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17 agosto 1994

 

Le nove di sera. Adrien è steso sul letto in camera di Nina, la ascolta respirare. Di quando in quando lei si addormenta per qualche minuto, poi si sveglia di soprassalto e parla, fa domande che vorrebbero risposte: «Perché sta succedendo proprio a me?», «E ora che faccio?», «Chi ha svuotato la casa?», «Credi che nonno ci veda da dove si trova?», «Secondo te c’è una vita dopo la morte?», «Non si sarà mica suicidato perché andiamo a Parigi?», «Perché l’autista del camion non l’ha visto?», «Quale sarà stato il suo ultimo pensiero?», «Come farà mia madre a sapere che suo padre è morto?», «Secondo te verrà a prendermi?».

Domande che non cessano di ronzarle in testa.

«Secondo te sono stata punita perché leggevo la posta degli altri?».

«Non lo facevi più».

«Sì, avevo ricominciato...».

Adrien le accarezza i capelli, la rassicura, le ripete che lui c’è e ci sarà sempre.

«E se muori anche tu?» mormora lei.

«Non muoio, tranquilla».

«Che ne sai?».

«Lo so».

Paola russa rumorosamente senza sapere che presto andrà a vivere altrove.

La casa non è di proprietà, Pierre Beau ce l’aveva in affitto dal comune, devono renderla. La tragedia va troppo in fretta, troppo lontano. Il dolore è profondo e sotterraneo, un rullo compressore.

Sebbene Marie-Laure e Joséphine le abbiano assicurato che non si ritroverà mai sola, che per lei ci sarà sempre un posto nelle loro case, resta giustappunto un posto, un divano letto o un letto in camera di qualcun altro. Adrien le ricorda che tra poche settimane saranno tutti e tre a Parigi, che la vita continuerà, ma Nina si sente fragile come un bicchiere in cristallo di Boemia posato sui binari di un treno lanciato a centocinquanta all’ora. Pensa che la disgrazia sia ineluttabile.

Marc e Marie-Laure Beaulieu sono andati alla gendarmeria a segnalare il furto in casa di Pierre Beau. I vicini non hanno visto niente. In agosto la maggior parte della gente è ancora in vacanza, cosa di cui i ladri devono aver approfittato. Non ci sono tracce di effrazione, ma quando i gendarmi hanno saputo che la chiave era sotto un vaso da fiori accanto all’ingresso hanno alzato gli occhi al cielo. «E il cane? Troppo buono per mordere?».

Adrien sta cominciando a scivolare nel sonno. Sono sfiniti. Da quando sono tornati da Marsiglia è stata tutta una successione di notti in bianco e giornate tristi. “Quante volte Adrien ed Étienne hanno dormito qui?” si chiede Nina. Pacchetti sventrati di Kit Kat o caramelle sul pavimento, fruscio del sacco a pelo ogni volta che uno di loro si muoveva nel sonno. Quante volte, scoprendo le condizioni della stanza, Pierre Beau le aveva gridato: «Nina! Metti a posto camera tua! E falle prendere aria, puzza di piedi!».

Il nonno non la sgriderà più. Nina si domanda se là dove si trova ci siano cassette delle lettere, cartelle esattoriali da distribuire. Si domanda anche se abbia ritrovato Odile, se stiano facendo il giro del paradiso insieme.

Adrien dorme con la mano in quella di Nina. La finestra è spalancata. La temperatura sta cominciando a calare. Da qualche parte una famiglia che non è stata ancora colpita da un lutto si dà da fare intorno a un barbecue. Nina sente le risate, il tintinnio dei bicchieri, bambini che giocano in una piscinetta di plastica. Il suo quartiere non è come casa di Emmanuel, nella sua via le piscine sono gonfiabili.

Poco prima il telefono, che miracolosamente non è stato rubato, ha squillato tre volte a distanza di un quarto d’ora. È sicura che sia lui. Emmanuel la sta cercando.

Étienne dev’essere con Clotilde. Non l’ha ancora vista da quando è tornato da Saint-Raphaël, ha tirato fuori la scusa dei preparativi del funerale per evitarla, ma stasera non poteva sottrarsi. Vuole chiudere una volta per tutte. Clotilde deve capire che tra poco lui andrà a Parigi e che desidera soltanto una cosa: avere diciott’anni senza legami.

Nina ha sete.

Nel tardo pomeriggio Joséphine è passata a lasciare una confezione d’acqua e qualcosa da mangiare in cucina. Ha visto stupefatta la casa svaligiata. «Stamattina era ancora tutto in ordine».

Nina ha quasi paura di scendere da sola nella casa vuota. A infestare i luoghi non è il fantasma del nonno, ma quello dei ladri. Accende la luce del corridoio e va in cucina. In casa aleggia un profumo sconosciuto. Ha un brivido, prende una bottiglia e si affretta a risalire in camera, dove si addormenta quasi subito. Si sveglia pochi minuti dopo in preda a un incubo, contenta di riaprire gli occhi. Le sembra di sentire un rumore in giardino, forse i gatti. Si affaccia alla finestra, la strada è deserta, c’è solo una vecchia camionetta blu ferma un po’ più avanti. Le farfalle notturne danzano alla luce dei lampioni.

Non ha più sonno. Si alza, infila le pantofole e va alla porta d’ingresso. Due gatti vengono a elemosinare qualche carezza. Apre la porta, i felini la seguono. Si siede su uno scalino, osserva il cielo, si sta lentamente facendo notte. Non riesce a visualizzare il proprio futuro. Prima era bello, sconosciuto, pieno di speranze, stasera le sembra qualcosa in cui sia impossibile credere. Le sue energie sono anestetizzate, i muscoli della sua vita atrofizzati.

Alle sue spalle si apre una porta, i due gatti scappano.

Ma non è la porta d’ingresso, è quella della cantina. Nina è paralizzata, le sembra di essere in un film dell’orrore, come quelli che guarda con Étienne e Adrien rigorosamente al buio.

Non ci sono più barriere tra lei e lo spavento: davanti ai suoi occhi l’ombra di un uomo altissimo sta trasportando una grossa scatola di cartone piena di vecchiumi che lei e il nonno rimettevano in vendita ogni anno in occasione del mercatino di maggio. Con quello che incassavano si pagavano una frittata e un po’ di formaggio fresco artigianale al pranzo campestre organizzato dal comune. Riconosce una lampada da comodino appartenuta a lei e altre cianfrusaglie che spuntano dalla scatola, tra cui le sue Barbie. Vedendola, l’uomo si ferma un attimo, poi continua per la sua strada borbottando qualcosa di incomprensibile, le passa davanti e sparisce in strada. Nina non osa muoversi né chiamare Adrien in suo aiuto, è paralizzata, ha il cervello scollegato come quando Marie-Laure le ha detto che era morto il nonno, è incapace del minimo gesto. Alla sorpresa e allo spavento si aggiunge la paura: qualcun altro sta salendo le scale della cantina. Quanti sono là sotto, in quella stanzetta dove sono ammassate bottiglie, attrezzi da giardino, vasi sbreccati e barattoli di marmellata? Appare un’altra ombra, stavolta di una donna. È magrissima, con i capelli di media lunghezza. Essendo controluce, Nina non la vede in faccia. Sta portando qualcosa di grande e pesante, più grosso di lei, un oggetto che Nina riconosce subito: la macchina da cucire Singer della nonna. Subito prima di spegnere la luce assestando una spallata al grosso interruttore, la donna vede la figura impietrita di Nina che la guarda dallo scalino su cui è seduta e si ferma. Il chiarore smorto del crepuscolo le fa sembrare due fantasmi.

Nina ha la bocca secca, non riesce a dire una parola. Per chiudere la porta la sconosciuta dà un piccolo calcio nel punto giusto per far scattare la serratura. Sembra che conosca i gesti da fare. Prima l’interruttore e poi la porta, come se avesse familiarità con i luoghi, come se lei fosse a casa sua e Nina in visita.

«Ciao. Niente paura, sono io».

«...».

«Sono venuta a prendere la mia roba».

«...».

Ha una voce tremula e incerta.

«Vado a mollare questa, che pesa, e torno».

Come prima aveva fatto l’uomo, le passa davanti e sparisce in strada. Ricompare pochi secondi dopo, da sola e senza niente in mano. Probabilmente l’uomo la aspetta fuori.

«Non sapevo che ci fossi. Sei proprio carina. Ti ho visto al funerale del vecchio».

«...».

«Ti è cascata la lingua?».

«...».

«Sai, non è facile... La vita non è facile per nessuno».

«...».

«Mi dirai che non ci conosciamo. Non puoi ricordarti di me, eri troppo piccola».

Si siede su uno scalino più in basso, la guarda e si accende una Gitanes. La fiamma dell’accendino le illumina per un attimo il viso. Indossa blue jeans molto stretti e un top rosso che le lascia scoperte le spalle ossute. Quella donna è un sacco d’ossa. La pelle è un sottile strato bianco da cui traspaiono vene azzurrognole sugli avambracci e sul collo.

«Non mi trattengo. Abbiamo parecchia strada da fare...».

Tira nervosamente dalla sigaretta. Ha le unghie mangiate a sangue.

«Non volevo incontrare nessuno, meno che mai i vicini...».

Spegne la sigaretta sul tacco della scarpa.

«Hai degli amici, qui. Li ho visti al cimitero, quelli che ti tenevano per mano...».

Si alza sotto lo sguardo interdetto di Nina. Sembra che stia per dire qualcosa, invece le dà un bacio sulla guancia e si allontana con passo veloce. Pochi secondi dopo la camionetta fa manovra e sparisce nella notte. Nina vede il profilo sul sedile del passeggero, Marion apre il finestrino per far entrare l’aria, ma non guarda la figlia, non le fa nemmeno un cenno di saluto.

Per qualche minuto Nina resta impietrita.

Era al cimitero stamattina... Probabilmente sono entrati in chiesa durante la messa, hanno controllato quel che dovevano controllare, poi l’uomo ha svuotato la casa mentre lei assisteva da lontano alla sepoltura.

Alla fine si alza barcollando come se avesse bevuto troppo e vomita bile sulle ortensie del nonno.

Si trascina come una vecchia fino al telefono e preme il tasto “richiama”. Emmanuel Damamme risponde subito, neanche stesse dormendo con l’apparecchio in mano.

«Vieni a prendermi» lo supplica.

«Dove sei?».

«A casa di nonno».

«Arrivo».

Nina sale in camera e guarda Adrien addormentato. Un bambino. Improvvisamente le sembra giovanissimo. Lei è passata di colpo a una vita adulta, ha bisogno di qualcuno più vecchio, vuole dimenticare la giovinezza, l’infanzia, il passato, ed è ancora troppo presto per il futuro. Lei e Adrien sono cresciuti zoppi, lei senza genitori, Adrien senza padre.

Dentro di sé, in un angolo remoto e inconfessato, Nina ha sempre sperato che la madre l’avesse abbandonata per delle buone ragioni, troppo giovane, senza esperienza, sola, impaurita, persa, e che un giorno l’avrebbe implorata di perdonarla.

Cosa è successo tra la ragazza sorridente sulla foto di classe in mezzo alle compagne e quell’essere dal comportamento ignobile che ha appena visto? La realtà è decisamente troppo difficile da accettare. Nina non avrebbe mai voluto sapere. Non in quelle circostanze. Una donna che va a derubare il padre quando il suo corpo è ancora caldo! Che ne farà di quelle povere cose? Le venderà per racimolare pochi spiccioli? Tra l’altro, come ha saputo che era morto? E come può fregarsene a tal punto della figlia, parlarci come se fosse una vaga conoscenza, un’ex vicina di pianerottolo? Chi è l’uomo che sta con lei? Il marito? L’amante? Il protettore? Il pusher?

Ora rimpiange di non aver aperto bocca, di non aver reagito. Avrebbe dovuto bucare le ruote della camionetta, chiamare la polizia, denunciarli, picchiarli, insultarli, urlare, invece è rimasta inerte come un baccalà. Avrebbe voluto farle la domanda che la ossessiona da sempre, «Chi è mio padre?», ma no, ha lasciato che Marion volasse via come un uccello del malaugurio.

Riconosce il suono particolare del motore dell’Alpine di Emmanuel, la macchina che si ferma davanti a casa.

Prima di andarsene dà un’ultima occhiata a Adrien e Paola.

Sono solo le dieci.