1° gennaio 2018
Étienne entra in una chiesa. È solo. Accende una candela. Non sa comunicare con Dio, non ha mai saputo farlo. È come col padre, non riesce a comunicare con quelli a cui non crede.
Ricorda quanto c’è rimasto male il giorno in cui ha telefonato ai genitori per annunciare la grande notizia. Aveva risposto Marc, ed era ciò che Étienne sperava in un angolo recondito del suo cuore.
«Papà, reggiti forte, ho superato il concorso!».
«Che concorso?».
Silenzio. Étienne aveva avuto la sensazione di cadere nel vuoto. Era riuscito a dire:
«Da tenente di polizia... Non siamo in molti ad averlo passato... Significa che faccio parte dei migliori».
«Ah, quello... Bravo, congratulazioni, ti passo mamma».
Una semplice formula di cortesia, “congratulazioni” non vuol dire “sono fiero di te”.
E poiché il padre non aveva mai creduto in lui, lui aveva finito per non credere più nel padre. Se n’era distaccato come una nave dalla bitta d’ormeggio.
Quando aveva chiamato per annunciare la nascita del figlio, sentendo la voce di Marc aveva riattaccato e rifatto il numero finché non aveva risposto Marie-Laure.
«Si chiama Valentin, mamma, pesa quattro chili, è bello, con gli occhi azzurri».
«Forse è un po’ presto per sapere il colore degli occhi, tesoro».
«No no, te l’assicuro, ha gli occhi azzurri».
Stamattina, una volta richiuso il pesante portone di quella chiesa italiana, ha solo voglia di lasciarsi una lucina dietro, come una traccia del suo passaggio.
Gli fischia l’orecchio sinistro. Da piccoli Nina diceva che quando fischia il sinistro, cioè quello dalla parte del cuore, vuol dire che qualcuno sta parlando bene di noi. «Che cazzata, Nina».
Chi sta parlando di lui alle sei del mattino? Marie-Castille e Valentin a casa?
Ieri sera ha chiamato la moglie e il figlio.
«Buon anno, vi voglio bene».
«Quando torni?» gli ha chiesto Marie-Castille.
«Non torno».
«Nina ti ha detto di Clotilde Marais? Il caso è chiuso».
«Sì, lo so».
È a tre vie dal mare, ne sente il respiro. Non è mai stato tanto sicuro di sé.
Alcuni passanti che stanno tornando a casa gli gridano: «Buon anno!».
Ha trascorso forse il più bel Capodanno della sua vita. Come stabilito, loro tre si sono isolati in un angolo di spiaggia con lo stereo, lo champagne, il whisky, una pagnotta alle erbe aromatiche e delle olive. Non avendo capito quando sia scattata la mezzanotte, non avrebbero più cambiato anno. Fino a quando il cielo non ha cominciato a schiarirsi hanno ballato sulle note della sua musica, Spacemen 3, Sonic Youth, Radiohead...
Un taxi si ferma alla sua altezza. Étienne ha trovato un unico volo Palermo-Parigi.
All’aeroporto quasi tutti i banchi di check-in sono chiusi, trova solo una hostess che gli registra il bagaglio e gli dà il biglietto. Si imbarca poco dopo e si addormenta con la testa contro l’oblò. È la prima volta che non sogna Clotilde, che lei lascia in pace il suo sonno.
All’accettazione gli chiedono un documento, poi lo indirizzano verso la camera 21. Posa sul letto il ritratto che gli ha fatto Nina la sera prima, una foto di Valentin e Marie-Castille, una della madre con Louise e Paul-Émile, una di loro tre al concerto degli Indochine del 1994.
«Dio buono, combatti» aveva detto la madre di Clotilde. Da allora quelle parole si agitano in lui come un animale rabbioso.
Apre il nécessaire da toilette, tira fuori le medicine, le prende, si stende e chiude gli occhi. Non sente più dolore. È nel cortile della scuola Pasteur in attesa del verdetto, cioè del nome del maestro, momento cruciale che Bianco di Spagna ha debitamente registrato: Quella mattina vedo solo loro, come se avessero ingoiato la luce, come se gli altri alunni intorno a noi fossero comparse. E scelgono me, lei sceglie me, mi prende la mano.
È la festa della Musica, loro tre hanno quattordici anni, stanno dando un concerto su un marciapiede, Nina canta, provano una gioia profonda, interiore, un misto di paura e felicità assoluta, il nirvana. Mai c’è stata così tanta gente e così tanti applausi nelle strade di La Comelle. Vanno in bicicletta, in skateboard, registrano se stessi su un mangianastri, nuotano, si filmano con la videocamera fregata al padre, Étienne fa l’amore, balla, c’è il sole, i ricordi dell’estate sono sempre i primi, guarda la sorella di nascosto, mixa, si rimette un ciuffo di capelli dietro l’orecchio controllando che le ragazze lo guardino fare il gesto, sa di essere bello, sa di “bere la luce”, come è scritto in Bianco di Spagna.
Subito prima di scivolare nel sonno lascia un fiore sulla tomba di Clotilde. È solo e senza voce.
Si addormenta.
Sogna di nuotare con il figlio, si allontanano dalla riva, è piacevole, ma poco a poco diventa angosciante, dice a Valentin di tornare indietro, «No, papà, resto con te».
Viene svegliato da una sconosciuta in camice bianco che gli posa una mano sull’avambraccio, ha una voce gentile, un tono leggero ma sicuro di sé.
«Buongiorno, signor Beaulieu, sono stata avvertita del suo arrivo, come si sente? Il professore ha ricevuto il suo fascicolo, l’operazione è prevista per il 3. Domani faremo gli ultimi esami e vedrà l’anestesista. Le lascio qualche modulo da riempire. Sua sorella ci ha informato che non desidera essere rianimato qualora incontrassimo un problema durante l’intervento, dovrà firmarci una liberatoria. Ha bisogno di qualcosa?».
«No».
«La cena sarà servita alle 18.30, segue una dieta particolare?».
«No».
«Allergie da segnalare?».
«No».
«Sua sorella ci ha detto che non desidera ricevere visite. A parte lei, qualcuno sa che si trova a Villejuif, all’istituto oncologico Gustave Roussy?».
«No. Volevo allontanarmi da Lione».
«Un’ultima cosa. Su questo modulo dovrà specificare il nome delle persone da informare in caso di emergenza. È preferibile metterne più d’una».
«Nina e Virginie».
«La prego di indicare i nomi completi, possibilmente corredati dai numeri di telefono fisso e cellulare».