La città in rosa

Una marocchina accarezza, con aria distratta, la coscia di uno straniero, triste creatura persa in un illusorio altrove. Questo bel popolo finirà forse per rovinarsi nella nostra società senza punti di riferimento? Qui tutte le case sono munite di antenne paraboliche e delle loro bugie.

Sapete che qui il tempo praticamente non esiste? Un incontro casuale decide il da farsi. Una lunga fantasticheria accompagna l’ombra delle palme. Dio deciderà per tutti quando sarà il momento. Perché rincorrere gli istanti? Piccoli niente scandiscono questo tempo discontinuo.

Una cicogna sale lentamente nell’aria pigra.

*

Basterà soffrire tutti insieme nella riprovazione muta degli dèi per rimanere innocenti? Esiste un’età indefinita che il male non potrà raggiungere? Il regno dell’indolore cancellerà i martiri.

*

Mi sono tenuto al fianco donne senza parole affinché il loro profumo mi tenesse in vita.

Sento una debole speranza nello sguardo impietoso di un bambino. Il suo interrogativo è il pegno della mia esistenza. Accenniamo a un sorriso, vorrei aiutarlo. Come osano proporgli il bisogno, il paradiso dei bisognosi, come unico orizzonte? La frugalità è il tuo vero tesoro.

*

Amare l’altro senza nome, senza che affiorino preoccupazioni, sopravvivere nell’atonia del deserto sulla tomba del nomade? Qui nessuno ha vissuto, le ere sono trascorse come l’azzurro slavato del suo sepolcro; le rughe nascoste dalla maschera, sino alla caduta improvvisa dell’ultima sabbia. Rabbrividisco sotto il sole bruciante; cicogne si sparpagliano qua e là in cielo; non è troppo tardi.

*

I grappoli gonfi della buganvillea, la cascata scarlatta delle rose rampicanti, il sussurro della fontana di mattonelle smaltate color ocra, l’ombra tremolante degli ulivi saranno l’incanto dei miei giorni.

E smetterò di ribellarmi.

Mi detesto già, per questo compiacimento. Non può esserci guarigione; bisogna restare nella dissonanza, il grido a squarciagola del bambino che soffre, il pianto rauco della madre straziata, l’urlo dell’uomo evirato. Ho bisogno di medicare il mondo. Andrò compassionevole nei bassifondi a confortare i morenti, ad accogliere gli orfani, a placare i ribelli. Sognerò tra suoni che svaniscono. All’alba il brusio degli sconosciuti mi troverà già pronto. Sceglierò dalla tavolozza dell’ingiustizia il gesto gratuito che darà pace alla mia giornata.

*

Sento che amo, sempre. Lo slancio verso una sconosciuta mi colma di tristezza. Ogni mattina una bella donna dai seni fermi passa davanti alla mia palma senza guardarmi. Si raddrizzi, giovane signora. Un’altra volta è lo sguardo di giada di una berbera, che sostengo con intenzione fino a quando i lacci dell’abitudine rompono il contatto. Ancora, rivolgo parole incoerenti a una russa che si allontana sorridendo. La malìa femminile mi dona serenità.

*

Stamattina ho il cuore leggero. Ho voglia di partire. Sono nuovo. La bella moschea di Koutoubia mi sovrasta. Si alzano nuvole di polvere. La stretta dei dispiaceri si allenta. Partecipo alla preghiera dell’imam. I fedeli, troppo numerosi, s’inginocchiano sul marciapiede. I mendicanti accoccolati tendono la mano, ognuno preso nel suo incantesimo. Seguo con gli occhi il lustrascarpe annunciato dal suono della sua cassetta. Un cantastorie scalcinato dalla barba bianca riesce a radunare gli astanti. Di quando in quando un ascoltatore alza la mano con un grido e qualche moneta; il rituale sempre ripetuto della promessa li unisce tutti. Una decina di vegliardi ciechi salmodia all’unisono la questua, gli occhi rivolti al cielo. I neri Gnawa, discendenti di schiavi, cadono in trance e rinnegano con forza l’antica servitù, mentre il pompon dei loro taguia si agita al ritmo della musica.* Gli incantatori di serpenti seguono la stessa cadenza.

I passeri volteggiano con i piccioni in mezzo alla polvere e al fumo delle bancarelle di carne arrostita. I venditori d’acqua tirano il filo e i campanelli disposti sui loro grandi cappelli rossi si agitano nell’aria vibrante. Mi sento bene, in questa folla anonima. Mi aggiro senza rimorsi. M’incrosto nell’istante per esistere in questo composito disordine, partecipo agli sguardi senza storia, mi lascio trasportare dalla marea, privo di gravità; sono in sintonia con tutte le indifferenze. Bisogna fare a pezzi il tempo privo di misura, abbandonare l’istante presente per tuffarsi nel successivo senza rimpianti né aspettative, meravigliarsi della ripetizione. Esisto finalmente senza movimento, ancorato a un tempo straniero; ho cancellato tutti i ricordi, non sono mai stato, non sarò mai più, sono e basta, concentrato, qui e ora.

Una Nefertiti fluttua sulla piazza, dea dell’impossibile; le donne si velano, gli uomini piangono.

*

Dietro le palpebre, per la prima volta nella mia memoria ora vergine, compare una luce. Ho fissato a lungo un deserto di dune calde. Mi sono tuffato in questo nuovo torpore. E ho visto, l’ho vista. Voi no.

*

«Clara,

è arrivata una lettera con la tua bella grafia. Non essere più arrabbiata con me».