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17 agosto 1994

 

Molti sono ancora in vacanza, eppure la chiesa di La Comelle rigurgita di persone fin sul sagrato. Un’intera famiglia per ogni cassetta delle lettere fa un bel po’ di gente. Tutti gli abitanti del quartiere basso sono venuti a dire addio al loro postino e la chiesa non li contiene, come quando la posta trabocca a forza di non essere ritirata.

Si asciugano gli occhi con fazzoletti di stoffa. Sulle guance scorrono gli anni di lacrime che versavano a Pierre Beau in un bicchiere pyrex.

Nina è arrivata con Adrien ed Étienne. Uno per lato, le danno la mano. Étienne a sinistra, Adrien a destra. Neanche il dolore spezza le abitudini. Hanno seguito la bara fino all’altare. Dietro di loro la famiglia Beaulieu, la famiglia Damamme e Joséphine, come il velo troppo lungo di una sposa al contrario di cui si celebra la disunione, la disintegrazione.

Nina è a pezzi. Orfana. Già barcollante fin dall’infanzia, zoppa, priva di una gamba, ormai è finita, messa al tappeto. Il dolore verrà dopo, per il momento è attonita e ha paura, una paura spaventosa.

Pierre Beau non conosceva la famiglia Damamme, ma i genitori di Emmanuel sono presenti per amicizia con i Beaulieu e per solidarietà con Nina, la “piccola impiegata dell’estate”. E anche perché a investire il postino è stato uno dei loro autisti.

Nina conosce Damamme padre, lo vede ogni giorno in ufficio, così come vede gli altri che cambiano comportamento e tono di voce appena lui fa una domanda o attraversa un corridoio. Ha una bella moglie bionda e con la pelle chiara, elegantissima in abito da lutto. Sembra un po’ Catherine Deneuve. Emmanuel somiglia alla madre, ha la stessa grazia, anche gli stessi occhi.

A Emmanuel sarebbe piaciuto stare accanto a Nina, ma è appena atterrato nella sua vita, mentre gli altri due sono lì da un pezzo, forse da troppo tempo. Non ci si separa dagli amici d’infanzia. Vederla in quella chiesa gli fa venire voglia di sposarla. Strane cose gli passano per la testa quel mattino. Vorrebbe pulire a colpi di spugna il nero di cui è ricoperta, strofinarla, asciugarle il dolore, vorrebbe infilarle un abito bianco e farle dire sì per la vita, sottrarre la bacchetta magica alla fata di Cenerentola e non ridargliela più. È innamorato.

Nina non ascolta le parole del sacerdote, stringe le mani di Adrien ed Étienne, vorrebbe non lasciarle mai più.

Si siede, si alza, si siede e si alza secondo le indicazioni dell’uomo di Dio. Lancia occhiate disperate al Cristo bianco appeso di lato, un po’ in disparte, al di sopra di alcune candele in fin di vita accese il giorno prima. A che pensa l’uomo in croce? A quanti funerali ha assistito da quando l’hanno messo lì? Quale padre può far subire una cosa del genere al figlio? E la Madonna, lo sapeva? Era complice?

Perché quella banda di stronzi divini l’ha separata dal nonno? Non bastava averle tolto i genitori? Ne volevano ancora? Non potevano lasciargli ancora qualche anno, dargli almeno il tempo di andare a sentirla cantare a Parigi? Dare a lei il tempo di portarlo in vacanza al mare?

Ogni tanto guarda la bara in cui Pierre Beau dormirà per l’eternità. Non ne aveva mai vista una. A diciott’anni non si sono ancora visti i morti, a meno di non vivere in un paese in guerra.

Su un cavalletto c’è una fotografia di Pierre ritrovata dai colleghi, era rarissimo che lui si mettesse in posa.

Quella mattina Nina pensa che né lei né Étienne né Adrien hanno fatto catechismo. Pierre se ne infischiava di Dio. «Prima ero comunista» le aveva detto un giorno. Nina non aveva mai ben capito cosa volesse dire essere comunista, a parte proteggere i poveri, mettere i soldi in comune e sputare sulla Chiesa. In seguito, a scuola, aveva imparato che il comunismo poteva assumere la faccia di Stalin o Mao Tse Tung e che era un’ideologia da incubo come un’altra, una potenza utopistica e irrealizzabile come bere il mare.

Anche se non ha fatto catechismo era già stata in chiesa per accendere una candela e fare una preghiera, implorare il cielo che un ragazzo si innamorasse di lei. Dio, fa’ che Alexandre si metta con me. Anche a Adrien capitava di pregare. Nina gli aveva domandato cosa chiedesse, neanche si trattasse di fare un’ordinazione per telefono a Postal Market, e come al solito Adrien aveva risposto: «Un giorno te lo dirò».

Étienne pensa che pregare sia un po’ ricattare il cielo. Entra nelle chiese come un turista che guardi le pareti e le statue con aria poco convinta. Mai si inginocchierebbe a parlare nel vuoto. Trova che la chiesa non sia abbastanza moderna, che appartenga ai secoli del passato, che ormai ci sono il videotel, i computer e i videogiochi. Pensa che se esiste una divinità essa stia nel progresso, nell’avanzamento, nelle grandi scoperte come il missile Ariane e le operazioni a cuore aperto.

Marie-Laure ha chiesto a Nina di scegliere una canzone per il nonno, una canzone che avrebbero ascoltato dopo la messa in omaggio a ciò che era. Pierre Beau non ascoltava mai musica, solo RTL e, di nascosto, Joe Dassin, i trentatré giri della moglie nel giorno dell’anniversario della sua morte. Una volta Nina l’aveva sorpreso chino sul giradischi che per il resto dell’anno stava sul cassettone di camera sua a coprirsi di polvere.

Così lei, Étienne e Adrien hanno ascoltato tutto il repertorio del cantante sgranando gli occhi da quanto era superato, lontanissimo dalla musica che loro amano e venerano. Un altro mondo, soprattutto le orchestrazioni. Alla fine Nina ha scelto Et si tu nexistais pas per la frase “Come un pittore che sotto le sue dita veda nascere i colori del giorno”. Non poteva certo scegliere Les Champs-Élysées, il nonno non aveva mai messo piede a Parigi, ci sarebbe andato per la prima volta a settembre per sistemare Nina al CROUS. Entrambi pregustavano già l’idea di salire all’ultimo piano della torre Eiffel.

Appena sente un fremito, un movimento nella folla, Nina interroga Marie-Laure con gli occhi per seguire le sue indicazioni.

Dopo la canzone sei uomini sollevano la bara e, come all’arrivo, Nina, Adrien ed Étienne la seguono fino all’uscita, dove viene messa nel carro funebre.

Il sole già picchia. Nina pensa che per la sepoltura del nonno il clima avrebbe potuto fare uno sforzo, avere un po’ di decenza e piangere come gli altri, mettersi in sintonia con la tristezza degli uomini.

La gente va a salutarla, quantità di persone che non conosce le depositano sulla guancia lacrime miste a moccio. Nina ringrazia. Non si sente più le gambe. Anche durante le condoglianze che tutti le fanno non lascia mai le mani di Étienne e Adrien.

Quando viene il suo turno Emmanuel le prende la nuca e le dà un bacio sulle labbra, un bacio possessivo, una cosa che la disgusta e allo stesso tempo la rasserena. È bellissimo, la guarda con occhi pieni di compartecipazione, la bacia davanti a tutti, davanti al padre e alla madre. Suggella un patto fra loro. Mentre la bacia Nina sente le dita nervose di Adrien ed Étienne stringerle più forte le mani.

Poi c’è da andare al cimitero in macchina, seguire il carro funebre traboccante di fiori.

Nina è nell’Espace dei Beaulieu, seduta dietro fra Étienne e Adrien. Dietro di loro, Louise e Joséphine. Quasi come se stessero andando a Saint-Raphaël.

Marie-Laure le dà una bottiglietta d’acqua. «Bevi un po’, cara. Al cimitero farà caldo. E sarà dura».

Per fortuna c’è Marie-Laure. Da quando è tornata da Marsiglia, Nina dorme in camera di Étienne. Pensa a tutto Marie-Laure, anche a lavarle la biancheria. Dedica le sue giornate a organizzare il funerale, compilare documenti, occuparsi dell’assicurazione e della banca. Gestisce il futuro di Nina, almeno quel che ne resta.

Si fermano davanti al cancello. Fa un tale caldo che si distinguono appena gli uni dagli altri, il riverbero della luce sulle lapidi brucia le retine, quelli che camminano fino alla tomba dei Beau sembrano ombre. Nina conosce il punto esatto, ha spesso accompagnato il nonno a portare un fiore a Odile. Nonna Odile: per lei una sconosciuta, per lui il grande amore di cui non parlava mai. Nello stesso luogo riposano i genitori di Pierre Beau, uno zio, una prozia acquisita e un fratellino morto a quattro anni, prima che Pierre nascesse.

Il prete benedice il feretro, i fiori stanno già cominciando ad appassire, sotto quel sole cocente i gambi non si reggeranno dritti per più di un’ora.

“Che idea del cavolo morire ad agosto, nonno”.

Con l’aiuto delle corde la bara viene calata nella fossa a raggiungere gli altri. “Un giorno anch’io finirò là dentro” pensa Nina.

Il prete lancia una manciata di terra nella buca, poi tocca a Nina, poi agli altri. Alla fine i marmisti richiuderanno la tomba.

Ci sono tre targhe: A nonno, Al nostro amico, Al nostro caro collega.

Tra la folla che suda e comincia a disperdersi nel caldo insostenibile Nina non vede la donna che non le stacca gli occhi di dosso da quando è arrivata al cimitero per mano a Étienne e Adrien.

Nessuno l’ha notata, si tiene in disparte come se fosse venuta a raccogliersi sulla tomba di qualcun altro, mentre è venuta proprio ad assistere all’inumazione di Pierre Beau.