Ospitalità marocchina
Laetitia mi raccomanda di passare i sei mesi brutti di Parigi sotto cieli più clementi. Abdel suggerisce Marrakesh, dove il clima d’inverno è secco.
Ha «organizzato» tutto. All’arrivo ci attende una splendida Mitsubishi messa a nostra disposizione da uno dei suoi amici, il re del pollo arrosto marocchino. L’appartamento previsto, invece, si è volatilizzato.
«Non c’è problema, ho un indirizzo».
Ci facciamo strada sulla piazza Jamaa el Fna. Mi spinge sull’acciottolato scomodo e, quando ci blocchiamo, bussa alla porta di un edificio anonimo. Una «bionda» ci accoglie nel suo riad, la casa di corte tradizionale; abbiamo diritto a mille salamelecchi: la donna ci ha visto in televisione la sera prima in una replica di À la vie, à la mort, il documentario prodotto da Mireille Dumas. Abdel fa il galletto; io chiedo di essere messo a letto, sfinito dal viaggio. Mi sistemano nella grande stanza al piano terra; le moucharabieh, le finestre a grate istoriate, lasciano entrare il freddo. Abdel reclama il riscaldamento.
È andato a scaricare la macchina. Un’ora dopo non è ancora rientrato.
Lo chiamo al cellulare. «Abdel, dov’è finito?»
«Nessun problema, solo una cosuccia da sistemare, arrivo».
Tipica risposta di Abdel quando è nei guai. Mezz’ora dopo: «Sono alla polizia; ne ho ancora per un minuto».
La cosa non mi convince.
«Devo intervenire?»
«No, no, non c’è problema».
Intanto a me sono venuti i dolori. Dopo un’eternità il malandrino si presenta tutto arzillo, la mano destra fasciata.
«Abdel! Cos’è successo stavolta?»
«Niente, al parcheggio mi è capitato un rincoglionito che mi ha dato dell’algerino. Non mi ha aiutato e non ha avuto la mancia!»
Incoraggiato dagli amici, il parcheggiatore ha tentato di alzare le mani su Abdel. In cambio si è preso un violento uppercut. Il volto gli si è riempito di sangue e gli è schizzato via qualche dente.
«Uno mi si è piantato nel pugno» dice ridendo Abdel.
«Ma perché ci ha messo così tanto?»
«Perché quello stronzo mi ha fatto portare alla polizia. Ho mollato 500 dirham al commissario e così nei guai ci è andato lui! L’ho denunciato, passerà due settimane in galera».
Il giorno dopo tutta la tribù del disgraziato viene a chiedere perdono al giustiziere, il quale, nonostante i miei appelli alla clemenza, rifiuterà.
Per darmi la buonanotte spegne la luce dicendo: «Tra qualche ora la stanza si riscalderà; io vado a scaldarmi con la bionda».
«Abdel, non faccia l’idiota, non è sola».
Mi risveglio udendo un ansimare furioso, inframmezzato da grida. Poi più niente. Poi ancora.
«Come ha passato la notte?» chiede Abdel la mattina dopo.
«Un disastro, o una merda, come preferisce!»
Lui, invece, ha il sorriso dei giorni migliori.
«La mia è stata calda!»
«Ma andiamo, Abdel! Non era sola!»
«Be’, quel coglione non avrebbe dovuto addormentarsi».
«Ma si rende conto del baccano che avete fatto?»
Guardo la colpevole; è imbarazzatissima, ma cerca di mantenere una dignità. Abdel, con un’espressione innocente stampata in faccia, mi informa: «Signor Pozzo, lo sa che la signora si sposa, la prossima settimana?»
Fatico a mantenermi serio.
Mentre aspettiamo di trovare un appartamento ammobiliato, decidiamo di visitare il paese. La traversata dell’Atlante innevato è un’impresa epica. «Abdel, se la strada è scivolosa deve rallentare prima delle curve e controsterzare quando la macchina slitta». Lui fa esattamente il contrario e andiamo a sbattere contro il muro di neve ghiacciata; il paraurti deformato blocca la ruota. Abdel lo raddrizza con il cric e riparte senza dire parola, offeso.
Dopo Ouarzazate costeggiamo la bella oasi di Draa. Abdel si diverte con le dune del deserto. E naturalmente riesce ad arenarsi. Ci vuole l’aiuto di tre cammellieri e dei loro animali per tirarci fuori dalla sabbia. «Forte, eh?» commenta Abdel.
Risaliamo verso Fes, splendida e appassita, e procediamo sino al Mediterraneo seguendo la frontiera algerina, Saïdia e la sua grande spiaggia. Abdel prende una stanza nell’unico albergo riscaldato. Da lì raggiungiamo un locale che vende alcolici. Gazzarra assicurata per tutta la notte. Abdel non si fa pregare.
Grande sorriso alla receptionist. Commento: «Abdel, vedo che non perde un’occasione».
«Ma cosa dice? Questo è un posto serio» risponde offeso.
Pranziamo in una capanna sulla spiaggia. «In estate duecentomila MRE, i Marocchini Residenti all’Estero» precisa, «piombano qui gonfi di grana con le loro belle BMW e Mercedes, e tutte queste bettole fanno il pieno!»
Mi sembra di vederli, mentre contano le banconote.
Avremo in seguito l’occasione di tornare quattro volte a Saïdia, di incontrare il gran wali (il prefetto), i caid (governatori), i banchieri e, soprattutto, la bella receptionist! Amal diventerà la moglie di Abdel. Oggi hanno tre figli.
Ritorno a Marrakesh, dove ci stabiliamo nei nostri quartieri invernali.
*
«Clara,
in questa bella città i dolori sono scomparsi. Sopravvivo, drogato. Galleggio, lo spirito prende il largo insieme al corpo. Le volute dell’hashish cancellano ogni imperfezione.
Al parco le palme si piegano mollemente alla brezza del tiepido inverno. L’aria è cristallina; mi piace respirare questa freschezza con i polmoni sballati. Nella memoria calcinata è comparsa una luce. Ho fissato a lungo un deserto di dune calde. Sono percorso da un palpito che è come il fremere della sabbia. Mi tuffo in questo nuovo torpore.
Sono accomodato a un tavolino di un caffè. Tutto è confuso. A volte sui miei occhi cala il buio e per qualche istante scompaio. Rinvengo su un volto. Le belle ragazze mi passano davanti, stupite e un po’ turbate. Mi sforzo di trattenerle con un sorriso. Ti vedo in mezzo a loro, sorrido anche a te. Vado alla deriva. Sono rapito dalla mia realtà, così impermanente. In questi momenti di ambiguità, l’istante scompare. Le distanze si accorciano, i presenti si allungano; i ritmi si mescolano, giganteschi o effimeri. Confusione snervante. Sembra di stare sulle nuvole. Mi addormento al sole. Non distinguo più il simultaneo dalla sequenza. Sono approssimativo. Non è una forma di follia: piuttosto, di abbandono. La tensione indebolita cancella le mie impronte; forse alla fine è questa, la libertà. Sono libero, non sono più. Il limbo dev’essere questa carenza. La Perfezione».