Nina è al reparto frutta e verdura del solito supermercato quando qualcuno le posa una mano sulla spalla.
Mentre pesa un sacchetto di mele rosse croccanti, quelle dolci e biologiche che piacciono a Emmanuel, si chiede come tirarsi fuori dalla sua situazione, mettersi in salvo, porre fine a quella vita. Non vede via d’uscita. Tuttavia c’è fretta, sarebbe bene che se andasse prima che il marito torni a casa con un marmocchio in braccio. È capace di tutto, anche di rubarne uno. Più passa il tempo e più capisce che la sua ossessione non è tanto quella di avere un erede, ma quella di bloccare definitivamente lei. Se hanno un bambino non potrà più andarsene. Le gira la testa, ha la nausea. Ha già bevuto tre bicchieri di vino a pranzo. In genere comincia più tardi, ma oggi ha deciso di bere fino a crollare, perché ieri è stata la giornata di troppo.
Lione, Étienne che se n’è andato dalla birreria perché lei aveva letto la lettera di Clotilde, la cuoca licenziata, l’adozione, Bianco di Spagna...
Nel carrello, nascoste dalle buste di salmone affumicato sottovuoto, ha messo due bottiglie di whisky. Mischiate ai tranquillanti, c’è di che ritrovarsi in un coma etilico da cui non si esce più.
Raggiungerà il nonno nella tomba dei Beau.
La faccia che faranno Étienne e Adrien! Come rimpiangeranno di averla abbandonata!
O forse no. Per loro Nina appartiene al passato. Dopotutto, quelli che contano sono gli amici di dopo, non quelli con cui si è stati a scuola.
Da ieri cerca invano di chiamare Étienne. Ogni volta lui le riattacca in faccia.
E Adrien? Potrà mai perdonarlo? Potrà mai perdonare se stessa? Fare il cammino a ritroso le pare irrealizzabile.
Chi smette di esserti amico non lo è mai stato.
Più il mio cuore ci pensa e più è ferito.
Sì, deve andarsene.
Per giunta c’è quella minaccia di essere internata. Al ritmo con cui Nina sprofonda, a Emmanuel non sarebbe difficile farla rinchiudere. Ne sarebbe capace, preferirebbe saperla con la camicia di forza anziché libera.
Qualunque cosa succeda, qualunque cosa lei faccia, non riuscirà a sfuggirgli.
Tutto si accavalla nella sua testa.
Anche le parole di Adrien che ha trovato ieri in Bianco di Spagna. Ha ricominciato a leggerlo stamattina e l’ha finito piangendo tutte le lacrime che aveva in corpo. Poi Emmanuel l’ha chiamata per sapere se si era scusata con Nathalie.
«No».
«Chiamala subito».
«Va bene».
La cuoca ha risposto al primo squillo.
«Buongiorno, Nathalie, sono Nina. Mi scusi per ieri sera. Sono le medicine che prendo per avere un figlio, credo che mi diano alla testa... Mi dispiace. La prego di tornare a casa, abbiamo bisogno di lei».
Nina ha sentito il respiro trionfante dell’altra, che tuttavia non ha detto niente.
Così, mentre da cinque minuti è ferma davanti alla bilancia a cercare il prezzo delle Pink Lady, quando la mano si posa sulla sua spalla Nina è talmente disperata che la donna deve insistere per richiamare la sua attenzione.
«È lei?».
Nina sobbalza.
«Eh?».
«Sì, sono sicura che è lei, la riconosco».
La donna è raggiante. Ha una sessantina d’anni, indossa un legging nero che le sta malissimo e una felpa in cui si mischiano losanghe dai colori chiassosi. Peserà ottanta chili. Si è legata i capelli mal decolorati con un elastico di spugna rosa. Ha i denti bianchi ben allineati, la pelle leggermente olivastra e scintillanti occhi verdi. Nel suo carrello ha una piramide di scatole di cibo per cani e gatti. Nina non l’ha mai vista.
«Come ha ritrovato quella lettera?».
Nina sente la terra mancarle sotto i piedi.
«Non capisco» balbetta.
«È stata lei a venire all’ADPA tre settimane fa...».
Certo che è stata lei, ha recapitato la lettera anonima che denunciava le miserevoli condizioni di vita di un cane che viveva su un balcone. Era il giorno prima che andasse a Parigi. Non si sente bene. La sconosciuta se ne accorge e le afferra il braccio.
«Venga con me, prendiamoci un caffè».
L’ha detto in tono dolce ma fermo, che non presuppone un rifiuto. Nina non ha altra scelta che seguirla. Non capisce. Eppure è sicura che quella sera non ci fosse nessuno al rifugio dell’ADPA. Passano alle casse, ognuna paga la propria spesa, la sconosciuta nota le due bottiglie di whisky, ma non fiata, si limita a sorridere. Un sorriso gentile, senza sottintesi né sdolcinatezze.
Le due donne vanno nella piccola caffetteria del centro commerciale, si siedono una di fronte all’altra accanto a un videogioco su cui è scritto Fuori servizio.
«Allora, mi dica, come ha ritrovato quella lettera?».
Nina non risponde. Deve andarsene, tornare a casa prima del marito. Deve sbarazzarsi di quella grossa brava donna.
«Quanti anni ha?» insiste l’altra.
«Ventiquattro».
«Ha tutta la vita davanti».
«...».
«Mi chiamo Éliane, ma tutti mi chiamano Lili».
«Come la canzone di Pierre Perret...».
Nina non sa perché l’abbia detto, come le sia venuto in mente quel cantante.
«Si sbaglia, Lili non è di Pierre Perret, è di Philippe Chatel. Pierre Perret è quello di Mon p’tit loup. “Non te la prendere, piccolo lupo, la vita è così, non piangere”...».
E Nina si mette a piangere nascondendosi la faccia tra le mani. Una mattina aveva sorpreso il nonno che mormorava le parole di quella canzone trasmessa spesso dalla radio, proprio lui che non ascoltava mai musica, a parte i dischi della moglie. Si era stupita, ma non aveva osato chiedergli come mai la conoscesse a memoria.
Lili fa un cenno al cameriere.
«Insieme ai caffè ci porti due cordiali».
«Che cordiali?» domanda lui.
«Che siano in grado di rimettere a posto le idee».
Lili osserva Nina.
«Non ha l’aria di stare granché bene, bambina mia».
«Come sa che sono stata io a portare la lettera?».
«L’ho vista. Abito di fronte al rifugio. Quando sento una macchina di sera generalmente è qualcuno che ci lascia davanti al cancello una scatola di cartone con i gattini dentro... Mi sono alzata per guardare. Non mi aspettavo di vedere una giovane donna che infilava una busta nella cassetta delle lettere alle undici di sera. Se sapesse che effetto mi ha fatto... non lo può immaginare... Ero stata io a scrivere quella lettera».
“Che assurdità” pensa Nina. “Spedirsi una lettera è come spedirsi dei fiori”. Rimane zitta, non reagisce. Beve il caffè e il liquore di pera a piccoli sorsi fissando la donna senza vederla. Lili è sconcertata dalla disperazione della giovane che ha di fronte.
«Dove vive?» le domanda come se lo chiedesse a una bambina smarrita che non trova più i genitori.
«A casa di mio marito».
«Casa di suo marito non è casa sua?».
«...».
«Vuole mangiare qualcosa?».
«No, grazie. Devo tornare».
«Da suo marito?».
«Sì».
«Sono contenta di averla trovata».
«...».
«Volevo ringraziarla, perché...».
«Devo rientrare...».
«Ancora un attimo... Suo marito la sta aspettando?».
Nina ha l’aria di pensarci su.
«No... Torna stasera verso le sette».
«Sono solo le due, ha tutto il tempo».
«Ma ho delle cose da fare, prima».
Lili sente che deve guadagnare tempo, come quando vuole salvare una gatta randagia gravida che gira intorno a una trappola per gatti. Quella giovane sembra essere sull’orlo di un precipizio di cui ignora l’origine. E poi Lili non ha mai creduto al caso.
«Sei anni fa, dopo che ho scritto quella lettera, sono passati due mesi senza che nessuno intervenisse. Poi la proprietaria del cane è andata in vacanza... lasciando l’animale da solo. Allora sono andata all’ADPA e mi sono arrabbiata con la direttrice dell’epoca, le ho chiesto cosa aspettasse per fare qualcosa. Lei non conosceva quel caso di maltrattamento, non aveva ricevuto la mia lettera. Non ci ho creduto. Le risparmio i particolari, ma non è stato facile recuperare quel povero cane. In seguito ho fatto amicizia con la direttrice, mi sono offerta come volontaria, ho cominciato a portare fuori i cani, pulire, fare un po’ di contabilità e lavoro amministrativo, e quando lei è andata in pensione mi ha chiesto se volevo prendere il suo posto. Vede, se all’epoca avesse ricevuto la mia lettera non ci sarei mai andata. Prima mi tenevo alla larga da quel genere di posti. Tutti quelli che sono sensibili alla sofferenza degli animali si tengono lontani dai rifugi. Pensano che non lo sopporteranno, ma si sbagliano. Si piange un po’ la prima volta, poi passa».
«Io non lo sopporterei» dice Nina in un soffio.
«Credo proprio di sì, invece. La cosa insopportabile è non fare niente».
Nina ha la sensazione che non stia più parlando di animali, ma di lei.
«Perché vive lì?» le chiede.
«Lì o altrove... E lei? Perché vive a casa di suo marito?».
«Perché non so dove altro andare... è una situazione complicata, mi ritroverebbe... Sono sola...».
Nina si schiaccia rabbiosamente tre lacrime sulla guancia.
«Mi scusi».
«Semmai bisognerebbe chiedere scusa a quelli di fronte ai quali non si piange mai... Sono commossa che riesca a piangere davanti a me. La paura impedisce, paralizza, ma mi creda, si fa sempre in tempo ad andarsene. Come si chiama?».
«Nina».
*
È tutto ufficioso, ma già le voci corrono: a maggio prossimo la commedia Figli in comune dovrebbe sbaragliare tutti alla consegna dei premi Molière: premio per la nuova rivelazione, per i migliori attori protagonisti e non protagonisti, per la regia e soprattutto, Adrien non fa che ripeterselo, la prospettiva di ottenere il premio Molière per il miglior autore.
“Premio Molière per il miglior autore. Premio Molière per il miglior autore. Premio Molière per il miglior autore”.
Si impone di non pensarci. La cerimonia si svolgerà tra sette mesi, e non c’è niente di ufficiale.
Però ci pensa.
L’ipotetico avvenimento lo tiene sveglio tutte le notti.
“E se mi chiamano sul palcoscenico? ‘Il premio Molière per l’autore viene assegnato a Adrien Bobin!’. E se fosse Isabelle Adjani a consegnarmelo? Ah no, sarà sicuramente il vincitore di quest’anno. Chi era? Ah sì, Dario Fo con Morte accidentale di un anarchico”.
Immagina gli applausi scroscianti, lui che si alza e fa l’espressione di quello che ancora non ci crede, fa passare il momento della sorpresa, pochi secondi, sorride per se stesso, tanto per far vedere di essersi reso conto che è stato pronunciato il suo nome, chiude gli occhi, scuote la testa, abbraccia gli attori, il regista... «No, davvero, non me lo aspettavo». Lui che si riempie il corpo di quelle parole, cammina lentamente, stringe mani strada facendo, sale sul palco, prende il premio e ringrazia. Pensa al discorso che farà. In realtà l’ha già scritto e lo conosce a memoria.
Lo squillo del telefono lo disturba. Stava per uscire, ha una cena a casa della regista Danièle Thompson, il suo film Pranzo di Natale gli è piaciuto tantissimo, l’ha visto tre volte. Ha fatto in modo di farglielo sapere e lei l’ha invitato tramite un amico comune.
Risponde stizzito.
«Dov’è?» abbaia Emmanuel Damamme.
«Prego?».
«Dov’è Nina? Non prendermi in giro, voglio sapere dov’è!».
«È successo qualcosa?».
«Sì, è successo che è sparita da ieri... È con te?».
La sensazione è quella di ricevere un cazzotto nello stomaco. Di colpo Adrien capisce che Nina è scappata di casa senza telefonargli, senza chiedergli aiuto, e non a caso. Nina è da qualche parte senza di lui, forse non la rivedrà più.
Mette immediatamente a tacere il dolore. Sa controllarlo, come sa controllare tutto il resto: è la sua essenza. Dopo aver scritto Bianco di Spagna il suo cuore si è fatto di ghiaccio, ha chiuso a chiave la propria identità e buttato la chiave.
Di se stesso lascia apparire solo il giovane taciturno e talentuoso, un piccolo principe che probabilmente riceverà il premio Molière per il miglior autore.
Non ha amanti, né maschili né femminili. Flirta, seduce, si fa sedurre, ma trova sempre una scusa per tornare a casa da solo.
Tranne quando vede Louise.
«Non ho sue notizie» risponde a Damamme. «L’ultima volta l’ho vista un mese fa qui a Parigi».
«Un mese fa Nina era a Parigi?» fa Emmanuel con voce glaciale. Poi diventa minaccioso. «Attento, Adrien, se stai mentendo verrò a saperlo».
Adrien fa una risatina suo malgrado. Prova solo disprezzo per Emmanuel Damamme e nessuno gli fa paura.
«Con Nina ho chiuso da un pezzo» dice prima di riattaccare.
Il telefono suona di nuovo, insistente. Non risponde, si mette un cappotto, passa in bagno a darsi un’occhiata allo specchio prima di uscire. Il taxi lo aspetta.
*
“Nina ha letto la lettera di Clotilde...”. Étienne ce l’ha a morte con lei. È come uno stupro, non glielo perdonerà mai. Se ne frega che fin da piccola apra la posta degli sconosciuti, ma non che apra la sua!
Che delusione!
Non sa se gli faccia più male il fatto che Nina abbia scoperto che Clotilde era incinta o che abbia profanato la sua intimità. Dentro di sé ribolle un misto di collera e vergogna che non lo molla.
Un duro colpo, quella lettera. Mai avrebbe pensato di ricevere dopo sei anni parole che sembrano tornate dall’aldilà.
Cerca di riandare con la memoria a Clotilde la mattina del funerale di Pierre Beau. Come lo guardava pensando che fosse al corrente della gravidanza mentre lui non ne sapeva niente? Impossibile ricordarselo, c’era troppa gente dentro la chiesa e sul sagrato. E c’era troppa tristezza di cui non sapeva cosa fare. Ricorda la mano inerte di Nina nella sua. Probabilmente in quel momento i suoi occhi hanno evitato quelli di Clotilde, e comunque è sicuro di non averli cercati.
Gli sembra che al cimitero Clotilde non ci fosse, che li abbia raggiunti a casa sua dopo.
Per l’ennesima volta pensa al dolore di Clotilde, a quanto debba aver sofferto a causa sua e del suo comportamento. Non si capacita che sia andata fino a Saint-Raphaël senza dire niente, solo per vederlo tra le braccia di un’altra ragazza.
Quante volte, nel suo mestiere, si è trovato di fronte a uomini che facevano violenza alle loro donne? Nella stanza degli interrogatori cercavano in lui una solidarietà, una complicità del tipo: «Tra uomini ci capiamo, in certi casi una bella ripassata ci sta tutta» o «Non ho controllato bene la mia forza, mi ha provocato fino a che sono scoppiato, sa com’è».
Verso di loro Étienne prova il massimo disprezzo, ma lui non è forse peggio?
Ai poliziotti viene richiesta integrità, ma un uomo in divisa è davvero irreprensibile? No, nessuno ci crede. Sono un po’ meno disgustosi degli altri per il fatto che hanno prestato giuramento? Ma la quotidianità è molto più complessa. Quante volte Étienne o qualcuno dei suoi colleghi si sono augurati la morte di certi mascalzoni? Quante volte processano mentalmente alcuni individui prima ancora che finiscano in tribunale?
L’immagine della macchina che sprofonda nel lago lo assillerà sempre. Fino alla fine dei suoi giorni si domanderà se dentro c’era Clotilde. Certe volte è tentato di tornare al lago e tuffarsi da solo nella notte per sapere la verità.
Ma ha troppa paura, un terrore irrazionale.
Ha visto un film con Harrison Ford e Michelle Pfeiffer che l’ha spaventato, la storia di un marito che uccide l’amante e il cadavere di quest’ultima che giace in un lago vicino alla casa della coppia, i suoi capelli biondi che danzano nell’acqua, il fantasma della morta incastrato in una macchina che torna a ossessionarli.
Non è riuscito a guardare il film fino alla fine.
Suona il telefono, è la madre.
«Come va?».
«Bene, grazie».
Marie-Laure ha la voce delle giornatacce, la voce da brutte notizie.
«Nina se n’è andata».
Scioccato, Étienne si siede. Le gambe non lo sostengono più. Interpreta “andata” come “morta”, non diversamente da come interpreta “scomparsa” in riferimento a Clotilde.
Da quella sera d’agosto del 1994 non ha mai pensato che potesse essere viva da qualche parte a crescere il loro figlio da sola.
Marie-Laure percepisce il turbamento di Étienne e continua.
«Ha mandato una lettera d’addio a Emmanuel».
“Una lettera d’addio. Allora è morta...”. Avrebbe dovuto rispondere alle sue telefonate. Ciò che gli ha detto l’altroieri avrebbe dovuto metterlo in allarme sulla sua fragilità, la vita di Nina era diventata infernale con quel pazzo.
Étienne trema. È incapace di piangere, di dire una parola. Rimane seduto col telefono contro l’orecchio.
«Emmanuel è venuto da noi stamattina. È fuori di sé. La sta cercando dappertutto».
«...».
«Nina ha scritto la lettera d’addio in tre copie, una per Emmanuel, una per te e una per Adrien».
*
Emmanuel gira in tondo dentro casa.
Se n’è andata senza portarsi dietro niente. Tutte le sue cose erano ancora lì quando è tornato dal lavoro e Nathalie era di nuovo in cucina. Come da sua richiesta, Nina le aveva telefonato quella mattina per scusarsi.
C’era un delizioso profumino di stufato. Aveva fame, era di buonumore. Avrebbero passato una bella serata. Era anche andato in gioielleria a comprare un solitario per la sua mogliettina.
Il giorno prima avevano litigato, lei gli aveva detto che non voleva essere madre, ma a letto avevano fatto pace. A Nina piaceva scopare, voleva farlo ogni sera, era così che lui la teneva in pugno.
Nina? No, Nathalie non l’aveva vista. Alle due del pomeriggio, quando aveva preso servizio, la sua macchina non c’era.
Dove poteva essere da tutto quel tempo?
Il giorno prima era andata e tornata da Lione, oggi avrebbe dovuto stare al chiodo.
Erano passate le ore. Al cellulare rispondeva sempre la segreteria telefonica.
Alle dieci di sera Emmanuel aveva pensato a un incidente. Era andato alla polizia per segnalare la scomparsa della moglie, ma gli avevano detto che era troppo presto.
«Sapete chi sono?».
«Sì, signor Damamme».
«Do da vivere a buona parte di La Comelle, quindi fatemi il santo piacere di far partire subito le ricerche».
Per tutta la notte e la giornata successiva avevano setacciato la città e i dintorni alla ricerca della Polo nera, ma invano.
Poi Emmanuel aveva ricevuto la lettera di Nina spedita il giorno prima da La Comelle.
Aveva accatastato in giardino i suoi vestiti, libri, le sue audiocassette, videocassette, perfino lo spazzolino da denti, e bruciato tutto in un grande falò senza gioia.
Si era tenuta la carta di credito, ma ancora non aveva effettuato prelievi. Il giorno in cui era scomparsa aveva fatto una spesa nel supermercato che frequentava di solito, poi più niente. Che aveva comprato? Emmanuel aveva interrogato le cassiere, ma non se lo ricordavano.
Il suo telefonino era spento ventiquattr’ore su ventiquattro, impossibile raggiungerla.
Aveva già deciso che sarebbe partita? Per chi? Per cosa?
Alla fine aveva contattato due detective privati: «Pagherò quel che c’è da pagare, ma dovete ritrovarmela, possibilmente viva».
Aveva detto loro di appostarsi davanti alle case di Étienne Beaulieu e Adrien Bobin, ma non c’era traccia di Nina né a Lione né a Parigi.
Per il momento.
L’uccellino non ha grandi ali, deve per forza rispuntare o commettere un errore, tornare con la coda tra le gambe e supplicarlo di perdonarla. E stavolta le farà vedere lui.
Rilegge per la millesima volta la lettera che già conosce.
Cari Adrien, Emmanuel, Étienne,
me ne vado. L’ho deciso da sola, nessuno mi obbliga.
Voi due, amici miei, avete illuminato la mia infanzia. Grazie a voi è stata meravigliosa.
Sono stata più che felice di conoscervi, come sono stata più che infelice di perdervi.
Ma così va la vita, pare.
A te, marito mio, auguro tutto il bene del mondo con una persona come si deve, cosa che io non sono più né per te né per me né per nessun altro.
Un abbraccio a tutti e tre,
Nina
Per prima cosa Emmanuel ha pensato a un sotterfugio, Nina si rivolgeva a tutti e tre per sdoganare gli altri due, ma si è rassegnato quando Marie-Laure gli ha confermato che anche Étienne aveva ricevuto la lettera, impostata nella stessa buca di rue de la Liberté nello stesso giorno, prima del ritiro delle 16.30.
Ha cercato di telefonare a Adrien per sapere se l’aveva ricevuta anche lui, ma non gli ha risposto.
Allora è andato in gendarmeria a denunciare l’abbandono del tetto coniugale e ha depositato in uno studio legale una richiesta di divorzio per procura, procedura consueta quando un membro di una coppia sposata sparisce intenzionalmente senza lasciare un recapito. L’avvocato l’ha avvertito che Nina potrebbe chiedere gli alimenti, benché siano sposati in regime di separazione dei beni. In quel caso Emmanuel farà di tutto perché non abbia mai niente.
L’unica cosa che può farlo star bene è immaginarla che muore di fame da qualche parte.
C’è però una prospettiva peggiore: immaginarla tra le braccia di un altro uomo. Mai Emmanuel avrebbe creduto che si potesse stare tanto male. Soffre da morire. Da quando se n’è andata prende antidepressivi, gliel’ha imposto il medico, era in condizioni pietose, non mangiava più, dormiva a tratti e quando si svegliava la cercava nel letto. Ormai dorme sul divano del salotto.
Ha avvertito i genitori, si è fatto promettere dalla madre che l’avrebbe chiamato immediatamente se Nina si fosse fatta viva con lei. Gé gliel’ha promesso, pur pensando in cuor suo che se Nina le avesse chiesto aiuto non l’avrebbe detto a nessuno.