10

L’indomani Pereira si svegliò alle sei. Sostiene che prese un caffè semplice, insistendo per averlo perché il servizio in camera cominciava solo alle sette, e fece una passeggiata nel parco. Anche le terme aprivano alle sette, e alle sette in punto Pereira era davanti ai cancelli. Silva non c’era, il direttore non c’era, non c’era praticamente nessuno e Pereira si sentì sollevato, sostiene. Per prima cosa bevve due bicchieri d’acqua che sapeva di uova marce e provò una vaga nausea e un rimescolamento nell’intestino. Avrebbe desiderato una bella limonata fresca, perché nonostante l’ora mattutina faceva un certo caldo, ma pensò che non poteva mescolare acqua termale e limonata. Allora si recò alle installazioni termali dove lo fecero spogliare e indossare un accappatoio bianco. Vuole bagni di fango o inalazioni?, gli chiese l’impiegata. Tutte e due, rispose Pereira. Lo fecero accomodare in una stanza dove c’era una vasca da bagno di marmo piena di un liquido marrone. Pereira si tolse l’accappatoio e vi si immerse. Il fango era tiepido e dava una sensazione di benessere. A un certo punto entrò un inserviente e gli chiese dove doveva massaggiarlo. Pereira rispose che non voleva massaggi, voleva solo il bagno, e desiderava di essere lasciato in pace. Uscì dalla vasca, fece una doccia fresca, indossò di nuovo il suo accappatoio e passò nelle sale vicine, dove c’erano i getti di vapore per le inalazioni. Davanti a ogni getto stavano sedute delle persone, con i gomiti appoggiati sul marmo, che respiravano i flussi di aria calda. Pereira trovò un posto libero e si accomodò. Respirò a fondo per qualche minuto e si immerse nei suoi pensieri. Gli venne in mente Monteiro Rossi e, chissà perché, anche il ritratto di sua moglie. Erano quasi due giorni che non parlava con il ritratto di sua moglie, e Pereira si pentì di non esserselo portato dietro, sostiene. Allora si alzò, andò negli spogliatoi, si rivestì, fece il nodo della cravatta nera, uscì dallo stabilimento termale e rientrò in albergo. Nella sala ristorante vide il suo amico Silva che faceva un’abbondante colazione con brioche e caffellatte. Il direttore fortunatamente non c’era. Pereira si avvicinò a Silva, lo salutò, gli disse che aveva fatto le terme e gli disse: verso mezzogiorno c’è un treno per Lisbona, ti sarei grato se tu mi accompagnassi alla stazione, se non puoi prendo il taxi dell’albergo. Come, te ne vai già?, chiese Silva, e io che speravo di passare un paio di giorni in tua compagnia. Scusami, mentì Pereira, ma devo essere a Lisbona stasera, domani devo scrivere un articolo importante, e poi sai, non mi va di avere abbandonato la redazione alla portiera dello stabile, è meglio che me ne vada. Come vuoi, rispose Silva, ti accompagno.

Durante il tragitto non parlarono affatto. Sostiene Pereira che Silva sembrava avercela con lui, ma lui non fece niente per addolcire la situazione. Pazienza, pensò, pazienza. Arrivarono alla stazione verso le undici e un quarto e il treno era già sul binario. Pereira salì e fece ciao con la mano dal finestrino. Silva lo salutò con un ampio cenno del braccio e se ne andò, Pereira si accomodò in uno scompartimento dove c’era una signora che leggeva un libro.

Era una signora bella, bionda, elegante, con una gamba di legno. Pereira si accomodò dalla parte del corridoio, visto che lei stava al finestrino, per non disturbarla, e notò che stava leggendo un libro di Thomas Mann in tedesco. Questo lo incuriosì, ma per il momento non disse niente, disse soltanto: buongiorno signora. Il treno si mosse alle undici e trenta, e pochi minuti dopo passò l’inserviente per fare le prenotazioni per il vagone ristorante. Pereira prenotò, sostiene, perché si sentiva lo stomaco in disordine e aveva bisogno di mangiare qualcosa. Il tragitto non era lungo, è vero, ma sarebbe arrivato tardi a Lisbona e non aveva voglia di cercarsi un ristorante, con quel caldo.

Anche la signora con la gamba di legno prenotò per il vagone ristorante. Pereira notò che parlava un buon portoghese, con un lieve accento straniero. Questo aumentò la sua curiosità, sostiene, e gli dette il coraggio di fare il suo invito. Signora, disse, mi scusi, non vorrei sembrarle invadente, ma visto che siamo compagni di viaggio e che entrambi abbiamo prenotato il ristorante vorrei proporle di mangiare allo stesso tavolo, potremmo fare un po’ di conversazione e forse ci sentiremo meno soli, è malinconico mangiare da soli, specialmente in treno, permetta che mi presenti, sono il dottor Pereira, direttore della pagina culturale del “Lisboa”, un giornale del pomeriggio della capitale. La signora con la gamba di legno fece un largo sorriso e gli tese la mano. Piacere, disse, mi chiamo Ingeborg Delgado, sono tedesca, ma di origine portoghese, sono tornata in Portogallo a ritrovare le mie radici.

L’inserviente passò agitando la campanella per chiamare per il pranzo. Pereira si alzò e cedette il passo alla signora Delgado. Non ebbe il coraggio di offrirle il braccio, sostiene, perché pensò che quel gesto poteva ferire una signora che aveva un gamba di legno. Ma la signora Delgado si muoveva con grande agilità nonostante il suo arto artificiale e lo precedette nel corridoio. La vettura ristorante era vicina al loro scompartimento, così che non dovettero camminare troppo. Si accomodarono a un tavolino dalla parte sinistra del convoglio. Pereira si infilò il tovagliolo nel colletto della camicia e sentì che doveva chiedere scusa per il suo comportamento. Mi scusi, disse, ma quando mangio mi sporco sempre la camicia, la mia donna delle pulizie dice che sono peggio dei bambini, spero di non sembrarle un provinciale. Oltre il finestrino scorreva il dolce paesaggio del Portogallo centrale: colline verdi di pini e villaggi bianchi. Ogni tanto si vedevano delle vigne e qualche contadino, come un puntino nero, che adornava il paesaggio. Le piace il Portogallo?, chiese Pereira. Mi piace, rispose la signora Delgado, ma non credo che vi resterò a lungo, ho visitato i miei parenti di Coimbra, ho ritrovato le mie radici, ma questo non è il paese che fa per me e per il popolo a cui appartengo, sono in attesa del visto dell’ambasciata americana, fra poco, almeno spero, partirò per gli Stati Uniti. Pereira credette di capire e chiese: lei è ebrea? Sono ebrea, confermò la signora Delgado, e l’Europa di questi tempi non è luogo adatto alla gente del mio popolo, specie la Germania, ma anche qui non c’è molta simpatia, me ne accorgo dai giornali, forse il giornale dove lavora lei fa eccezione, anche se è così cattolico, troppo cattolico per chi non è cattolico. Questo paese è cattolico, sostiene di aver detto Pereira, e anch’io sono cattolico, lo ammetto, anche se a modo mio, purtroppo abbiamo avuto l’Inquisizione e questo non ci fa onore, ma io, per esempio, non credo alla resurrezione della carne, non so se questo può significare qualcosa. Non so cosa significhi, rispose la signora Delgado, ma credo che non mi riguardi. Ho notato che stava leggendo un libro di Thomas Mann, disse Pereira, è uno scrittore che amo molto. Anche lui non è felice per quello che sta succedendo in Germania, disse la signora Delgado, non direi che sia felice. Anch’io forse non sono felice per quello che succede in Portogallo, ammise Pereira. La signora Delgado bevve un sorso di acqua minerale e disse: e allora faccia qualcosa. Qualcosa come?, rispose Pereira. Beh, disse la signora Delgado, lei è un intellettuale, dica quello che sta succedendo in Europa, esprima il suo libero pensiero, insomma faccia qualcosa. Sostiene Pereira che avrebbe voluto dire molte cose. Avrebbe voluto rispondere che sopra di lui c’era il suo direttore, il quale era un personaggio del regime, e che poi c’era il regime, con la sua polizia e la sua censura, e che in Portogallo tutti erano imbavagliati, insomma che non si poteva esprimere liberamente la propria opinione, e che lui passava la sua giornata in una misera stanzuccia di Rua Rodrigo da Fonseca, in compagnia di un ventilatore asmatico e sorvegliato da una portiera che probabilmente era una confidente della polizia. Ma non disse niente di tutto questo, Pereira, disse solo: farò del mio meglio signora Delgado, ma non è facile fare del proprio meglio in un paese come questo per una persona come me, sa, io non sono Thomas Mann, sono solo un oscuro direttore della pagina culturale di un modesto giornale del pomeriggio, faccio qualche ricorrenza di scrittori illustri e traduco racconti dell’Ottocento francese, di più non si può fare. Capisco, replicò la signora Delgado, ma forse tutto si può fare, basta averne la volontà. Pereira guardò fuori dal finestrino e sospirò. Erano nei pressi di Vila Franca, si vedeva già il lungo serpente del Tago. Era bello, quel piccolo Portogallo baciato dal mare e dal clima, ma era tutto così difficile, pensò Pereira. Signora Delgado, disse, credo che fra poco arriveremo a Lisbona, siamo a Vila Franca, questa è una città di lavoratori onesti, di operai, anche noi, in questo piccolo paese, abbiamo la nostra opposizione, è un’opposizione silenziosa, forse perché non abbiamo Thomas Mann, ma è quello che possiamo fare, e ora forse è meglio se ci rechiamo al nostro scompartimento a preparare i bagagli, sono stato felice di conoscerla e di passare questo tempo con lei, mi permetta di offrirle il braccio, ma non lo interpreti come un gesto di aiuto, è solo un gesto di cavalleria, perché sa, in Portogallo siamo molto cavallereschi.

Pereira si alzò e offrì il braccio alla signora Delgado. Lei lo accettò con un lieve sorriso e si alzò con una certa difficoltà dallo stretto tavolino. Pereira pagò il conto e lasciò qualche moneta di mancia. Uscì dal vagone ristorante dando il bracco alla signora Delgado, e si sentiva fiero e turbato allo stesso tempo, ma non sapeva perché, sostiene Pereira.