25 dicembre 2017
Adrien ha fatto il pieno di benzina. È seduto su una panchina davanti ai posacenere da esterno. In lontananza, spinta dal vento, dondola un’altalena abbandonata dai bambini. Avvolto in un giaccone, fuma una sigaretta nell’aria gelida. Ha preso il pacchetto dalla borsa di Louise stamattina, se l’è appena ritrovato in tasca con dentro un accendino rosa confetto. Da un pezzo non dava una boccata. È disgustoso e magnifico.
Con gli occhi che fissano il freddo pensa a Étienne, al suo cancro, alla morte che gli gira intorno. Non si è mai preparati alla morte degli amici, neanche quando hanno smesso di essere amici.
Ricorda.
Gennaio 1997. Lui ed Étienne erano nella capitale da oltre due anni, lui a Vincennes, Étienne a Nation, quando ancora non aveva cominciato la scuola di polizia a Cannes-Écluse. Per la seconda volta Étienne aveva chiesto il suo aiuto.
«Non posso guardarlo da solo, devi venire a casa mia, starmi vicino. Ci siamo, parleranno del caso Clotilde Marais».
Era strano che ne dicesse il cognome, sembrava quasi che volesse allontanarsene, tenerla a distanza.
Si riferiva al programma Chi l’ha visto? in onda in prima serata su TF1.
«I genitori di Clotilde ti hanno chiesto di testimoniare?».
«No» aveva risposto Étienne con il tono di un bambino preso con le mani nella marmellata.
Adrien era arrivato a casa sua alle sette di sera. Étienne aveva ordinato le loro pizze preferite, una capricciosa per Adrien e un calzone per lui, sul quale aveva versato un litro di olio piccante, come al solito. Nonostante la situazione e il nervosismo aveva fame. Adrien l’aveva sempre visto affamato.
Era colpito che Étienne avesse chiamato lui. Quindi lo considerava un amico. Anche senza Nina faceva affidamento su di lui.
Perché si portava dietro quel dubbio da sempre?
Étienne aveva aperto una bottiglia di rosé e acceso la televisione togliendo il volume, avevano visto senza guardarlo un servizio su Yasser Arafat, poi uno su Bill Clinton. Avevano parlato del più e del meno.
Adrien aveva finito di scrivere Bianco di Spagna, ma non aveva detto niente, ed Étienne non gli aveva fatto domande a proposito del romanzo a cui aveva accennato la sera dell’addio al nubilato di Nina.
Poi era cominciato il programma.
Étienne aveva rimesso il volume e si era acceso una sigaretta. Aveva gli occhi lucidi come se fosse febbricitante, un misto di terrore ed eccitazione che aveva stupito Adrien.
C’era qualcosa di angosciante già nel titolo, qualcosa di malsano nell’appropriarsi delle disgrazie altrui per farne uno show.
I Marais erano sotto la luce dei riflettori, seduti fianco a fianco come loro due sul divano col bicchiere di rosé in mano.
Rassegnati, con lo sguardo velato, quei genitori sembravano due naufraghi. Il padre, in preda all’inquietudine, oscillava tra il pudore e la vergogna di essere mediatizzato in quel modo, tuttavia appariva determinato. «È la nostra ultima possibilità» aveva mormorato la madre.
Sullo schermo erano sfilate alcune fotografie di Clotilde.
Il conduttore aveva cominciato facendo domande ai genitori a proposito della figlia: «Qual era il suo carattere? Era chiusa o si apriva facilmente?», «Sembrava diversa alla fine? Era cambiato qualcosa nel suo comportamento? Era diventata irritabile?», «Era già successo che partisse per qualche giorno senza dirvi niente? Una testimone afferma di averla vista alla stazione di La Comelle verso le dieci di sera. Dov’è andata? Che direzione può aver preso?», «Altro punto importante: due settimane prima di sparire Clotilde aveva svuotato il suo libretto di risparmio. Perché, secondo voi?».
Poi Jacques Pradel, il conduttore, si era rivolto ai telespettatori.
«Potreste essere in possesso di informazioni fondamentali, grazie a voi l’enigma della scomparsa di Clotilde potrebbe essere risolto. Se vi torna in mente qualcosa contattateci subito. E se Clotilde sta guardando la trasmissione e desidera tranquillizzare i suoi, non deve fare altro che comporre il numero di telefono in sovrimpressione sullo schermo, rispetteremo l’anonimato».
Il programma continuava con un reportage.
«La Comelle, anonima cittadina della Saône-et-Loire. Qui, nel cuore dell’amena Borgogna, il 17 agosto 1994 si è volatilizzata la diciottenne Clotilde Marais. I suoi genitori non ne hanno notizie da due anni e mezzo. Non ha mai dato segni di vita».
Riprese delle strade di La Comelle, poi della casa dei Marais, poi della camera di Clotilde. Quando Étienne ha visto le bambole allineate sul copriletto in patchwork è andato in bagno a vomitare il calzone.
Adrien non aveva saputo che fare, non aveva trovato niente da dire. Tornando, Étienne aveva sospirato:
«Sono troppo emotivo per un futuro poliziotto, devo diventare più duro».
«Vuoi che spegniamo la tele?».
Étienne si era preso la testa fra le mani.
«No, lascia stare... Cazzo, ma cosa può aver combinato?».
«Chi?».
«Clotilde...».
“Sono un idiota” aveva pensato Adrien. “Come mi è venuto di fargli una domanda così stupida?”.
A Adrien non stava simpatica Clotilde. Si rivolgevano a stento la parola quando si incontravano nei corridoi della scuola o alle feste. Adrien era uno sfigato agli occhi di Clotilde, e Clotilde non era affatto il tipo di Adrien, era troppo truccata e faceva tutto troppo rumorosamente, rideva forte, parlava forte, aveva sempre il volume al massimo, lo sguardo freddo e le labbra strette. Era priva di qualunque dolcezza, le mancava quella bellezza dell’intelligenza che caratterizzava Nina o Louise.
In fondo Adrien se ne fregava altamente di cosa le fosse successo. Secondo lui era il tipo di ragazza che poteva sparire solo per far parlare di sé, che magari sarebbe ricomparsa un giorno sottobraccio a un principe o al guru di una comunità hippy. Non aveva mai pensato che le fosse accaduto qualcosa di grave, che la sua scomparsa avesse le tinte del dramma. Era solo un capriccio per fare la furba. Probabilmente in quello stesso momento sedeva trionfante davanti alla televisione.
A preoccupare Adrien era lo stato in cui quella storia metteva Étienne. Non sapeva che ci tenesse tanto a lei.
Poi le cose erano precipitate. Il conduttore aveva annunciato che un testimone, che desiderava rimanere anonimo, li aveva informati che la sera del 17 agosto 1994 Clotilde era con il suo “fidanzatino dell’epoca”, affermazioni che andavano verificate, perché contraddicevano la testimonianza secondo la quale era stata vista alla stazione in attesa di un treno.
Chi era dunque questo fidanzatino uscito dal cilindro?
Era intervenuta la madre di Clotilde. «Quella sera mia figlia aveva appuntamento con il suo ragazzo, lui l’ha aspettata, ma lei non si è presentata». Erano fioccate le domande: perché non c’era andata? Aveva incontrato qualcuno strada facendo? Si era ritrovata nel luogo sbagliato nel momento sbagliato? Eppure la prima testimone non aveva dubbi: Clotilde era alla stazione da sola.
Fiumi di lacrime sul palcoscenico.
Adrien non guardava più, non ascoltava più, gli tremavano le mani. Étienne si era liquefatto quando il conduttore aveva citato l’appuntamento di Clotilde Marais con “il fidanzatino”, mentre Adrien aveva sentito un’idea germogliargli nella testa, dapprima l’ombra di un dubbio, poi la certezza.
Quella sera Étienne aveva visto Clotilde. Doveva essere successo qualcosa di irreparabile, altrimenti Étienne non avrebbe avuto quella reazione terrorizzante e terrorizzata, non sarebbe stato così teso, non avrebbe avuto la faccia alterata dalla paura e dall’ossessione.
«Étienne, che hai fatto?».
«Niente. Non ho fatto niente. Giuro».
«Ma quella sera... l’hai vista?».
«Sì».
Lungo silenzio. I due ragazzi si erano guardati.
«Avete litigato?».
«Abbiamo fatto il bagno, un po’ di sesso... Poi mi sono addormentato, e quando mi sono svegliato... niente».
«Niente in che senso?».
«Non c’era più, se n’era andata».
«Stai mentendo? Étienne, mi stai mentendo?».
«No!».
«Le hai fatto del male?».
«No, ti giuro di no».
«Un incidente?».
«Ma no!».
«Allora è un incubo...».
«Sì. Lì per lì ho pensato che se ne fosse andata chissà dove, solo che poi non ha più dato notizie».
«Chi è la testimone che ha visto Clotilde alla stazione?».
«Non ne ho idea».
«Che ore erano quando Clotilde è arrivata al lago?».
«Non lo so, non avevo l’orologio. Era sera... direi tra le otto e le nove».
«Qualcuno vi ha visto?».
«Non credo».
«Ne hai parlato con qualcuno? Con Nina?».
«Con nessuno. Lo sai solo tu. Non ho mai detto di aver visto Clotilde quella sera e mai lo dirò, neanche sotto tortura».
«Perché?».
«Perché cosa?».
«Perché non hai detto niente?».
«Non voglio finire in galera».
«Perché mai dovresti finire in galera?».
«Sono il sospettato ideale... Il ragazzo della vittima è sempre il sospettato ideale, tanto più che...».
«Tanto più che?».
«Niente».
«Tanto più che, Étienne?».
Dopo avergli fatto la domanda Adrien aveva sentito un immenso vuoto intorno a sé. Cosa gli avrebbe confessato Étienne?
Per la prima volta si era sentito il più forte dei due, il meno vulnerabile.
«Era incinta».