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Pereira passò la notte a finire di tradurre e di ridurre Honorine di Balzac, sostiene. Fu una traduzione impegnativa ma risultò abbastanza scorrevole, secondo la sua opinione. Dormì tre ore, dalle sei alle nove del mattino, poi si alzò, fece un bagno fresco, prese un caffè e si recò in redazione. La portiera, che incontrò sulle scale, gli tenne il muso e lo salutò con un cenno del capo. Lui sussurrò un buongiorno a mezza voce. Entrò nella sua stanza, si sedette alla scrivania e fece il numero del dottor Costa, il suo medico. Pronto, dottore, disse Pereira, sono Pereira. Allora come va?, chiese il dottor Costa. Ho il fiatone, rispose Pereira, non riesco a salire le scale e credo di essere ingrassato di qualche chilo, quando faccio una passeggiata ho il cuore a sobbalzi. Senta Pereira, disse il dottor Costa, io visito una volta alla settimana alla clinica talassoterapica di Parede, perché non si ricovera per qualche giorno? Ricoverarmi, perché?, chiese Pereira. Perché la clinica di Parede ha buona sorveglianza medica, inoltre curano reumatici e cardiopatici con metodi naturali, fanno bagni di alghe, massaggi e cure dimagranti, e poi ci sono dei dottori bravissimi che hanno studiato in Francia, a lei farebbe bene un po’ di riposo e un po’ di sorveglianza, Pereira, e la clinica di Parede è quello che fa per lei, se vuole posso prenotarle una camera per domani stesso, una bella e linda cameretta con vista sul mare, vita sana, bagni di alghe, talassoterapia, e io vengo a vederla almeno una volta, c’è ricoverato anche qualche tubercoloso, ma i tubercolosi li tengono in un padiglione riservato, non c’è pericolo di contagio. Oh, se è per questo io non ho paura della tubercolosi, sostiene di aver detto Pereira, ho trascorso la mia vita con una tubercolosa e la malattia su di me non ha mai avuto effetto, ma il problema non è questo, il problema è che mi hanno affidato la pagina culturale del sabato, non posso abbandonare la redazione. Senta Pereira, disse il dottor Costa, mi ascolti bene, Parede è a metà strada tra Lisbona e Cascais, da qui ci sono una decina di chilometri, se lei vuole scrivere i suoi articoli a Parede e mandarli a Lisbona c’è l’inserviente della clinica che tutte le mattine glieli può portare in città, comunque la sua pagina esce una volta alla settimana, e se lei prepara un paio di articoloni la pagina è pronta per due sabati, e poi lasci che le dica che la salute è più importante della cultura. D’accordo, disse Pereira, ma due settimane sono troppe, mi basterebbe una settimana di riposo. Meglio che niente, concluse il dottor Costa. Pereira sostiene che si rassegnò a accettare di passare una settimana alla clinica talassoterapica di Parede, e autorizzò il dottor Costa a prenotargli una camera per l’indomani, ma ci tenne a specificare che prima doveva avvertire il suo direttore, per un motivo di correttezza. Riattaccò e fece il numero della tipografia. Disse che c’era un racconto di Balzac da mettere in due o tre puntate, e che dunque la pagina culturale era fatta per qualche settimana. E la rubrica “Ricorrenze”?, chiese il tipografo. Nessuna ricorrenza, per ora, disse Pereira, il materiale non venite a prenderlo in redazione, perché nel pomeriggio non ci sarò, ve lo lascio in una busta chiusa al Café Orquídea, vicino alla macelleria ebraica. Poi fece il numero del centralino e chiese al centralinista di metterlo in comunicazione con le terme di Buçaco. Domandò del direttore del “Lisboa”. Il direttore è nel parco che sta prendendo il sole, disse l’impiegato, non so se devo disturbarlo. Lo disturbi pure, disse Pereira, dica che è la redazione culturale che chiama. Il direttore arrivò al telefono e fece: pronto, sono il direttore. Signor direttore, disse Pereira, ho tradotto e ridotto un racconto di Balzac e ce ne sarà per due o tre numeri, le telefono perché avrei intenzione di ricoverarmi alla clinica talassoterapica di Parede, la mia cardiopatia non va per il meglio e il mio medico mi ha consigliato una cura, ho il suo permesso? E il giornale?, chiese il direttore. Come le ho detto è coperto per due o tre settimane almeno, sostiene di aver detto Pereira, e poi io sono a due passi da Lisbona, comunque le lascio il numero telefonico della clinica, e poi senta, se succede qualcosa mi precipito in redazione. E il praticante?, chiese il direttore, non potrebbe lasciare al suo posto il praticante? Meglio di no, rispose Pereira, mi ha fatto qualche necrologio ma non so fino a che punto siano articoli utilizzabili, se muore qualche scrittore importante ci penso io. D’accordo, disse il direttore, si prenda pure la sua settimana di cura, dottor Pereira, dopotutto al giornale c’è il vicedirettore che eventualmente può occuparsi di ogni problema. Pereira salutò e disse che presentava i suoi omaggi alla gentile signora che aveva conosciuto. Riattaccò e guardò l’orologio. Era quasi l’ora di andare al Café Orquídea, ma prima voleva leggere la ricorrenza su D’Annunzio che non aveva avuto il tempo di leggere la sera prima. Pereira è in grado di produrla come testimonianza, perché l’ha conservata. Diceva: «Esattamente cinque mesi fa, alle otto di sera del primo marzo 1938, moriva Gabriele D’Annunzio. In quel momento questo giornale non aveva ancora la sua pagina culturale, ma oggi ci sembra venuto il momento di parlare di lui. Fu un grande poeta Gabriele D’Annunzio, il cui vero nome per inciso era Rapagnetta? È difficile dirlo, perché le sue opere sono ancora troppo fresche per noi che siamo suoi contemporanei. Forse converrà piuttosto parlare della sua figura di uomo che si mescola con la figura dell’artista. Innanzitutto fu un vate. Amò il lusso, la mondanità, la magniloquenza, l’azione. Fu un grande decadente, dissolutore delle regole morali, amante della morbosità e dell’erotismo. Dal filosofo tedesco Nietzsche desunse il mito del superuomo ma lo ridusse a una visione della volontà di potenza di ideali estetizzanti destinati a comporre il caleidoscopio colorato di una vita inimitabile. Fu interventista nella grande guerra, convinto nemico della pace fra i popoli. Visse imprese bellicose e provocatorie come il volo su Vienna, nel 1918, quando lanciò manifestini italiani sulla città. Dopo la guerra organizzò un’occupazione della città di Fiume, dalla quale fu successivamente sloggiato dalle truppe italiane. Ritiratosi a Gardone, in una villa da lui chiamata Vittoriale degli Italiani, vi condusse una vita dissoluta e decadente, segnata da amori futili e da avventure erotiche. Guardò con favore al fascismo e alle imprese belliche. Fernando Pessoa lo aveva soprannominato ‘assolo di trombone’, e forse non aveva tutti i torti. La voce che di lui ci giunge non è infatti il suono di un delicato violino, ma la voce tuonante di uno strumento a fiato, di una tromba squillante e prepotente. Una vita non esemplare, un poeta altisonante, un uomo pieno di ombre e di compromessi. Una figura da non imitare, ed è per questo che lo ricordiamo. Firmato Roxy».

Pereira pensò: inutilizzabile, assolutamente inutilizzabile. Prese la cartellina dei “Necrologi” e vi inserì la pagina. Non sa perché lo fece, avrebbe potuto cestinarla, ma invece la conservò. Poi, per spegnere l’irritazione che lo aveva assalito, pensò di abbandonare la redazione e di dirigersi al Café Orquídea.

Quando arrivò al caffè la prima cosa che vide, sostiene Pereira, furono i capelli rossi di Marta. Stava seduta a un tavolino d’angolo, vicino al ventilatore, con le spalle rivolte verso la porta. Aveva lo stesso vestito che indossava la sera della festa a Praça da Alegria, con le bretelle incrociate sulla schiena. Sostiene Pereira di aver pensato che Marta aveva delle spalle bellissime, dolci, ben proporzionate, perfette. Si avvicinò e le si mise di fronte. Oh, dottor Pereira, disse Marta con naturalezza, sono venuta al posto di Monteiro Rossi, lui oggi non poteva venire.

Pereira si accomodò al tavolo e chiese a Marta se prendeva un aperitivo. Marta rispose che avrebbe bevuto volentieri un porto secco. Pereira chiamò il cameriere e ordinò due porto secchi. Non avrebbe dovuto bere alcolici, ma tanto l’indomani sarebbe andato alla clinica talassoterapica a fare una dieta per una settimana. Ebbene?, chiese Pereira quando il cameriere li ebbe serviti. Ebbene, rispose Marta, credo che questo sia un periodo difficile per tutti, lui è partito per l’Alentejo, e per ora resterà là, è bene che passi qualche giorno fuori Lisbona. E suo cugino?, chiese incautamente Pereira. Marta lo guardò e sorrise. So che lei è stato un grande appoggio per Monteiro Rossi e suo cugino, disse Marta, dottor Pereira lei è stato veramente magnifico, dovrebbe essere dei nostri. Pereira sentì una lieve irritazione, sostiene, e si tolse la giacca. Senta signorina, replicò, io non sono né dei vostri né dei loro, preferisco fare per conto mio, del resto non so chi sono i vostri e non voglio saperlo, io sono un giornalista e mi occupo di cultura, ho appena finito di tradurre un racconto di Balzac, delle vostre storie preferisco non essere al corrente, non sono un cronista. Marta bevve un sorso di vino di porto e disse: noi non facciamo la cronaca, dottor Pereira, è questo che mi piacerebbe che lei capisse, noi viviamo la Storia. Pereira bevve a sua volta il suo bicchiere di porto e replicò: senta signorina, Storia è una parola grossa, anch’io ho letto Vico e Hegel, a suo tempo, non è una bestia che si può addomesticare. Ma forse lei non ha letto Marx, obiettò Marta. Non l’ho letto, disse Pereira, e non mi interessa, di scuole hegeliane sono stufo, e poi senta, lasci che le ripeta una cosa che le ho già detto prima, io penso a me soltanto e alla cultura, è questo il mio mondo. Anarchico individualista?, chiese Marta, è questo che mi piacerebbe sapere. Cosa vuole intendere con ciò?, chiese Pereira. Oh, disse Marta, non mi dica che non sa cosa vuol dire anarchico individualista, la Spagna ne è piena, gli anarchici individualisti fanno molto parlare di sé in questi tempi e si sono anche comportati eroicamente, anche se forse un po’ più di disciplina ci vorrebbe, questo almeno è quello che penso. Senta, Marta, disse Pereira, io non sono venuto in questo caffè per parlare di politica, come le ho già detto la politica non mi interessa perché mi occupo principalmente di cultura, io avevo un appuntamento con Monteiro Rossi e lei mi viene a dire che è in Alentejo, che cosa è andato a fare in Alentejo?

Marta si guardò intorno come se cercasse il cameriere. Ordiniamo qualcosa da mangiare?, chiese, io ho un appuntamento alle quindici. Pereira chiamò Manuel. Ordinarono due omelettes alle erbe aromatiche, e poi Pereira ripeté: e allora, cosa è andato a fare in Alentejo Monteiro Rossi? Ha accompagnato suo cugino, rispose Marta, che ha avuto degli ordini all’ultimo minuto, sono soprattutto gli alentejani che vogliono andare a combattere in Spagna, c’è una grande tradizione democratica in Alentejo, e ci sono anche molti anarchici individualisti, come lei, dottor Pereira, il lavoro non manca, insomma il fatto è che Monteiro Rossi ha dovuto accompagnare suo cugino in Alentejo, perché è lì che si reclutano persone. Bene, rispose Pereira, gli faccia gli auguri di buon reclutamento. Il cameriere portò le omelettes e cominciarono a mangiare. Pereira si annodò il tovagliolo intorno al collo, prese una fetta di omelette e disse: senta Marta, io parto domani per una clinica talassoterapica vicino a Cascais, ho problemi di salute, dica a Monteiro Rossi che il suo articolo su D’Annunzio è perfettamente inutilizzabile, a ogni modo le lascio il telefono della clinica dove starò per una settimana, il momento migliore per telefonarmi è l’ora dei pasti, e ora mi dica dov’è Monteiro Rossi. Marta abbassò la voce e disse: stasera sarà a Portalegre, in casa di amici, ma preferirei non darle l’indirizzo, del resto è un indirizzo precario, perché lui dormirà una sera qua e una sera là, deve muoversi un po’ per l’Alentejo, eventualmente sarà lui a entrare in contatto con lei. D’accordo, disse Pereira passandole un bigliettino, questo è il mio numero telefonico, la clinica talassoterapica di Parede. Io dovrei andarmene, dottor Pereira, disse Marta, mi scusi ma ho un appuntamento e devo attraversare tutta la città.

Pereira si alzò e la salutò. Marta si avviò e si mise il suo cappello di refe. Pereira restò a guardarla mentre usciva, rapito da quella bella silhouette che si stagliava nel sole. Si sentì sollevato e quasi allegro, ma non sa perché. Allora fece un cenno a Manuel che arrivò sollecito e gli chiese se voleva un digestivo. Ma lui aveva sete, perché il pomeriggio era caldissimo. Rifletté un attimo e poi disse che voleva solo una limonata. E la ordinò ben gelata, piena di ghiaccio, sostiene Pereira.