbrigato tutte le pratiche, ho scelto i fiori e la bara, tu sei troppo giovane per pensare a queste cose. È stato un incidente sul lavoro. Resterai da noi per qualche giorno, poi deciderai. Joséphine provvederà al cane e ai gatti».

Nina apre la bocca per sentire la propria voce, farle pronunciare una parola: se la mormora, la maledizione si spezzerà.

«Nonno?».

Nessuno si muove. Solo Adrien allunga la mano per toccarle il braccio, ma lei si ritrae perché niente è vero, perché niente di quello che sta vivendo può essere vero.

Marie-Laure riprende lo scalpello per inciderle addosso un’altra frase.

«Vuoi andare a vederlo nella camera mortuaria?».

E Nina lo chiama di nuovo. Ora basta, bisogna che venga a prenderla.

«Nonno!» implora.

Pierre Beau non entrerà mai in quella casa senza annunciarsi. Ora lo sentirà suonare il campanello come fa con le persone che non hanno una cassetta per le lettere e a cui deve consegnare qualcosa di importante, un pacco, una raccomandata, un vaglia. «Maledetti campanelli» impreca talvolta.

Quand’era piccola un giorno l’ha fatta sedere sul manubrio e l’ha portata a fare il giro con sé. Era fiero di farle vedere le vie che percorreva con il vigore nelle gambe, di dire a tutti: «È mia nipote!».

Forse il campanello si è rotto. Nina si alza, le gambe la sorreggono a stento, va verso l’ingresso, apre un po’ la porta. Non c’è nessuno. Deve farlo reagire, deve dirgli qualcos’altro, parole che lo facciano uscire dai gangheri.

«Nonno, sto continuando a frugare nella posta» mormora.

Poi attende. Chiude gli occhi in una preghiera silenziosa. Si aspetta di vederlo spuntare per darle uno schiaffo. Non succede niente.