28 dicembre 2017
Étienne non riesce a dormire. Ha male dappertutto. Sente che i pensieri cupi gli minano il corpo e la resistenza.
Ripensa alla confessione di Adrien nell’area di servizio. «Virginie è la mia identità. Posso cambiare l’aspetto fisico di Virginie, ma non la sua identità».
Étienne aveva agito male, all’epoca. Troppo facile approfittarne, per quanto inammissibile. La sera del 17 agosto 1994 era la prima volta che dormivano senza Nina, non era mai successo dalla formazione dei tre, in mezzo c’era sempre lei. Da quando erano piccoli Étienne percepiva la diversità di Adrien, sentiva che cercava, che nascondeva qualcosa. Aveva spesso notato che lo guardava e subito distoglieva lo sguardo, tanto che si era chiesto se fosse gay, nonostante l’attrazione che provava per sua sorella.
Quella spaventosa sera era tornato a casa di Nina ubriaco, con il bisogno di aggrapparsi a qualcosa, un filo di speranza. Aveva trovato Adrien in giardino, pallido e smarrito quanto lui. L’aveva attirato in camera di Nina, Adrien non aveva opposto resistenza, si era sdraiato accanto a lui senza aprire bocca. Dei tre, Étienne era il leader, quello a cui non si rifiutava niente. Aveva trascinato Adrien consapevolmente, ora lo capisce in piena coscienza. Non l’aveva fatto per disperazione o solitudine, ma perché ne aveva voglia. Si erano accarezzati e baciati al buio. «Tra l’amicizia e l’amore c’è solo un passo» era la frase che ripeteva sempre Marie-Laure e che li metteva a disagio. «Piantala, ma’» rispondeva lui bevendo la cioccolata.
Aveva percepito la ragazza nascosta in Adrien? L’aveva amata senza saperlo?
Non avevano mai parlato di quella notte, avevano continuato le loro vite come se non fosse esistita. Étienne aveva minimizzato: giochini infantili, storie da segaioli appena maggiorenni.
Ma Adrien come se l’era vissuta?
Leggendo Bianco di Spagna Étienne si è vergognato e al contempo si è sentito tradito. Le stesse sensazioni di Nina, vergogna e tradimento, ma con un significato del tutto diverso.
Anche Étienne conosce a memoria alcuni brani di quel maledetto romanzo. Il narratore si chiama Sasha. Mancano pochi giorni all’intervento di “riassegnazione chirurgica del sesso”, un termine barbaro, quasi una formula matematica che significa “diventare ciò che si è fin dalla nascita”. Sasha trascorre una notte con uno sconosciuto, un’unica notte d’amore, accidentale.
Siamo stesi uno contro l’altro. Non ho mai toccato il corpo di un uomo, lui neppure. Lui va a letto con le ragazze, io con Louise. Siamo giovani, senza esperienza. C’è una reciprocità. È lui a fare il primo passo, a mettere una mano su di me, io non avrei mai osato. Lui è l’oceano, io il granello di sabbia. Sebbene ci troviamo nella stessa stanza non abitiamo nello stesso mondo. Lui è il sovrano, io uno dei tanti sudditi. Quando mi posa le dita sul collo penso che voglia strangolarmi. Non so perché mi venga in mente che voglia farmi fuori. Nessuna dolcezza, abbiamo modi scabri e inadatti. Non ci compenetriamo nella notte, restiamo l’uno sull’orlo dell’altro. Quando le sue labbra toccano le mie mi rendo conto che sta succedendo davvero. Ancora oggi sento il sapore della sua lingua nella mia bocca, la sua saliva salata e alcolica. Il corpo a corpo va avanti a lungo, molto a lungo, siamo entrambi padroni delle ore che ci vengono regalate, come una coppia che fa l’amore per l’ultima volta, due condannati a morte coscienti che l’alba metterà la parola fine a una storia mai cominciata.
“In fondo il giorno del funerale di Pierre Beau ho tradito Clotilde, Adrien e Louise tutti in una volta” pensa. “Oltre che il nonno di Nina sono stati seppelliti il mio onore e la mia integrità”.
Quando ha letto quelle righe voleva ucciderlo. Come si permetteva di parlare di loro, di lui? Qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo, capire chi era.
Il ricatto che aveva fatto a Adrien, quando gli aveva detto che se non avesse testimoniato avrebbe rivelato a tutti l’identità dell’autore di Bianco di Spagna, era un bluff.
“Meno male che c’è Valentin” pensa.
L’ha chiamato poco fa, appena arrivato a Napoli, da una cabina telefonica. Valentin stava già dormendo, ma con il cellulare in mano.
«Papà...» ha mormorato contento.
È l’unico al mondo che veda Étienne come una bella persona, l’unico che abbia reso Étienne una bella persona.
L’anno in cui era andato a Parigi a studiare Nina ascoltava una canzone troppo sdolcinata per i suoi gusti, Juste quelqu’un de bien.
Prende la mano di Nina addormentata e la stringe forte. Soffoca le lacrime nel cuscino. “Un uomo non piange mai”.
*
Un uomo non piange mai. Nina ripensa al titolo del romanzo di Faïza Guène che le è piaciuto tanto e che ha riletto più volte. Sta facendo finta di dormire mentre la mano di Étienne stringe la sua. Non vuole fargli capire che è sveglia e lo sta sentendo piangere in sordina. Fa la morta, mentre quello che probabilmente sta per morire è lui.
Pensa “probabilmente” perché si rifiuta di crederci. Ci sarà un miracolo, un guizzo di vita, un tentativo di cure, una proroga. Nella vita reale Étienne non può morire.
Fa la morta quando la sua vita è appena all’inizio. A quarantun anni ci sono tutte le premesse di un rinnovamento. Non è mai troppo tardi, come dice la canzone.
Quale canzone? Quella che avevano scritto con Adrien quando avevano tredici o quattordici anni. Non ricorda più bene le parole, era qualcosa di scadente tipo “Non è mai troppo tardi per guardarsi in uno specchio, non è mai troppo tardi anche quando tutto ti sembra nero...”. Da quando c’è stato Emmanuel ha capito che non si costruisce niente con qualcuno o per qualcuno, che un’esistenza si fonda su se stessa e che se per caso si incontra un’anima un po’ gemella è un regalo. Da quando c’è Romain, per la prima volta ha la sensazione di non essere più disabitata. L’ha sentito anche con Lili, ma con Romain è diverso, è il suo innamorato, forse non si lasceranno, forse resteranno insieme. Nina ha la certezza che siamo fatti di “forse”.
Sente Étienne scivolare nel sonno. La sua mano allenta la stretta, il suo respiro si calma. Lo ascolta, sta dormendo.
*
Sento il respiro di Étienne. Sta piangendo. Non oso muovermi, non sopporterebbe che cercassi di consolarlo, è troppo orgoglioso. Con lui bisogna sempre fare finta di non accorgersi di ciò che prova veramente. È come quelli che fanno i gradassi, belli da guardare, ma dei quali non si sa mai cosa provino, perché fanno di tutto per nascondersi dietro una facciata.
La configurazione è la stessa della pensione di ieri sera: Étienne e Nina nel letto matrimoniale, io nel letto singolo, quello del figlio, del terzo.
Abbiamo trovato un albergo sul lungomare, vicino al cosiddetto Lido Mappatella. Abbiamo mangiato linguine alle vongole e bevuto una bottiglia di delizioso vino bianco. Più che nel suo ultimo viaggio, sembra che stiamo accompagnando Étienne in vacanza al mare.
A un certo punto si è tolto i vestiti e tuffato in acqua urlando. Non so bene se fossero grida di gioia o di disperazione, forse un po’ tutte e due. Nina ha strillato: «Sei matto? È gelida!». Ha cercato di dissuaderlo, di farlo tornare a riva, ma Étienne l’ha scongiurata: «Fammi essere matto, per piacere».
Mentre nuotava, Nina non gli ha staccato gli occhi di dosso. Io sono andata di corsa a prendere due asciugamani in camera. Quando è uscito intirizzito l’abbiamo frizionato a lungo con un asciugamano per uno. Tremava, ma sembrava felice, sorrideva, aveva il corpo arrossato dal freddo, ma era sempre pallido in viso. Era la prima volta che lo vedevo a torso nudo dal giorno dell’addio al nubilato di Nina. Carnagione, spalle, pancia e peli erano quelli di un adulto.
“Oggi abbiamo quarantun anni” ho pensato. “La nostra generazione voleva cambiare il mondo, ma abbiamo fallito”.
Tornati in albergo, Étienne ha mandato giù una caterva di medicine e si è infilato in un bagno caldo, io e Nina abbiamo svuotato il minibar e bevuto bottigliette mignon a caso, senza guardare le etichette. Nina è saltata sul letto, io ho messo un po’ di musica, una playlist improbabile.
Dal bagno Étienne ha urlato: «Avete sempre gli stessi gusti di merda!».
Siamo come quei fratelli e sorelle che si ritrovano dopo una separazione e hanno esattamente gli stessi riflessi di prima. Basta liberare gli adulti che sono stati bambini insieme e subito torna a galla l’infanzia.
Nonostante gli ordini di Étienne riaccendo il cellulare di nascosto per guardare le mail e avere notizie di Nicola.
«Nina?».
«Sì?» sussurra lei.
«Ho appena ricevuto una mail strettamente riservata dal giornale. Le ossa trovate nella macchina appartengono a un’unica persona... una donna».
«Clotilde?» mormora Nina come se avesse paura di pronunciarne il nome.
«È troppo presto per saperlo».
«Secondo te se è lei... troveranno anche le ossa... del bambino?».
«Dopo tutti questi anni non credo... Un embrione è fatto di cartilagine, non di ossa».
«È orribile».
«Vi sento» sbuffa Étienne, «non sono ancora morto... Se è lei ritroveranno cranio, bacino e femore del feto. L’acqua dolce è meno corrosiva dell’acqua di mare, e il corpo dev’essere stato protetto dalla melma... Sono ventitré anni che non penso ad altro».