Rinascita

Tutto comincia dal giorno del nostro incontro: abbiamo vent’anni. Un corso universitario a Reims. Siamo entrambi lì per caso: lei perché segue suo padre prefetto, io perché non seguo i miei genitori all’estero.

Béatrice e io abbiamo fatto quasi tutti gli studi universitari insieme. La facoltà di Diritto e Scienze economiche di Reims ha sede in un vecchio edificio che accoglie anche un ospizio per anziani. A sinistra dell’ingresso ci sono loro. A destra noi studenti. Tra i due pensionati c’è la cappella. La coprono con un baldacchino nero ogni volta che uno degli ospiti di sinistra lascia questo mondo. Come passatempo, tutte le mattine ci osservano passare, rimpiangendo il tempo che fu. La distanza tra noi è immensa: loro non aspettano più niente, noi tutto.

Nel 1969 la nostra è una facoltà di estrema sinistra. Frequento poco i corsi. Trascorro la maggior parte del tempo nel piccolo caffè lì vicino. È gestito da un alcolista pentito e da sua moglie, agghindata con una parrucca mora e un completo rosa shocking. Si sincerano che le partite a flipper o a dadi siano innaffiate più da limonate che da birre. Qualche volta, in occasione delle assemblee, vado in facoltà (che è in sciopero) a votare per alzata di mano la continuazione del movimento. Il tempo passa senza che succeda niente d’importante. Ripeto il primo anno. Mi sarei potuto trascinare così per tutto il resto degli studi.

Un giorno noto una ragazza alta e bionda. La sua andatura, insieme all’uniforme costituita allora da jeans, dolcevita aderente e sigaretta, non la fa passare inosservata. L’indomani i residenti dell’ospizio sono più numerosi all’ingresso: gli studenti stanno combinando qualcosa. La bella è lì, con dei compagni muniti di rotoli di carta. Ferma gli studenti perché firmino una petizione. Mi avvicino al suo splendore, lei m’invita a firmare per interrompere lo sciopero: lo faccio subito, arrossendo. Divertita, mi porge un rotolo affinché anch’io possa raccogliere le firme. Da quel giorno non ci siamo mai lasciati. Da quel giorno io esisto.

Discuto con Béatrice. Priva di preconcetti politici, difende ciò che le sembra ragionevole e ride di tante cose che fino ad allora a me sembravano piuttosto serie. Vede la vita come una commedia umana: io la percepisco piuttosto come una tragedia. Ci accapigliamo per queste divergenze, ma la sera mi tiene accanto a sé. Presto mi presenta ai suoi genitori, nel sontuoso palazzo del prefetto. Rischio di rovinare tutto. La signora moglie del prefetto si trova nel suo giardino alla francese. Upsa, il mio cane, la prende di mira, la fa cadere in mezzo al roseto e le lecca la faccia. La signora però mi propone di tenerla lì, perché si goda il giardino. In questo modo, penso, può controllare sua figlia. Acconsento: il mio alloggio di otto metri quadri non soddisfa Upsa, che vi resta chiusa tutto il giorno; i miei impegni di portiere notturno in un albergo e di piazzista – vendo enciclopedie e abiti da uomo nei quartieri operai di Reims, Troyes e Chalons – mi lasciano poco tempo per gli studi e ancor meno per lei. D’ora in avanti trascorreremo tutti i week end in prefettura.

Mi riservano la camera da letto del generale de Gaulle, con il suo immenso letto costruito su misura. Béatrice mi raggiunge a notte fonda. La mattina mi porta la colazione a letto. È buffa. Crede di prendere i genitori per i fondelli. Fino al giorno in cui la mia incantevole futura suocera si presenta nella nostra camera con un sorrisino e chiede alla figlia di raggiungerla, di grazia.

Più della metà della nostra giornata trascorre in quel letto, dove prepariamo il nostro avvenire. Decidiamo di fare domanda per Scienze politiche, perfino per l’ÉNA, la prestigiosa École Nationale d’Administration. Mi do un gran daffare.

Durante le vacanze estive porto Béatrice nella mia Corsica. Siamo i primi della nostra generazione a vivere insieme senza essere sposati. I nostri fratelli maggiori hanno qualche difficoltà ad adattarsi alla cosa.

Spesso ci appartiamo nella macchia, e stentiamo a rispettare gli orari di mia nonna. Trascorriamo la notte sulla spiaggia deserta di Capo di Feno, tra il tepore della sabbia e il rumore della risacca, intorno a un piccolo falò. Ogni tanto raggiungiamo la mia famiglia nella casa di Ajaccio, dove mal si adattano alla nostra promiscuità noncurante. La mia cara mamma ci rimprovera di educare un po’ troppo precocemente le mie sorelline, Valérie e Aléxandra, ultimogenita di appena dodici anni.