Sono sposati da dieci mesi.
Emmanuel la bacia sul collo prima di uscire. Sono le sette di mattina. Lei fa un grugnito di piacere e ripiomba nel sonno. Ogni mattina apre gli occhi una prima volta verso le dieci, si riaddormenta, li riapre verso le dieci e un quarto, dieci e venti, dieci e mezzo. Non ha il coraggio di svegliarsi. Torna nei sogni. Alla fine si alza verso le undici e un quarto, tempo limite per avere un’aria fresca quando Emmanuel tornerà a pranzo, come se si fosse alzata alle otto. Fa la doccia ascoltando la radio, le piace la voce dei conduttori.
Quando scende in cucina trova Nathalie, la donna di servizio. Il personale invisibile degli inizi è diventato visibile, anche se Nina non è per niente contenta. Avrebbe preferito cucinare e fare le pulizie lei stessa, ma non l’ha neanche accennato al marito, sapendo che non gliel’avrebbe mai permesso. A Nina non piace quella donna, ma non osa dirlo perché lavora per i Damamme da un’eternità.
Nathalie prepara tutti i pasti. Tranne quando ha riunioni di lavoro o è in trasferta da qualche parte, Emmanuel torna verso l’una per stare un po’ con Nina, dice che così le giornate sono meno lunghe. Da settembre scorso questa è la sua routine.
Due giorni dopo essersi sposati Emmanuel ha detto a Nina di dare le dimissioni.
«Adesso che sei mia moglie non puoi più fare l’assistente del direttore finanziario».
«A me piace il mio lavoro... È divertente, e Le Camus mi è simpatico».
«Lo so, ma devi trovarti un’altra attività. L’anno prossimo subentro alla direzione dell’azienda, Nina, non è ammissibile che la moglie del capo lavori in ufficio come segretaria. Non ne hai più bisogno».
«E che faccio tutto il giorno?».
«Ti dedichi a tuo marito, ti fai bella e spendi i nostri soldi... Non devi preoccuparti più di niente. Fai quello che ti va. Ti amo. Sono qui per viziarti, per renderti la vita più bella, più grande. Sii leggera».
Nina ci ha pensato su rosicchiandosi l’unghia del pollice.
«Allora ricomincio a studiare».
«Per quale motivo?».
«Per imparare. Posso farlo per corrispondenza».
«Se vuoi... Ogni tuo desiderio è un ordine, amore mio».
Si è iscritta al GRETA, l’istituto di design, per seguire corsi di grafica a distanza. Si è comprata un computer. Ha retto tre mesi, fino all’inverno. Non ce l’ha fatta a studiare da casa, motivarsi, fare regolarmente i compiti e ascoltare i tutorial su floppy. Allora rimane a letto fino a tardi, si trucca, cambia vestito e colore dei capelli, pranza col marito, guarda le serie in televisione, ascolta musica, legge e fa shopping. Certe volte si spinge fino alla sua ex casa per bere un caffè con Joséphine e vedere come stanno gli animali. Paola è morta di vecchiaia nel sonno. Nina l’ha fatta cremare e ne ha sparso le ceneri sulla tomba del nonno. “Farete la siesta insieme, come prima”.
Rimangono solo due vecchi gatti, che non escono mai e passano la giornata a dormire sul letto. Nina avrebbe voluto portarli nella proprietà, ma Emmanuel è allergico ai peli degli animali. Ha promesso a Nina che si sarebbe fatto desensibilizzare, ma non ha garantito niente. «A volte funziona, a volte no».
La domenica si uniscono al resto della famiglia Damamme nella grande sala da pranzo, la stessa in cui Nina ha imparato il valzer con Gé. Mangiano, parlano di politica, di lavoro e di attualità. Lei ascolta, partecipa di rado alla conversazione. Solo una volta, già riscaldata da un pommard dell’89 scelto dal suocero, quando il discorso è caduto sugli ultimi test nucleari effettuati nella Polinesia francese si è inalberata dicendosi scandalizzata dalla decisione di Chirac. Stupiti, gli altri le hanno rivolto un sorriso educato senza capire bene perché se la prendesse tanto: la Polinesia francese e la barriera corallina sono così lontane dalla Borgogna...
Al ritorno da quei pranzi domenicali, sempre un po’ alticcia, Nina telefona a Étienne e Adrien. È il rituale della domenica pomeriggio, mentre Emmanuel schiaccia un pisolino. Parla con loro, li ascolta, fa domande. Si raccontano le rispettive vite, loro a Parigi sprofondati nei libri per preparare i concorsi, lei a La Comelle oziosa e felice.
«Non ti annoi?» le chiede sempre Adrien.
«No, me la godo».
«Che ti godi?».
«La vita».
Dice che andrà a trovarli presto col marito appena Emmanuel sarà un po’ più libero. Parlano della prossima estate, devono assolutamente venire a fare il bagno da lei, la piscina è sensazionale, faranno barbecue e cene a piedi nudi sull’erba. Adrien ed Étienne promettono che ci andranno.
Ha smesso di disegnare, come se l’arte appartenesse alla vita di prima, la vita col nonno. Una mattina ha ritratto Emmanuel addormentato. Quando si è visto sulla carta da disegno lui ha riso, l’ha un po’ presa in giro, non si è trovato somigliante.
«Amore mio, temo che tu non sia Renoir».
Lì per lì Nina si è sentita ferita, poi ha pensato che l’amore era proprio quello, la franchezza, il dire la verità all’amato o all’amata. Ha pensato che da giovane l’avessero ingannata cullandola nell’illusione di avere un talento. Ha guardato lo schizzo che aveva fatto del marito e ha capito che era un lavoro mediocre. Da allora cartelline portadisegni, carboncini e fogli vergini dormono in fondo a un armadio.
La sera Emmanuel torna verso le sette, bevono, cenano tardi, fanno l’amore. Emmanuel le dice che non è mai stato così felice, che lei gli sta dando la vita che sognava. Quando si addormenta, Nina accende la televisione e la guarda fino alle due di notte, trasmissioni come Bouillon de culture, Comme un lundi o Ça se discute. Ascolta affascinata le persone che partecipano ai talk show di Jean-Luc Delarue, certe volte camuffate, con parrucca e occhiali scuri.
Firmando l’atto di matrimonio Nina ha sottoscritto vacanze perpetue.
*
«Il signor Bobin?».
«Sì».
«Il signor Désérable la aspetta».
Con la bocca secca e un groppo in gola Adrien entra in un ufficio pieno di libri allineati su scaffali di ciliegio selvatico. Ha spedito il manoscritto a vari editori, tutti gli hanno risposto che il suo libro non rientrava nella loro linea editoriale. Tutti tranne una famosa casa editrice il cui catalogo annovera autori prestigiosi.
Una sera Thérèse Lepic gli ha detto che qualcuno l’aveva cercato.
«Un certo Fabien Désérable, delle edizioni... delle edizioni... non me lo ricordo».
«Che le ha detto, Thérèse? Che le ha detto esattamente?».
«Niente di speciale. Vuole che lo richiami».
Adrien ha subito capito che era un buon segno. Quella gente non telefona, quando non vuole saperne di te ti manda una lettera preconfezionata. A meno che non l’abbia chiamato per insultarlo a voce e criticare aspramente la natura del testo che gli ha mandato.
Erano le otto di sera quando Adrien ha fatto il numero. Segreteria telefonica. Non ci ha dormito la notte, ha guardato il soffitto proiettandosi immagini mentali una più folle dell’altra. La mattina dopo, come al solito, ha preso la RER e la metropolitana per andare a lezione. A mezzogiorno è uscito, ha cercato una cabina telefonica e ha di nuovo fatto il numero che Thérèse gli aveva scritto su un foglietto. Una donna gli ha fissato un appuntamento senza dargli spiegazioni, lui non ha osato fare domande. Ed eccolo finalmente di fronte a un quarantacinquenne bassetto, pelato, cordiale, con l’occhio vispo e la voce profonda. Stretta di mano vigorosa.
«Si accomodi. Prende un caffè? Un tè? Un bicchiere d’acqua?».
«No, grazie».
«È parente di Christian Bobin?».
Adrien ci pensa un attimo. Non ha idea di chi sia Christian Bobin. Suo padre si chiama Sylvain. Che abbia uno zio o un cugino che si chiama Christian? Dopo tutto non sa niente della famiglia del padre.
«Non credo...» risponde, sconsolato.
Fabien Désérable lo squadra. Adrien è a disagio.
«Veniamo subito al sodo. Il suo manoscritto è buono, direi anzi ottimo. Profondo, coinvolgente, forte. Non ho mai letto niente di così... originale. Mi perdoni se non uso i termini giusti... Non voglio in nessun modo essere sgarbato».
«...».
«Ha conquistato il nostro comitato di lettura alla quasi unanimità, solo un paio di persone hanno avanzato qualche riserva, probabilmente a causa della particolarità del testo, che può apparire sconcertante. L’ha sottoposto ad altri editori? Ha avuto altri contatti? Proposte?».
«No».
«Grazie per la franchezza. Le interesserebbe pubblicare con noi?».
Adrien emette un sì impercettibile, come se esitasse, mentre il cuore gli batte come un tamburo.
«Il titolo, Bianco di Spagna, è bellissimo».
«...».
«Lei che fa nella vita?».
«Studio lettere. Sto preparando il concorso per l’École Normale Supérieure».
«Quanti anni ha?».
«Venti».
«Aveva già scritto prima d’ora?».
«No. Cioè qualche canzone, niente di trascendentale».
«Non le nascondo che sono colpito dal suo testo».
«...».
«Sta già lavorando su qualcos’altro? C’è un nuovo romanzo in preparazione?».
«No».
«Allora bisognerà pensarci».
«...».
«Le faccio una domanda alla quale non è obbligato a rispondere: è autobiografico o pura fiction?».
Adrien ci pensa un po’ prima di rispondere.
«Credo che ogni romanzo contenga alcune verità, radici che si nutrono della realtà, e che nelle autobiografie ci sia una buona dose di fantasia».
Sorridente, Fabien Désérable lo scruta di nuovo.
«Se la cava bene... Le faccio preparare il contratto. La chiamiamo noi appena siamo pronti. Dovremo fare qualche correzione, molto poche, e qualche taglio, lo faremo insieme e solo se lei è d’accordo. Sarò il suo editor, lavoreremo a stretto contatto. Benvenuto».
Fabien Désérable si alza e gli dà la mano.
Cinque minuti dopo, per strada, Adrien è nel pallone. Stenta a crederci. Il suo libro avrà un effetto bomba su quelli che lo conoscono. Probabilmente le sue parole gli cambieranno la vita. Pubblicheranno il suo romanzo! Tutto è successo con stupefacente rapidità. Non cammina, vola sulle ali di una fierezza ambigua. Ha scritto sulla carta parole impregnate di profondo dolore e a quelle persone sono piaciute, le hanno capite. Si sente riconosciuto. Per la prima volta esiste. Entra nella luce e dall’ingresso principale, è un sogno a occhi aperti. Deve chiamare Nina e la madre, annunciare loro la grande notizia.
Si ferma sul marciapiede. Invece no, non dirà niente a nessuno. Solo a Louise. Non ci sarà champagne né rullo di tamburi.
Si è scordato di informare Fabien Désérable che desidera rimanere anonimo, che il suo nome non deve figurare in copertina.
*
Louise riattacca. Adrien le ha appena detto che sarà pubblicato. «È meraviglioso» ha risposto lei, «ma non mi stupisce». È l’unica che lo sa. Aveva letto il manoscritto prima che Adrien lo mandasse ai vari editori. Ha promesso di mantenere il segreto.
«Ti amo» gli ha detto prima di riattaccare.
«Anch’io».
Vive a Lione, dove sta facendo il primo anno di medicina. Si annoia senza loro tre. Quell’idiota del fratello le manca. Nina è rimasta dov’è nata e Adrien brillerà altrove, ne è sicura.
Ogni volta che torna a La Comelle decide di andare a trovare Nina e ogni domenica sera, subito prima di ripartire, pensa: “Cavolo, me ne sono dimenticata”.
*
Étienne esce dall’aula magna dell’università. Manca solo un anno al concorso d’ammissione alla scuola di polizia, lo sosterrà insieme ad Arthur, il suo coinquilino. I due anni di università sono obbligatori, devono avere in tasca un diploma universitario.
È tanto se non sbarra i giorni sul calendario. Non vede l’ora di farlo, di entrare nel vivo della questione, nel vivo della sua esistenza. I due anni di legge sono la cosa peggiore, la punizione. In confronto, perfino l’inferno dev’essere piacevole. Diritto civile, diritto penale, diritto costituzionale... un incubo. Ma tiene duro, entrare in polizia è diventata la sua ossessione. Se passa il concorso, che è tosto, andrà alla scuola allievi ufficiali di Cannes-Écluse e, se la conclude, nel giro di diciotto mesi sarà tenente di polizia. Diciotto mesi di formazione, di cui sei di tirocinio in commissariati dove prenderà parte a perquisizioni, fermi e pedinamenti.
Fatte salve le disponibilità, il suo posto in graduatoria gli permetterà di scegliere il luogo dell’assegnazione. Dovrà lavorare sodo, far parte dei migliori della classe ’96. Tre volte alla settimana prende ripetizioni da una professoressa della Sorbona. Da principio era talmente negato che gli capitava di mettersi a piangere. E ricordava le parole di Nina: «Cerca di capire quello che stai copiando, perché un giorno non ci sarò più».
Nina non c’è più. Non che sia morta, ma è come se lo fosse.
Terminata la formazione Étienne indicherà Lione come prima scelta. Parigi non gli interessa. Parigi era il sogno di fare musica, il sogno di prima. Lione è un buon compromesso: è una grande città, il mare non è lontano, la montagna è vicinissima e c’è Louise.
Sa già di soddisfare a tutti i requisiti fisici e di avere talento nello sparare. Ha smesso completamente di fumare e se circola una canna nelle rare serate a cui partecipa va alla finestra o si sposta in un’altra stanza.
Ha la tuta da ginnastica nello zainetto. Tre volte alla settimana prende la linea 9 della metro per andare a correre al Bois de Boulogne, dove fa il giro dei laghi superiore e inferiore con i Sonic Youth in cuffia.
Si tiene a distanza dall’acqua, e se per caso deve fare una deviazione e passarci vicino gli viene l’angoscia. Quella superficie silenziosa che riflette invariabilmente il cielo, quello specchio che ha l’aria di un occhio che lo scruti, lo riportano con la memoria al lago della foresta e alla sera in cui ha atteso Clotilde. Presto saranno due anni che è scomparsa. Pare che i genitori vogliano andare a Chi l’ha visto?. Ricorda che la madre lo guardava, quando lui viveva ancora a La Comelle. All’epoca alzava gli occhi al cielo sentendo la musica drammatica che utilizzavano per sottolineare l’emozione. L’idea del programma è fare appello a eventuali testimoni che possano sapere qualcosa su una scomparsa inquietante o un omicidio insoluto, un genere di voyeurismo che Étienne trova insopportabile e che mette la polizia in una situazione difficile. «Non siete capaci di risolvere il caso? Allora ci rivolgiamo ai media».
Dovrà dare la sua testimonianza in tv? Non potrà sottrarsi se glielo chiedono, altrimenti apparirà sospetto. Correre gli svuota la testa, allenarsi pure.
Oggi farà il giro dei due laghi percorrendo altri sentieri attraverso il bosco. Da quando ha in testa i genitori di Clotilde che chiedono aiuto davanti alle telecamere di TF1 non guarda più l’acqua, come quando si evita apposta di incrociare gli occhi di una persona. Dal giorno in cui la madre l’ha informato che i genitori di Clotilde hanno chiesto di andare in trasmissione, e la redazione di Chi l’ha visto? sta studiando il caso, i laghi del Bois de Boulogne gli fanno l’effetto di un volto, di una maschera spaventosa.
Ha visto l’ultima puntata in compagnia di Adrien. Non aveva il coraggio di vederla da solo. Era un lunedì sera. In genere si incontrano il sabato o la domenica, mai durante la settimana, ma Étienne ha detto che era importante. Ha ordinato due pizze che hanno mangiato gomito a gomito voltando le spalle ai sintetizzatori, spenti ventiquattr’ore su ventiquattro, che servono ormai da attaccapanni o da svuotatasche, corpi adorati e venerati per anni e poi dimenticati.
«Perché dobbiamo guardare questa roba?» ha chiesto Adrien.
«Perché mia madre ha detto che i genitori di Clotilde hanno deciso di andare in trasmissione e di sicuro chiameranno me a testimoniare».
«Stai scherzando?».
«Ti pare che scherzo su una cosa del genere?».
«E che dirai?».
«Che vuoi che dica? Che l’ho aspettata e non è venuta».