26 dicembre 2017
Louise è seduta con Marie-Laure in cucina. Stanno bevendo un tè, perse nei loro pensieri.
Valentin e Marie-Castille sono tornati a Lione. Paul-Émile, Pauline e i due figli a Ginevra.
La casa si è svuotata. Come ogni anno ognuno ha ripreso la propria vita, ma stavolta Étienne non tornerà. Alla malinconia e alla tristezza dei giorni dopo le feste si aggiungono lo spavento e la vertigine dell’impensabile.
Marc, come sempre quando succede qualcosa che riguarda Étienne, è in garage, dove si è allestito un banco da lavoro. Deve aver trovato qualcosa da riparare.
“Se almeno potesse riparare nostro figlio” pensa Marie-Laure.
Ce l’ha con se stessa, non ha capito niente, non si è accorta di niente, pensava che Étienne fosse solo stanco. E poi in quel periodo dell’anno hanno tutti una brutta cera, si esce poco, si mangia troppo, si beve troppo, si fanno molte cose di troppo. Era talmente contenta di avere in casa figli e nipoti che è stata poco attenta al suo ragazzo.
“Il mio ragazzo” pensa.
Nel cuore delle madri i figli rimangono bambini. Si prendono tutto lo spazio, ma rimangono bambini, le mamme pensano a loro come se fossero appena nati. Si rivede la sera prima dargli il bacio della buonanotte quasi distrattamente, «Buonanotte, caro, a domani». Étienne sapeva che non avrebbe più rivisto la madre, ma l’abbraccio non era durato a lungo: due baci sulla guancia e via a letto.
«E tu davvero non sai dove sono andati?» chiede di nuovo a Louise.
«No. So che Étienne aveva voglia di luce e di acqua, immagino che siano diretti verso il mare».
«Forse sono tutti e tre a Saint-Raphaël».
«Forse».
«Étienne adora Saint-Raphaël... Credi che ci telefonerà, che ci darà notizie?».
«Sì, certo» risponde Louise posando la mano su quella della madre.
«E sei sicura che non soffrirà?».
«Sì, mamma, sono sicura».
Marie-Laure osserva le proprie lacrime cadere nella tazza. Poi guarda la figlia, tanto bella e sola. È felice? Ha fatto studi brillanti, ha un lavoro che la appassiona e vive in una solitudine che sembra essersi scelta. “Deliberata”, come si dice oggigiorno.
«Perché non ti sei mai sposata con Adrien?».
Louise è sbalordita che la madre glielo chieda, è un argomento che non hanno mai affrontato. Tutti sembrano essere al corrente della storia che vive con Adrien da quando ha nove anni, ma nessuno ne parla mai. C’è da dire che al minimo accenno Louise si chiude a riccio.
«È per via di tuo fratello?» insiste Marie-Laure.
«No, sono io che non ho mai voluto».
«Perché?».
«A causa di lei».
«Lei chi?».
«Adrien».
*
La vedo per la prima volta nel cortile della nuova scuola. Capisco d’istinto che non la sto incontrando per caso, che ha fatto apposta a piantarsi sulla mia strada come un fiore.
Ha in mano una piastrella, ha appena smesso di giocare a campana, le manca il fiato, è settembre, fa caldo, ha qualche ciuffo di capelli biondi incollato alla faccia. Neanche biondi, quasi bianchi, schiariti dall’estate. Ecco cos’è, una scolaretta dai capelli d’argento. Quando mi guarda arrossisce.
Si chiama Louise, ha nove anni, ma è tutto tranne che una bambina.
È la sorella del mio miglior amico.
Si somigliano, hanno gli stessi occhi azzurri, eppure i loro sguardi esprimono cose opposte. Lui ha occhi vagabondi, lei occhi che cercano la realizzazione.
Mai nessuno mi ha guardata come Louise. E nel momento in cui scrivo queste parole so che più nessuno mi guarderà come lei. Quello sguardo è un’opportunità per me.
Louise intuisce chi sono nonostante il mio aspetto.
Il fratello ce la presenta: «Questa è mia sorella».
«Ciao» saluta lei. Dico come mi chiamo, e già lei non mi crede. Nel modo in cui mi fissa c’è qualcosa che dubita, qualcosa che si impunta sul mio nome, lo sento, è una percezione immediata, non c’è sala d’attesa fra noi.
Louise è una seta preziosa. Louise è anche metallo e porcellana, una lega tra finezza e forza. È indistruttibile, morbida e delicata.
La rivedo spesso. In cortile, il mercoledì a casa del fratello e durante le vacanze. Fa parte della mia vita. Certe volte sembra una di quelle bambole decorative che si mettono sui divani. Louise è anche merletto. Sta seduta in silenzio, immersa in un libro. Le piace imparare, è la sua natura. Scoprire è la cosa che preferisce al mondo.
Quando si accorge che sono nella stanza alza la testa e mi sorride senza abbassare gli occhi, le vengono le guance rosa, poi si rituffa nella lettura conservando il sorriso sulle labbra. Mi sembra di essere il sole di Louise, e quando qualcuno ti vede come un astro cerchi sempre di avvicinarlo e restarci attaccato.
Eppure c’è un muro tra me e lei che per anni mi impedisce di sentire il suo calore: noi tre. Io e i miei due amici ci muoviamo sempre tutti insieme, i nostri panorami affacciano tutti sul terzetto, non abbiamo altre prospettive, siamo un blocco compatto.
Un’estate andiamo in vacanza tutti insieme. Louise, stesa sotto l’ombrellone, mi sorride spesso. La sua bellezza mi turba, ma sono occupata a nascondere agli altri la ragazza che sono. Nel mio atteggiamento, nei gesti, nella voce “faccio il ragazzo”, voce che tra poco probabilmente mi cambierà.
Ho quattordici anni e penso solo a una cosa, il mio pomo d’Adamo. Quando mi verrà? Ancora la protuberanza non c’è, ma fino a quando? Benché sia glabro mi faccio la barba per farmela crescere, anche se paradossalmente la temo come una piccola morte. Perché mi vergogno così tanto di quello che sono? Perché ho l’ossessione di nascondere la mia vera essenza? Col senno di poi penso che se non ci fossero stati i miei due amici avrei finito per suicidarmi.
E che se non ci fosse stata Louise non avrei mai conosciuto l’amore di chi è innamorato.
Una mattina, durante quelle vacanze, mi sveglio e vedo Louise su una sedia a dondolo della camera in cui dormo io. È una bella visione.
La casa è vuota. Tutti se ne sono andati per la giornata tranne noi. È la prima volta che ci ritroviamo da soli.
«Mi ami?».
È la prima domanda che le faccio, perché ancora non ci credo che qualcuno possa amarmi.
«Sì, da quando ero piccola».
«Sei ancora piccola».
«No, ho tredici anni. Hai mai baciato una ragazza?».
«Sulla bocca?».
«Sì».
«No, non ho mai baciato nessuno».
«Hai mai fatto l’amore?».
Sbigottisco.
«Be’ no, visto che non ho mai baciato nessuno...».
«Ti va se ci proviamo?» mi chiede.
«A fare l’amore?».
«No, a baciarci».
Rispondo di sì. Lei si infila sotto il lenzuolo accanto a me, ma senza toccarmi.
«Senti come batte forte?».
Mi prende la mano e se la posa sul seno.
Sento il battito del suo cuore, il calore del suo corpo.
Si spoglia senza falsi pudori, mi offre la sua nudità. Io afferro il suo vestito. Non posso prendere lei, abbracciarla, siamo troppo giovani, goffi, terrorizzati, dobbiamo rispettare una distanza. Percorro il suo corpo con lo sguardo, è bella, la invidio. Mi permetto di toccarla con la punta delle dita, di registrarla. Lei chiude gli occhi, trema, geme, si curva. Ho sempre il suo vestito nell’altra mano, lo stringo forte, mi aggrappo a quella stoffa come a una corda per non cadere nel vuoto provocato dalla paura.
Dopo un bel po’, come alla fine di un lunghissimo corridoio, Louise dice: «Mi accarezzo spesso pensando a te, vuoi vedere come?».
Sbigottisco un’altra volta. Com’è possibile che una ragazza possa essere tanto audace e per giunta fidarsi di me?
Rispondo di sì.
Lei si stende a pancia sotto, gira la testa verso di me e mi guarda. Non ho mai visto niente di tanto bello.
Mi stringo al petto il suo vestito. È come se stendessi Louise sopra di me. Mi spoglio anch’io e le prendo la mano, continuiamo a fissarci. Mi riconcilia con la vita, ci riconcilia, non lo so più, sto talmente bene che ignoro chi sono.
Louise è innamorata, ma chi ama in realtà? E chi di me ha voglia di lei?
Sono spaventata dall’attrattiva che esercito, perché io non ne provo. Le mie “preferenze sessuali”, come si dice, non si rivelano. In quanto femmina dovrebbero piacermi i maschi, sarebbe nell’ordine delle cose, ma niente è coerente, nessuna storia d’amore lo è. E Louise mi sconvolge, mi suscita un’erezione.
Ci addormentiamo insieme.
Mi sveglio quando mi prende in mano il pisello.
La respingo: «No, non toccarmi lì, non è mio».
*
La notte scorsa, al momento di partire, Louise mi ha detto:
«Dato che accompagni mio fratello a morire, vorrei che ne approfittassi per far fuori Adrien una volta per tutte».
«Che frase violenta, Louise!».
«È la vita a essere violenta, io non c’entro».
Louise è diventata chirurga per colpa mia. Quando lo dico mi corregge sempre: «Non per colpa tua, ma grazie a te».
Cerca di convincermi a passare attraverso una transazione ormonale e poi chirurgica.
A diventare quello che sono.
Eludo la questione da anni.
Eludere, tergiversare, rifiutare, rimandare a dopo, mentire, inventare: conosco tutti i sotterfugi a memoria.
Ho paura.
So di essere una donna, è la mia coinquilina. Louise non ha mai voluto vivere con me perché c’era “lui”. Dice che mento a tutti, a cominciare da me stessa, che mi amerà lo stesso quando avrò «le tette e la passera». Quando usa quei termini mi chiudo subito a riccio. Non sopporto la volgarità. Lei lo sa e usa apposta quelle parole per provocarmi. Le ha provate tutte.
Non mi sono mai capita col mio corpo, ma non sono mai riuscita a fare il passo. Rifiuto quella transizione che oggi è alla portata delle “persone come me”, di cui si parla sui media, che sembra quasi semplice. Louise ha cercato centinaia di volte di prendermi per mano e farmi fare quel percorso, ma invano.
Mi ha presentato psicologi ed endocrinologi, ma non riesco a parlare né a prendere una decisione. Si arrabbia quando le cito il medico che ho visto a sei anni o Py: «Il passato è passato, devi guardare avanti».
Può innervosirsi fino alle lacrime. Una volta, stremata, si è messa a picchiarmi dicendo che odiava Adrien e voleva vederlo morire. Mi ha chiamata vigliacca.
È stata la nostra litigata più grossa. Non ci siamo più viste per undici mesi.
*
Sono le otto di sera. Io, Nina ed Étienne siamo seduti a gambe incrociate sul grande letto. Abbiamo trovato una pensione a Savona, una cinquantina di chilometri prima di Genova. Siamo stanchi morti.
Abbiamo posato un vassoio davanti a noi, spalmiamo pesto fresco su fette di pane e beviamo vino bianco, tutta roba comprata in fretta e furia. Étienne ha voluto assolutamente che dormissimo tutti nella stessa camera. Il proprietario della pensione non ha fatto commenti quando ci ha visto prendere possesso dei luoghi in tre. Ci siamo subito messi d’accordo: io nel letto a una piazza e loro in quello matrimoniale.
Nina si è già fatta la doccia. Indossa un brutto pigiama di cotone rosa. Étienne l’ha presa in giro quand’è uscita dal bagno: «Madonna, che orrore. Sembra il regalo di Natale di una vecchia zia». Abbiamo riso come prima, come quando eravamo piccoli, dormivamo a casa di Pierre Beau e ci volevamo bene.
Nina gli ha risposto che viveva sola da così tanto tempo che dormiva nuda, ma che davanti a noi non le andava.
«Domani compreremo dei vestiti... e anche delle carte prepagate» dice Étienne. «Devo chiamare Valentin».
«E io il mio fidanzato» dice Nina.
«Se hai un fidanzato brucia quel pigiama. E questo che avrebbe più degli altri?».
«È normale e gentile. In più è bello».
«Cosa sai di lui?».
Non ho potuto fare a meno di chiederlo. Étienne e Nina mi interrogano con lo sguardo.
«Perché, hai qualcosa da dirci?».
«No».
Nina cambia tono.
«Stai mentendo. Lo so quando menti. Cioè, lo so da quando ho letto Bianco di Spagna».
«...».
«Sai qualcosa di Romain?» insiste.
«Chiedigli perché è andato via da Marnes-la-Coquette».
Lei aggrotta le sopracciglia, non capendo dove voglio arrivare.
«Come sai che lavorava a Marnes?».
«Lo so».
«In fondo sei un mostro. Vuoi sabotare la mia vita, vero?».
«Per niente».
«No? Allora perché fai queste allusioni?».
«Perché mi hanno detto delle cose».
«Che cose?».
«Che era stato licenziato da quella scuola perché aveva avuto problemi con un’alunna, e che il caso era stato più o meno insabbiato».
«Chi te l’ha detto?».
«Un collega al giornale».
«Te l’ha detto spontaneamente? “A proposito, il nuovo preside della scuola media Perec ha avuto problemi con un’alunna...”».
«No, gli ho chiesto informazioni su di lui».
I toni salgono. Leggo nel suo sguardo che ce l’ha con me, che niente sarà più come prima.
«E perché avresti chiesto informazioni su di lui?».
«Perché ti ho visto entrare in casa sua».
«Mi hai seguito?».
«Sì».
«Sei fuori di testa!».
Étienne cerca di placare le acque.
«Oh, oh, datevi una calmata».
«Chiamalo» dico io. «Così ti racconterà lui quel che è successo... E lo saprai con certezza».
«Certezza? Ma pensa a te! Chi di noi tre sa qualcosa con certezza?».
«Vogliamo farla finita?» stempera Étienne. «Guardiamoci una serie!».
«Quale?» chiede Nina.
«Breaking Bad» propone Étienne.
«Mai vista».
«Neppure io» dico.
«Siete due pivelli... È fantastica».
Étienne sparisce in bagno dopo aver mandato giù una sfilza di pasticche. Io e Nina ci guardiamo a lungo. C’eravamo tanto amati.
«Non ti ho mai chiesto scusa per quello che è successo a Parigi, al Théâtre des Abbesses... Il mio comportamento è stato inqualificabile. Ancora oggi mi vergogno».
«E io non ti ho mai chiesto scusa per non averti vista. Credevo di conoscerti... ti pensavo un fratello, mentre eri una sorella silenziosa. Una sorella che imbavagliavi».
«Ecco, ce lo siamo detto».
«Sì».
Nina si alza, si infila le scarpe da ginnastica senza allacciarle, si mette il giaccone di Étienne sulle spalle ed esce.
«Torno subito» dice.
*
Scende al pianterreno e trova i proprietari della pensione davanti alla televisione. Sobbalzano quando la vedono dietro il divano. Nina giunge le mani in segno di scusa, poi dà all’uomo un biglietto da venti euro facendogli capire che vorrebbe telefonare. Étienne è talmente in paranoia con la moglie commissario che ha detto a tutti di tenere spenti i telefonini e non prelevare soldi al bancomat, «Per nessun motivo... sennò ci lascio la pelle» ha scherzato.
«Si tenga pure i soldi» dice la donna in un francese perfetto.
Con lo stesso gesto le indicano un telefono fisso in un salottino attiguo alla cucina. Nina fa il numero di Romain mentre l’uomo prende il telecomando e alza il volume.
Romain risponde subito. Che gli dirà? Gli chiederà spiegazioni sulla sordida storia di Marnes per farsi dire con “certezza” come stanno le cose? Con Romain sta bene. Non le va di saperne di più. Per una volta che qualcuno le fa un po’ perdere la testa quando non ci credeva più...
«Sono io» dice.
«Come stai? Dove siete?».
«In Italia...».