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17 agosto 1994, ore 22.00

 

La tomba della famiglia Beau si trova lungo il muro di sinistra del cimitero comunale, quello fiancheggiato dalla strada nazionale.

Pierre Beau riposa accanto alla moglie e ad antenati che hanno il suo stesso cognome, ma che non ha mai conosciuto. L’hanno seppellito poche ore fa. Una sera stellata, il rumore di un motore, e una debole luce proveniente dalla strada illumina brevemente il suo nome inciso nel marmo: sono i fari di una camionetta blu in cui tutti i suoi poveri averi, ammassati nel retro l’uno sull’altro, stanno viaggiando verso la Bretagna, direzione Finistère sud.

Così va la vita. Così vanno le cose. «Le piccine ballerine fan così con le manine» cantava Odile alla figlia agitando le sue belle mani.

Marion è sul sedile del passeggero accanto ad Arthus, un ex marinaio diventato rigattiere e ferrivecchi. Da Bénodet a Quimper tutti lo chiamano l’Arrangino, perché sa sempre dove trovare il pezzo o l’oggetto che si sta cercando, dal cerchione in lega per la Renault 5 GTL al salotto da giardino inglese passando per una stecca di hashish o un album originale dei Beatles del 1966. Basta una telefonata, una richiesta, Arthus risponde «Vedo quello che posso fare» e alla fine trova. Marion è l’unica che lo chiama “cuore mio”. Lascia agli altri l’Arrangino, visto che con lei ci sa fare decisamente meno che con le anticaglie.

 

*

 

Nello stesso istante anche la nipote di Pierre Beau è seduta sul sedile del passeggero di una macchina. Sta andando verso la proprietà Damamme, un po’ fuori mano, sul limitare di una foresta demaniale. Nina non lo sa, ma quando i suoi nonni erano giovani sposi amavano girare in bicicletta dalle parti di quello che chiamavano il Castello. Pierre e Odile passavano davanti all’imponente cancello tutto l’anno e d’inverno, quando gli alberi erano spogli, vedevano da lontano le grandi finestre simili a quadri di luce e contavano le stanze illuminate da bei lampadari osservando le ombre all’interno. Mai avrebbero potuto immaginare che un giorno la nipote avrebbe fatto parte di quelle sagome.

Su ogni rettilineo lo sguardo di Emmanuel si stacca dalla strada per guardare il profilo di Nina. Lei ha un’espressione tesa. Man mano che si avvicinano alla casa i lampioni si fanno sempre più rari, il suo viso si immerge nell’oscurità fino a sparire completamente. Da quando è passato a prenderla, Nina non ha detto niente.

Si era assopito quando è suonato il telefono. Aspettava la chiamata. Quel «Vieni a prendermi» è un dono del cielo, e la morte del nonno una benedizione. Ironia della sorte, a investirlo è stato un camion della ditta di famiglia. Emmanuel è cattolico, ha fatto la comunione e la cresima, e si chiede se si tratti di un segno, di una spintarella divina.

Dopo il funerale ha avuto paura di perdere Nina. Ha pensato che non l’avrebbe più rivista, perché ci sono quei due ragazzini che non la mollano un attimo, quelli con cui dovrebbe andare a vivere a Parigi.

Per il momento sta zitta, sembra inebetita, fissa la strada con occhi vuoti, ma tra poco, quando si abbracceranno e lei si rannicchierà contro di lui, Nina parlerà. Avrà abbastanza fiducia da raccontare quanto può far soffrire il dolore di una morte improvvisa, una cosa che dilania, coltellate senza anestesia, e come essa ingabbi tutto, inclusi i progetti futuri. Parlerà della sua infanzia, della madre, dell’uomo che ha visto salire su dalla cantina nottetempo con una scatola piena delle sue bambole e dei pochi oggetti che lei e il nonno possedevano, parlerà di quella donna, della sua sigaretta, del suo odore, la sua pelle, i suoi jeans, la sua voce, la camionetta blu, le cose scomparse in casa, addirittura il sale e il vasetto di senape già cominciato. Marion e il tizio alto – prima, tutto ha pensato meno che potesse essere suo padre – non hanno lasciato niente, come cani che rosicchino una carcassa fino all’osso. Solo camera sua è stata risparmiata. Per avere la coscienza a posto? Quelli che depredano un morto hanno una coscienza?

Nina parlerà più tardi, sul cuscino, ed Emmanuel saprà trovare le risposte, le parole giuste, la tranquillizzerà, la amerà.

Nel frattempo la fa bere. Un bicchiere, poi un altro. Whisky puro, senza soda né ghiaccio. Nina è a digiuno. Li svuota con la velocità di un’alcolizzata di lungo corso. Quasi subito le gira la testa. Tra un sorso e l’altro mette un po’ di musica, sceglie un pezzo dei Cure, Boys Dont Cry. Prova un senso di sollievo a essere in quella casa estranea e già così familiare. Di colpo la musica e la voce di Robert Smith la fanno pensare a Étienne e Adrien. Le mancano terribilmente. Cerca le loro mani, chiude gli occhi per dimenticarli come se si sbattesse due porte alle spalle. Si mette a ballare in salotto sotto gli occhi di Emmanuel, che la desidera ardentemente. Ogni volta che è vicino a lei deve reprimere violente pulsioni. È come se volesse coccolarla e al tempo stesso martoriarla. Baciarla e schiacciarla. Ha paura di ciò che prova, è come se Nina risvegliasse in lui un essere che non conosce, un sé oscuro acquattato in un angolo. Pensa che gli passerà, che è la troppa voglia di lei a fargli casino nei sentimenti. Forse è quel che si chiama “colpo di fulmine”. Che stronzata.

Piedi nudi e braccia aperte, Nina si muove a ritmo cantando Boys Dont Cry. Emmanuel si avvicina, fa appello a tutta la propria dolcezza, si incolla alla sua schiena, segue i suoi movimenti, ballano corpo a corpo, lei geme, lui la abbraccia e la porta in camera da letto, visto che così voleva, visto che gli ha detto: «Vieni a prendermi».

 

*

 

Adrien apre gli occhi. La radiosveglia indica le 22.04, Nina non è più nel letto, il suo posto è freddo. La chiama. La sua voce sveglia Paola che si alza a fatica e scende in cucina, diretta alla ciotola dell’acqua. Adrien la segue. La porta d’ingresso è semiaperta, chiama di nuovo Nina, torna di sopra e la cerca nelle stanze vuote. Quella casa spoglia è inquietante, sembra una scenografia da film dell’orrore. Una domanda lo tormenta: chi l’ha svuotata? Crede poco alla teoria dei ladri. Di colpo ha paura di incontrare il fantasma di Pierre Beau, rabbrividisce. E se fosse stato lui? Se non fosse davvero morto? Forse nella bara c’era qualcun altro. Dopotutto il giorno dell’incidente non l’ha visto in faccia, ha visto due gambe, il resto del corpo era coperto. Sciocchezze. Sarebbe troppo facile se i morti non morissero, zombi e misteri sono cose da cinema e da romanzi, non esistono nella vita vera. Nella vita vera suo padre è uno stronzo e Nina è rimasta sola.

Ma dov’è? Esce in giardino, si scalfisce le piante dei piedi sulla ghiaia, non c’è nessuno, a parte i tre gatti che gli si aggirano tra le gambe. Che sia andata a camminare? Si ferma a riflettere tra le ortensie e due alberi da frutto magrolini. Di colpo sente una presenza alle spalle vicinissima, come un’ombra minacciosa. Si volta urlando. Non l’ha riconosciuto subito. Crede che Étienne l’abbia spaventato apposta, adora fare quel genere di scherzi.

«Cretino!» gli dice con rabbia non simulata. «M’hai fatto venire un accidente!».

Di solito in circostanze analoghe Étienne si metterebbe a ridere trionfante, invece non dice niente, fissa Adrien con occhi da pazzo. Breve silenzio. Adrien ha paura di capire.

«Si tratta di Nina? È successo qualcosa a Nina?» domanda con voce atona.

«No».

Étienne entra in casa. Sembra abbattuto. Adrien lo segue, smarrito.

«Che hai?».

«...».

«Dov’è Nina?» insiste Adrien.

«Ma che ne so! Non doveva essere con te?».

«Era con me. Ma è sparita!».

Étienne alza le mani come se non gli importasse, un gesto che Adrien non saprebbe interpretare esattamente.

«È proprio da Nina...» dice poi, laconico.

Sale di sopra, si mette in mutande, si butta sul letto, si tira su il lenzuolo nonostante il caldo e chiude gli occhi. Adrien lo osserva. Oltre che di alcol, Étienne puzza di melma, quell’odore che hanno tutti sulla pelle dopo un bagno nel lago. Di solito si fa la doccia per lavare via il tanfo di uovo marcio.

Non capisce. Étienne non è mai così sibillino, in genere. E ora si mette a dormire lì, mezzo ubriaco, nel letto di Nina, mentre lei è scomparsa.

«Te ne freghi di sapere dov’è Nina?» gli chiede Adrien.

«...».

«Tra l’altro, non dovevi essere con Clotilde stasera?».

«Vieni» risponde Étienne.