È stato sostenuto che le risorse di uranio non sono sufficienti per garantire a lungo l’alimentazione delle centrali nucleari in esercizio e in costruzione. Interrogarsi sulle quantità di risorse naturali esistenti e recuperabili è dunque fondamentale per farsi un’idea sulle prospettive dell’energia nucleare.
Come detto nel capitolo 4, i reattori nucleari a fissione, per funzionare, hanno bisogno di materiale fissile e praticamente l’unico materiale fissile esistente in natura è l’uranio 235. Questo isotopo costituisce solo lo 0,7% dell’uranio naturale; il resto è costituito dall’U-238 che ha una piccola probabilità di fissionarsi solo se colpito da neutroni veloci (mentre nei reattori attuali i neutroni sono prevalentemente lenti). L’uranio 238 però può catturare un neutrone e alla fine si trasforma in plutonio 239 che invece è un ottimo materiale fissile. Questo processo avviene già in tutti i reattori in esercizio. Parte del Pu-239 prodotto si fissiona durante la sua permanenza in reattore, mentre il resto si trova nel combustibile irraggiato scaricato dagli impianti. Da qui, la proposta di ritrattare il combustibile irraggiato per estrarne il plutonio e riutilizzarlo, meglio se nei reattori veloci autofertilizzanti che hanno una maggiore capacità di trasformare l’U-238 in altro plutonio. Come s’è visto, questa soluzione è però contestata per ragioni di proliferazione e per ragioni economiche. In ogni caso va tenuto presente che, mentre oggi con i reattori a ciclo aperto si riesce a fissionare circa l’1% dell’uranio estratto (direttamente come U-235 e indirettamente dopo la sua trasformazione in plutonio), attraverso il riprocessamento e soprattutto con l’uso dei reattori veloci autofertilizzanti si potrebbe moltiplicare per 50-60 volte l’energia ricavata (è la cifra che si trova correntemente, anche se il suo calcolo dipende da molte ipotesi).
L’uranio non è l’unico materiale fertile. Anche il torio lo è. Il Th-232 se colpito da un neutrone ha una buona probabilità di catturarlo e, dopo due decadimenti, si trasforma in U-233, un isotopo dell’uranio che non esiste in natura, ma che ha buone caratteristiche come materiale fissile. Per usare il torio bisognerebbe perciò costruire reattori che inizialmente funzionano con uranio o plutonio da mescolare o affiancare a un «mantello» di torio dove si produce U-233. Dal combustibile irraggiato e/o dal mantello di torio si può estrarre l’U-233 e confezionare il combustibile nucleare a base di U-233 per continuare il ciclo. I sostenitori dell’uso del torio citano, tra gli altri, i seguenti vantaggi: il torio è molto più abbondante dell’uranio (circa tre volte nella crosta terrestre); può consentire un miglior sfruttamento dell’energia estraibile dal combustibile e si può anzi arrivare a produrre più combustibile di quanto se ne consuma anche con reattori termici; ha migliori caratteristiche dal punto di vista della non proliferazione e produce meno plutonio e attinidi, quindi dà meno problemi per i rifiuti radioattivi. Accanto a questi potenziali vantaggi ci sono comunque anche degli svantaggi, e soprattutto a tutt’oggi il ciclo del torio manca di sperimentazione sufficiente. Per tutte queste ragioni trascureremo le risorse di torio anche se, come s’è detto, un loro eventuale sfruttamento futuro potrebbe moltiplicare di molte volte le risorse naturali a disposizione per alimentare i reattori nucleari.
L’uranio non è un elemento molto raro in assoluto, come si pensava agli inizi dell’era nucleare, ma di solito è molto diluito. Infatti si stima che nella crosta terrestre ci siano in media 2,7 grammi di uranio per tonnellata (2,7 parti per milione o ppm). Siccome parte della crosta terrestre viene disciolta dalle piogge e trasportata dai fiumi nei mari, l’uranio si trova anche nell’acqua di mare in una concentrazione di 3 parti per miliardo. Pertanto il quantitativo di uranio presente nella crosta terrestre e negli oceani è sconfinato (miliardi di tonnellate). Tuttavia recuperare l’uranio quando si trova a concentrazioni così basse sarebbe molto costoso e quindi non economico. I giacimenti oggi in produzione hanno un tenore di uranio che può andare da meno dello 0,1% (ovvero 1.000 ppm come nei giacimenti della Namibia) e arrivare fino al 20% (rari casi in alcuni giacimenti canadesi).
Come per tutte le risorse minerarie, anche la classificazione delle risorse di uranio viene fatta in base a due dimensioni: la conoscenza geologica e il costo di recupero. Quando si vuole indicare tutto il quantitativo, certo e incerto, a basso o alto costo di estrazione, che si presume di poter prima o poi recuperare si parla di risorse. Le riserve invece sono solo una parte delle risorse e sono costituite dai quantitativi presenti in giacimenti già scoperti che sono recuperabili in modo economico alle condizioni odierne, cioè a un costo non superiore al prezzo di mercato. Sia le stime delle risorse sia quelle delle riserve possono variare nel tempo. Man mano che procede l’attività esplorativa, le stime sono riviste (di solito in rialzo) e parte delle risorse diventano riserve. Lo stesso accade se si verificano progressi tecnologici o se il prezzo di mercato sale: le risorse si trasformano in riserve (se il prezzo scende o i costi di estrazione salgono può accadere il contrario). Le risorse e le riserve possono poi essere suddivise in classi secondo il grado di certezza e il costo di estrazione previsto.
Se i concetti di base sono sempre gli stessi per tutte le risorse minerarie (dal petrolio al rame, dall’alluminio al carbone), sia la terminologia sia le fonti informative di riferimento possono cambiare. Nel caso dell’uranio la fonte di riferimento è il Red Book, pubblicato dall’Agenzia per l’energia nucleare (Nea) dell’Ocse ogni due anni, basato sui dati forniti dai singoli paesi. L’ultima edizione contenente i dati riferiti al 2009 classifica le risorse in quattro categorie per quanto riguarda sia la conoscenza geologica (Rar = reasonably assured resources; Ir = inferred resources; Pr = prognosticated resources; Sr = speculative resources) sia i costi di estrazione (da 40 a 260 $/kg di uranio, corrispondenti a un intervallo tra 15 e 100 $/lb di U3O8, che è l’unità di misura utilizzata nel commercio dell’uranio). Le Rar estraibili fino a un costo di 50 $/lb appartengono certamente alla categorie delle riserve (nel 2009-2010 il prezzo dell’uranio ha oscillato tra 40 e 52 $/lb), ma in linea di massima anche tutte le risorse classificate come Ir possono essere fatte rientrare nella categoria delle riserve (hanno un buon grado di certezza e il prezzo dell’uranio è già salito anche oltre i 100 $/lb). Se accettiamo questa classificazione, le riserve attuali di uranio si aggirano attorno a 6,3 milioni di tonnellate, mentre le risorse totali sfiorano i 17 milioni di tonnellate (vedi tab. 8).
TAB. 8. Risorse mondiali di uranio per grado di certezza e classi di costo (dati 2009 in migliaia di tonnellate di uranio)
Costo di produzione | Risorse identificate (= riserve) | Risorse non scoperte | |||
---|---|---|---|---|---|
$/kg U | $/lb U3O8 | Rar | Ir | Pr | Sr |
≤ 40 | ≤ 15 | 570 | 226 | 0 | 7.495 |
40-80 | 15-30 | 1.946 | 1.000 | 1.701 | |
80-130 | 30-50 | 1.009 | 653 | 1.114 | |
130-260 | 50-100 | 479 | 423 | 90 | |
≤ 260 | ≤ 100 | 4.004 | 2.302 | 2.905 | 7.495 |
Fonte: Oecd-Nea, Uranium 2009: Resources, Production and Demand. |
Un aspetto importante da considerare per la sicurezza delle forniture è la localizzazione geografica. Per quanto riguarda le riserve più certe (categoria Rar), ai vertici della graduatoria vi sono Australia, Stati Uniti, Kazakistan e Canada con circa il 60% delle Rar totali (vedi tab. 9). Ben tre dei primi quattro paesi più ricchi di riserve di uranio finora scoperte sono dunque paesi occidentali. Anche guardando ai primi dodici paesi in graduatoria si conferma il fatto che l’uranio si trova in paesi che (con l’eccezione del Kazakistan e della Russia) non hanno una posizione importante nell’esportazione di petrolio e gas. Pertanto l’eventuale importazione di uranio può costituire una diversificazione delle aree di approvvigionamento energetico.
TAB. 9. Distribuzione delle Rar e della produzione di uranio al 1.1.2009
Rar < 80 $/kg U | Rar < 130 $/kg U | Rar < 260 $/kg U | Produzione 2009 | |||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|
t | % | t | % | t | % | t | % | |
Australia | 1.163.000 | 46 | 1.176.000 | 33 | 1.179.000 | 29 | 7.982 | 16 |
Stati Uniti | 39.000 | 2 | 207.400 | 6 | 472.100 | 12 | 1.453 | 3 |
Kazakistan | 233.900 | 9 | 336.200 | 10 | 414.200 | 10 | 14.020 | 28 |
Canada | 336.800 | 13 | 361.100 | 10 | 387.400 | 10 | 10.193 | 20 |
Niger | 42.500 | 2 | 242.000 | 7 | 244.600 | 6 | 3.243 | 6 |
Sudafrica | 142.000 | 6 | 195.200 | 6 | 195.200 | 5 | 563 | 1 |
Russia | 100.400 | 4 | 181.400 | 5 | 181.400 | 5 | 3.564 | 7 |
Brasile | 157.700 | 6 | 157.700 | 4 | 157.700 | 4 | 330 | 1 |
Namibia | 2.000 | 0 | 142.000 | 4 | 157.000 | 4 | 4.626 | 9 |
Ucraina | 38.700 | 2 | 76.000 | 2 | 142.400 | 4 | 840 | 2 |
Cina | 100.900 | 4 | 100.900 | 3 | 115.900 | 3 | 750 | 1 |
Uzbekistan | 55.200 | 2 | 76.000 | 2 | 76.000 | 2 | 2.429 | 5 |
Totale 12 paesi | 2.412.100 | 96 | 3.251.900 | 92 | 3.722.900 | 93 | 49.973 | 98 |
Mondo | 2.516.100 | 100 | 3.524.900 | 100 | 4.004.500 | 100 | 50.772 | 100 |
Fonti: Oecd-Nea, Uranium 2009: Resources, Production and Demand e Wna. |
La situazione della produzione è leggermente diversa da quella delle riserve. I primi quattro produttori coprono quasi tre quarti della produzione mondiale, ma tra essi non compaiono gli Stati Uniti, mentre vi è la Namibia. Le ragioni di queste differenze sono molteplici, ma la principale riguarda i costi di estrazione, che dipendono tra l’altro dalle tecniche utilizzabili (il Kazakistan ha decuplicato la sua produzione in dieci anni ed è oggi il primo produttore mondiale grazie all’impiego massiccio della tecnica detta in situ leaching, che permette di estrarre l’uranio senza prelevare la roccia madre).
La produzione di uranio è in decisa crescita da qualche anno e nel 2009 è stata di circa 51.000 t (vedi supra tab. 2). Malgrado ciò, essa ha coperto solo 3/4 circa della domanda dei reattori nucleari stimata dall’Ocse in 60.000 t e dalla World Nuclear Association (Wna) in 69.000 t. Il consumo residuo è coperto dalle scorte. Si tratta di una situazione preoccupante e che può durare?
Secondo i dati del Red Book, dalla fine della seconda guerra mondiale al 2009, nel mondo sono stati estratti 2,4 milioni di tonnellate di uranio, di cui almeno il 40% per usi militari. Cessata la corsa alla costruzione di arsenali militari e rallentata quella alla costruzione di nuovi reattori, agli inizi degli anni Ottanta si erano create grandi scorte di uranio e conseguentemente la produzione ha cominciato a scendere. Inoltre il trattato Start sulla riduzione delle armi strategiche fra Stati Uniti e Russia firmato nel 1991 ha generato un accordo in base al quale, tra il 1993 e il 2013, la Russia si è impegnata a convertire 500 t di uranio altamente arricchito (weapon grade) in circa 15.000 t di uranio debolmente arricchito (reactor grade) da usare nei reattori civili americani. Tale quantitativo corrisponde a circa 140.000 t di uranio naturale e ha contribuito a deprimere la produzione americana. Un impegno minore è stato preso dagli Stati Uniti. Oggi il «destoccaggio» non è ancora finito e dipende anche da eventuali nuovi accordi di riduzione degli armamenti nucleari.
L’incertezza sull’uso delle scorte pesa sulle decisioni di investimento per l’apertura di nuove miniere e potrebbe causare qualche problema di adeguatezza dell’offerta. Tuttavia va tenuto presente che la domanda di uranio per far funzionare i reattori non è perfettamente rigida. La ragione principale di tale flessibilità è legata al processo di arricchimento. Infatti, per produrre un chilogrammo di uranio arricchito ci vogliono molti chilogrammi di uranio naturale, ma la quantità esatta può variare di almeno il 20%. Ad esempio, per produrre 1 kg di uranio arricchito al 4,5% (valore rappresentativo del tenore richiesto nei Lwr) ci vogliono 10,2 kg di uranio naturale se il tenore dell’uranio impoverito è dello 0,3%, ma ce ne vogliono solo 8,4 kg se il tenore delle code è pari allo 0,2%. Il tenore ottimale dipende dal rapporto tra il costo dell’uranio e quello dell’arricchimento: se l’uranio è abbondante, il suo prezzo scende e conviene alzare il tenore delle code usando più uranio e meno lavoro separativo; se l’uranio è scarso e il suo prezzo sale conviene fare l’operazione inversa «spremendo» di più l’uranio e riducendone la domanda.
Non solo la domanda, ma anche l’offerta di uranio possiede un certo grado di flessibilità in quanto, oltre alla produzione mineraria, esistono «fonti secondarie» di materiale fissile. Tra queste, oltre alle scorte militari e civili, si deve ricordare che è possibile (se conviene) riprendere le code degli impianti di arricchimento per estrarre parte del materiale fissile residuo o trattare i residui di altre attività minerarie (in particolare quelli delle miniere d’oro) che contengono un basso tenore di uranio. Inoltre il combustibile da mettere nei reattori nucleari può essere ottenuto anche recuperando il plutonio (e l’uranio) contenuto nel combustibile irraggiato. Si stima che, se tutti seguissero la strada del ritrattamento, la domanda di uranio naturale potrebbe essere ridotta di circa il 30%. Già oggi in alcuni paesi si usa il combustibile Mox, cioè contenente plutonio, con un risparmio stimato di 1.500-2.000 tonnellate annue di uranio.
Nei prossimi anni la domanda di uranio dovrebbe crescere moderatamente e sono in corso alcuni investimenti che aumenteranno l’offerta. Il breve periodo non desta quindi eccessive preoccupazioni, ma poiché un reattore nucleare, una volta avviato, ha bisogno di materiale fissile per funzionare, ciò che conta è guardare almeno alla sua vita utile, cioè a un orizzonte di 50-60 anni.
Di solito per misurare l’abbondanza o la scarsità di una risorsa mineraria si prende come riferimento l’indice statico R/P, cioè il rapporto tra le riserve e la produzione dell’ultimo anno, che dice in quanti anni le riserve verrebbero esaurite se la produzione continuasse allo stesso ritmo dell’ultimo anno. Rapportando il dato sulle riserve di uranio (Rar + Ir) del Red Book del 2009 alla produzione mondiale del 2009 si ottiene una durata di 124 anni, un valore certamente tranquillizzante. Se prendessimo come riferimento non la produzione, ma il consumo di uranio stimato (che è superiore, come sopra ricordato), la durata residua delle riserve scenderebbe poco al di sotto dei 100 anni, un valore più basso, ma ancora largamente rassicurante.
Il rapporto R/P di un dato momento fornisce però una fotografia statica. In realtà sia le riserve sia la produzione di tutte le risorse minerarie mutano nel tempo. Nel caso dell’uranio, le recenti dichiarazioni (vedi cap. 10) fanno pensare a un aumento del numero di reattori nucleari in esercizio e conseguentemente della produzione elettronucleare e della domanda di uranio. Perciò, nel calcolare la durata residua delle riserve, bisognerebbe tenere conto della dinamica della produzione elettrica da impianti nucleari che è per sua natura incerta. Nel Red Book pubblicato nel 2010 la Nea prende in considerazione il periodo fino al 2035 e presenta due scenari che portano la potenza installata da circa 370 GW a 511 (crescita bassa) o a 782 GW (crescita alta). Anche nello scenario di crescita alta, la richiesta cumulata di uranio sarebbe pari a meno della metà delle riserve attuali. Infatti con 6 milioni e mezzo di tonnellate di uranio si possono alimentare circa 800 GW per quasi 50 anni.
Dal punto di vista delle riserve oggi non c’è dunque da preoccuparsi. Tuttavia non è detto che gli investimenti necessari per mettere in produzione nuove miniere vengano sempre fatti o effettuati in tempo, anche a motivo delle numerose incertezze (compresi gli elementi di flessibilità sopra citati) che circondano il mercato dell’uranio. Come per il passato si potrebbe quindi verificare un andamento ciclico del prezzo dell’uranio con fasi di prezzi alti, in cui vengono stimolati gli investimenti in esplorazione e crescita della capacità produttiva, seguite da fasi di prezzi bassi a causa dell’abbondanza di offerta determinata dal picco di prezzo precedente.
Ma come collocarsi di fronte al lungo termine? Quando si può presumere che vi sarà una scarsità fisica di uranio? Secondo gli economisti è piuttosto inutile correre dietro alle cifre sulle riserve o sulle risorse pensando che ci diano un’informazione adeguata sulle risorse ultime recuperabili. Dal punto di vista economico, il vero indicatore della scarsità, nonché la guida sia dei produttori sia dei consumatori, è il prezzo. Se la capacità produttiva è adeguata o addirittura superiore alla domanda, il prezzo dell’uranio sarà basso e non vi sarà stimolo né a cercare nuovi giacimenti né a investire in nuove miniere. Se il prezzo cresce perché il mercato è teso, si attiverà nuova esplorazione, diventerà più conveniente sfruttare giacimenti più poveri e quindi più costosi o sfruttare di più i giacimenti esistenti o produrre uranio da giacimenti a bassissimo tenore, ma dai quali si producono anche altri minerali come oro o fosfati. Inoltre un alto prezzo potrebbe stimolare la ricerca e l’uso di sostituti (nel caso dell’uranio, come detto, il sostituto naturale è il torio). Senza contare che un alto prezzo (ma non solo) stimola lo sviluppo di nuove tecnologie di produzione che possono rendere sfruttabili giacimenti che prima non lo erano, oppure tecnologie che permettono di produrre molta più energia a parità di uranio impiegato (ad esempio i reattori autofertilizzanti).
In definitiva la visione economica, associata al fatto che l’uranio è una risorsa sfruttata da poco e non intensamente ricercata, in quanto, dopo lo sforzo militare iniziale, finora ce n’è stato poco bisogno, conduce a una conclusione ottimistica. Certamente l’uranio è presente sulla Terra in quantità limitata (anche se enorme a basse concentrazioni), ma non è ancora venuto il momento di preoccuparsi della sua scarsità fisica e non è certo il problema dell’uranio che può condizionare le decisioni odierne sull’uso dell’energia nucleare.