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Pereira sostiene che quel pomeriggio il tempo cambiò. All’improvviso la brezza atlantica cessò, dall’oceano arrivò una spessa cortina di nebbia e la città si trovò avvolta in un sudario di calura. Prima di uscire dal suo ufficio Pereira guardò il termometro che aveva comprato a spese sue e che aveva appeso dietro la porta. Segnava trentotto gradi. Pereira spense il ventilatore, trovò la portiera sulle scale che gli disse arrivederci dottor Pereira, annusò ancora una volta l’odore di fritto che aleggiava nell’atrio e uscì finalmente all’aperto. Davanti al portone c’erano i mercati rionali e la Guarda Nacional Republicana vi stazionava con due camionette. Pereira sapeva che i mercati erano in agitazione, perché il giorno prima, in Alentejo, la polizia aveva ucciso un carrettiere che riforniva i mercati e che era socialista. Per questo la Guarda Nacional Republicana stazionava davanti ai cancelli dei mercati. Ma il “Lisboa” non aveva avuto il coraggio di dare la notizia, o meglio il vicedirettore, perché il direttore era in ferie, stava al Buçaco, a godersi il fresco e le terme, e chi poteva avere il coraggio di dare una notizia del genere, che un carrettiere socialista era stato massacrato in Alentejo sul suo barroccio e aveva cosparso di sangue tutti i suoi meloni? Nessuno, perché il paese taceva, non poteva fare altro che tacere, e intanto la gente moriva e la polizia la faceva da padrona. Pereira cominciò a sudare, perché pensò di nuovo alla morte. E pensò: questa città puzza di morte, tutta l’Europa puzza di morte.

Si recò al Café Orquídea, che era lì a due passi, dopo la macelleria ebraica, e si sedette a un tavolino, ma dentro il locale, perché almeno c’erano i ventilatori, visto che fuori non si poteva stare dalla calura. Ordinò una limonata, andò alla toilette, si sciacquò mani e viso, si fece portare un sigaro, ordinò il giornale del pomeriggio e Manuel, il cameriere, gli portò proprio il “Lisboa”. Non aveva visto le bozze, quel giorno, perciò lo sfogliò come se fosse un giornale sconosciuto. La prima pagina diceva: «Oggi da New York è partito lo yacht più lussuoso del mondo». Pereira guardò a lungo il titolo, poi guardò la fotografia. Era un’immagine che ritraeva un gruppo di persone in paglietta e camicia che stappavano bottiglie di champagne. Pereira cominciò a sudare, sostiene, e pensò di nuovo alla resurrezione della carne. Come, pensò, se risorgo dovrò trovarmi con questa gente in paglietta? Pensò davvero di trovarsi con quella gente del panfilo in un porto non precisato dell’eternità. E l’eternità gli parve un luogo insopportabile oppresso da una cortina di calura nebbiosa, con gente che parlava in inglese e che faceva dei brindisi esclamando: oh oh! Pereira si fece portare un’altra limonata. Pensò se era il caso di andarsene a casa sua a fare un bagno fresco o se non era il caso di andare a trovare il suo amico parroco, don António della Chiesa das Mercês, dal quale si era confessato alcuni anni prima, quando era morta sua moglie, e che andava a trovare una volta al mese. Pensò che era meglio andare a trovare don António, forse gli avrebbe fatto bene.

E così fece. Sostiene Pereira che quella volta si dimenticò di pagare. Si alzò con noncuranza, anzi, senza pensarci, e se ne andò, semplicemente, e sul tavolo lasciò il suo giornale e il suo cappello, perché forse con quella calura non aveva voglia di metterselo in testa, o perché lui era fatto così, che si dimenticava gli oggetti.

Padre António era distrutto, sostiene Pereira. Aveva delle occhiaie che gli arrivavano fino alle guance, e un’aria sfinita, come di chi non ha dormito. Pereira gli chiese cosa gli era successo e padre António gli disse: ma come, non hai saputo?, hanno massacrato un alentejano sulla sua carretta, ci sono scioperi, qui in città e altrove, ma in che mondo vivi, tu che lavori in un giornale?, senti Pereira, vai un po’ a informarti.

Pereira sostiene che uscì turbato da questo breve colloquio e dalla maniera in cui era stato congedato. Si chiese: in che mondo vivo? E gli venne la bizzarra idea che lui, forse, non viveva, ma era come fosse già morto. Da quando era scomparsa sua moglie lui viveva come se fosse morto. O meglio: non faceva altro che pensare alla morte, alla resurrezione della carne nella quale non credeva e a sciocchezze di questo genere, la sua era solo una sopravvivenza, una finzione di vita. E si sentì spossato, sostiene Pereira. Riuscì a trascinarsi fino alla più vicina fermata del tram e prese un tram che lo portò fino al Terreiro do Paço. E intanto, dal finestrino, guardava sfilare lentamente la sua Lisbona, guardava l’Avenida da Liberdade, con i suoi bei palazzi, e poi la Praça do Rossio, di stile inglese; e al Terreiro do Paço scese e prese il tram che saliva fino al Castello. Discese all’altezza della Cattedrale, perché lui abitava lì vicino, in Rua da Saudade. Salì faticosamente la rampa di strada che portava fino a casa sua. Suonò alla portiera perché non aveva voglia di cercare le chiavi del portone, e la portiera, che gli faceva anche da donna di servizio, venne ad aprirgli. Dottor Pereira, disse la portiera, le ho preparato una braciola fritta per cena. Pereira la ringraziò e salì lentamente la scala, prese la chiave di casa da sotto lo zerbino, dove la teneva sempre, ed entrò. Nell’ingresso si soffermò davanti alla libreria, dove c’era il ritratto di sua moglie. Quella fotografia l’aveva scattata lui, nel millenovecentoventisette, era stato durante una gita a Madrid, e sullo sfondo si vedeva la sagoma massiccia dell’Escorial. Scusa se sono un po’ in ritardo, disse Pereira.

Sostiene Pereira che da un po’ di tempo aveva preso l’abitudine di parlare al ritratto della moglie. Gli raccontava quello che aveva fatto durante il giorno, gli confidava i suoi pensieri, chiedeva consigli. Non so in che mondo vivo, disse Pereira al ritratto, me lo ha detto anche padre António, il problema è che non faccio altro che pensare alla morte, mi pare che tutto il mondo sia morto o che sia in procinto di morire. E poi Pereira pensò al figlio che non avevano avuto. Lui sì, lo avrebbe voluto, ma non poteva chiederlo a quella donna gracile e sofferente che passava notti insonni e lunghi periodi in sanatorio. E si dispiacque. Perché se ora avesse avuto un figlio, un figlio grande col quale sedersi a tavola e parlare, non avrebbe avuto bisogno di parlare con quel ritratto che si riferiva a un viaggio lontano del quale quasi non si ricordava più. E disse: beh, pazienza, che era la sua formula di commiato dal ritratto di sua moglie. Poi andò in cucina, si sedette alla tavola e tolse il coperchio che copriva la padella con la braciola fritta. Era una braciola fredda, ma non aveva voglia di scaldarla. La mangiava sempre così, come gliela aveva lasciata la portiera: fredda. Mangiò rapidamente, andò in bagno, si lavò le ascelle, si cambiò la camicia, si mise una cravatta nera e si dette un po’ di profumo spagnolo che era rimasto in un flacone che aveva comprato nel millenovecentoventisette a Madrid. Poi indossò una giacca grigia e uscì per andare in Praça da Alegria, perché ormai erano le nove di sera, sostiene Pereira.