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1999

 

Nina torna a casa. Non c’è nessuno. Sollievo. La “cuoca”, come ormai chiama Nathalie, è uscita a comprare qualcosa.

Emmanuel torna fra due giorni.

Posa la borsa della posta sul tavolo della cucina. È come un tesoro che penetra all’interno di una casa morta.

Da principio a Nina sembrava fantastico trovare sempre pavimenti e moquette puliti, la biancheria stirata e riposta negli armadi, pranzi e cene sempre pronti in tavola, ma quel lusso ha un rovescio della medaglia: non c’è la minima intimità. La cuoca entra ed esce da casa loro senza bussare. Nina può ritrovarsela in una stanza a qualunque ora. Quante volte ha sobbalzato trovandosela davanti con lo strofinaccio in mano? Non la regge più. Le capita addirittura di augurarsi che muoia. Nathalie ha l’età di andare in pensione, ma Nina sa che non si staccherà mai dalla sua roccia, Emmanuel Damamme.

È convinta che il marito le abbia detto di tenerla d’occhio quando lui non c’è. «Conto su di lei, Nathalie, le affido Nina, è così giovane...». Giovane o sconsiderata? Quali parole avrà usato?

Ha cercato di dire a Emmanuel che le piacerebbe che Nathalie bussasse prima di entrare, ma lui l’ha rimproverata sorridendo: «Fa parte dell’arredo, è fedele, una perla rara, siamo fortunati ad averla, smettila di fare i capricci, in fondo sei troppo viziata».

Immagina cosa sarebbe la sua quotidianità se rimanesse incinta, e la prospettiva la agghiaccia. Se avesse un bambino la cuoca le starebbe addosso tutto il giorno e lei non lo sopporterebbe. E poi avere un figlio con Emmanuel significherebbe blindarsi per sempre. Ormai vive con un barlume di speranza in fondo al cuore, la speranza prima o poi di scappare. Non soltanto andarsene, scappare. È un pensiero che la terrorizza, ma esiste, è la possibilità di un’isola. Sebbene al momento l’isola le paia irraggiungibile e il viaggio irrealizzabile, forse un giorno...

Per resistere beve almeno tre bicchieri a sera. È consapevole che si sta distruggendo, ma non ha trovato altri palliativi. L’alcol rende sopportabile l’insopportabile, la aiuta a superare l’apprensione per il ritorno di Emmanuel. Beve il primo verso le cinque di pomeriggio, un bicchiere ben carico. Il secondo alle sei. Il terzo mezz’ora dopo. Quando Emmanuel arriva la trova raggiante che mangia una caramella.

A cena, chiacchiere briose e maschera sorridente. Gli fa credere che va tutto bene, che la vita è bella grazie a lui. Poi salgono in camera, sempre insieme, uno dietro l’altra, e in camera Nina sa che lui la guarderà prendere le medicine posate sul comodino, quelle che stimolano l’ovulazione.

Nina aspetta di sentire il rumore dello spazzolino da denti elettrico di Emmanuel per prendere la pillola contraccettiva. Se la fa prescrivere ogni tre mesi dal medico più discreto del centro di La Comelle, uno che non fa domande. Paga le visite in contanti e non chiede il rimborso. Non tiene mai i blister, quando esce dalla farmacia li svuota e mette le pillole in una boccetta insieme ai granuli omeopatici, le aspirine e il burro di cacao.

A sfigurarla e irrigidirla un giorno dopo l’altro è l’improbabile miscela di ormoni e alcol. Combatte distruggendosi, ma combatte.

Non ha nessuno con cui parlarne. Non ha più amici. Étienne e Adrien sono partiti, Louise pure. Prima c’era Joséphine, un caffè con lei le ridava la carica, ma ormai non c’è più neanche lei. Marie-Laure e Marc Beaulieu non ci sono mai, lavorano tutto il giorno, e da quando Emmanuel ha preso le redini della società i suoceri non tornano quasi più dal Marocco. Gé chiama Nina ogni settimana, si scambiano parole vuote, qualche titolo di libri da leggere, intrattengono un rapporto educato e cordiale a distanza, ma come fa a dire a una madre che ha un figlio leggermente squilibrato, possessivo da morire?

Rimangono i weekend una volta al mese, quando arrivano gli amici da Lione, ma sono amici di Emmanuel, non suoi. Sono simpatici, carini con lei, li riceve con piacere, ma una volta ripartiti non ne sente la mancanza, non come quella di Étienne e Adrien.

Accarezza di nuovo la borsa del nonno. Alla fine la apre guardandosi le dita paffute. Come è potuta cadere così in basso? Come può accettare di prendere farmaci che agiscono soltanto sul vuoto della coppia formata da lei ed Emmanuel?

Ci sono più di un centinaio di lettere e cartoline. Le buste bianche sono un po’ ingiallite. Tutte hanno il timbro dell’11 agosto 1994, il giorno prima dell’incidente.

Cinque anni di parole dormono al loro interno, frasi che si scrivono d’estate, durante le vacanze. Dovrebbe andare a consegnarle una dopo l’altra. Probabilmente a nessuno è mai capitato di trovare nella cassetta lettere con cinque anni di ritardo.

Per prima cosa deve nascondere la borsa. È imperativo che né Emmanuel né la cuoca la trovino. In camera da letto, nella cabina armadio, dietro i vestiti? No, troppo pericoloso. L’unico luogo della casa in cui Nina può chiudersi a chiave è il bagno attiguo alla camera, la sua oasi di pace quando si immerge nella vasca a leggere un libro. Mette lettere e cartoline – delle bollette se ne frega – all’interno di tre grandi teli da bagno che ripiega e nasconde accuratamente dietro altri asciugamani sul ripiano al di sopra della vasca, poi torna alla macchina e lascia la borsa nel bagagliaio chiudendolo a chiave.

Le sembra di vivere come un pregiudicato in libertà vigilata.

Si domanda se a quel punto il nonno le darebbe il permesso di leggere quelle lettere. È un reato che va in prescrizione? Erano destinate a finire lì, su una mensola di casa Damamme, a non essere mai distribuite e tantomeno lette. Come ricevere un segnale da lui? Dove guardare per sapere se acconsente o no?

Suona il telefono. È di nuovo Adrien. Due telefonate nello stesso giorno quando sente sempre meno il suono della sua voce.

«L’hai trovata?» le chiede, impaziente.

«Sì».

«Non l’aveva toccata nessuno?».

«No».

«Incredibile».

«...».

«Dove l’hai messa?».

«Nel bagagliaio della macchina».

«C’era posta dentro?».

«Sì, parecchia».

«La leggerai?».

«Non lo so. Non sono più una ragazzina... È comunque un furto».

«Non è un furto, è un prestito».

«...».

«È come prendere in prestito una vecchia storia da qualcuno prima di rendergliela...».

«Non la pensavi così, prima».

«Prima era prima. Ora è un regalo che ti fa tuo nonno. Sennò non l’avrei sognato».

«Dici?».

«Sì».

«Se dovessi venire a Parigi mi aiuteresti?».

«Perché, il tuo matrimonio batte la fiacca?».

L’ha chiesto con tono di sufficienza, sottintendendo un “Te l’avevo detto”.

«No, chiedevo così...».

Adrien rimane zitto, un silenzio imbarazzato che alla fine è Nina a rompere.

«Tra poco è il 2000, ti rendi conto? Temo che ci stiamo perdendo di vista, Adrien».

«Ma no, piantala di farti venire angosce inutili» risponde lui, quasi seccato.

«Non sono angosce inutili. Staremo insieme per l’anno nuovo?».

«Ancora non lo so... Devo salutarti, Nina, non sono solo».

«Okay, ma giurami che faremo insieme il Capodanno 2000».

«Te lo giuro».

«Davvero?».

«Davvero».

«Baci».

«Baci a te».

Torna in bagno, si chiude dentro, apre l’acqua della vasca, prende uno dei teli e lo apre. Decine di lettere cadono sul pavimento. Ne sceglie una a caso. Passa la busta sopra il rubinetto dell’acqua calda, riesce ad aprirla senza strapparla.

Tra due fogli piegati trova una banconota da venti franchi.

 

Cara tesorina mia, buon compleanno, comprati quello che vuoi. Spero che da te sia bel tempo. Qui si soffoca e ho male alle gambe. Non dimenticare di mettere fuori una bacinella dacqua per gli uccelli. Ti voglio bene,

Nonna

 

Nina chiude la busta e la mette da parte. Più tardi andrà a infilarla nella cassetta delle lettere di Rachel Marek, al numero 6 di rue de la Pépinière. Dato che quella sera Emmanuel non torna, quando farà buio andrà a recapitare le lettere che avrà letto. Tranne le brutte notizie. Non servirebbe a niente con cinque anni di ritardo.

Apre e chiude altre buste. Fa un mucchietto per la distribuzione di quella sera. Legge le lettere ad alta voce, come se il nonno fosse accanto a lei e la ascoltasse. A Pierre Beau capitava di leggere la posta a chi glielo chiedeva, persone che non sapevano o non capivano un documento ufficiale. «Postino, che vuol dire questo?».

Sono le nove di sera quando sale in macchina con una ventina di buste posate sul sedile del passeggero. Sa che fra due giorni la cuoca dirà a Emmanuel che è uscita dopo cena, così, per evitare domande insidiose, tra la frutta e il caffè ha raccontato a Nathalie che andava a un rinfresco in palestra organizzato per il compleanno di un istruttore. Altro che palestra, sono più di due anni che non ci mette piede! Ma continua a pagare la quota per due sessioni alla settimana, parcheggia davanti alla palestra e va a camminare da sola lungo il fiume.

Rifà la strada che il nonno avrebbe dovuto fare quel giorno partendo da place Charles-de-Gaulle, la piazza in cui è morto. La sua intuizione era giusta, Pierre proveniva da rue Saint-Pierre e non da rue Jean-Jaurès, è stato il camion a non rispettare la precedenza, l’autista ha mentito.

“Ma non mentiamo forse tutti?”.

Un solo destinatario ha cambiato casa. Il nome è stato rimosso dalla cassetta delle lettere, le finestre sono chiuse e le erbacce hanno sommerso la ghiaia. Nina lascia comunque la cartolina che Jacques Laurent avrebbe dovuto ricevere il 12 agosto 1994.

 

Caro Jacquot,

tornando su dal Sud passerò a trovarti nella tua tana. Non vedo lora di andare a pesca con te, visto che non cè altro da fare dalle tue parti. Comincia a mettere in fresco la birra e pulisci il barbecue. Porterò la chitarra, come ai bei tempi.

Saluti, vecchio mio,

Sergio

 

Alle undici Nina finisce il giro. Torna a casa con la morte nell’anima. Ha appena compiuto i gesti che il nonno avrebbe dovuto fare quel giorno, gesti ammazzati da un camion del cazzo.

Le rimangono ancora un centinaio di lettere da distribuire. Nel frattempo va a dormire contenta che Emmanuel non ci sia.

Prima, quand’era fuori, le telefonava ogni ora. «Come stai, amore mio? Che fai? Come sei vestita? Mi manchi...».

Ora le telefona per dire che è arrivato e stop.

A Natale scorso le ha regalato un telefonino. «Così potremo trovarci sempre».

Un incubo. Chi può aver voglia di essere sempre raggiungibile?

Avrebbe preferito che le regalasse un cane. «No» aveva risposto Emmanuel, «con il bambino non sarebbe igienico. E poi Nathalie ha già abbastanza da fare così. T’immagini i peli di cane che ci sarebbero per la casa? Sono convinto che tu gli permetteresti di salire sul divano».

Quando Joséphine è morta Emmanuel ha venduto la casa del nonno. «Non serve più».

I due gatti sono finiti dai Beaulieu. «Non se ne parla di portarli qui, lo sai che sono allergico».

Marie-Laure ha promesso a Nina che ne avrebbe avuto cura.

Stesa sul letto, è tentata di farsi un altro giro in bagno, aprire un altro asciugamano e far cadere a terra altre lettere, convocare lo spirito del nonno, tornare all’agosto 1994, quando Étienne e Adrien le tenevano ancora la mano.