L’indomani mattina Pereira fu svegliato dal telefono, sostiene. Era ancora nel suo sogno, un sogno che gli parve di avere sognato tutta la notte, un sogno lunghissimo e felice che non crede opportuno rivelare perché non ha niente a che vedere con questa storia.
Pereira riconobbe immediatamente la voce della signorina Filipa, la segretaria del direttore. Buongiorno dottor Pereira, disse Filipa soavemente, le passo il signor direttore. Pereira finì di svegliarsi e si mise a sedere sul bordo del letto. Buongiorno dottor Pereira, disse il direttore, sono il suo direttore. Buongiorno signor direttore, rispose Pereira, ha fatto buone vacanze? Ottime, disse il direttore, ottime, le terme di Buçaco sono veramente un luogo magnifico, ma credo di averglielo già detto, se non sbaglio ci siamo già sentiti. Ah già, certo, disse Pereira, ci siamo già sentiti quando è uscito il racconto di Balzac, mi scusi, ma mi sveglio ora e non ho le idee chiare. Ogni tanto capita di non avere le idee chiare, disse il direttore con una certa rudezza, e credo che possa capitare anche a lei, dottor Pereira. Effettivamente, rispose Pereira, a me succede soprattutto la mattina perché ho sbalzi di pressione. La stabilizzi con un po’ di sale, consigliò il direttore, un po’ di sale sotto la lingua e si stabilizzano gli sbalzi di pressione, ma non è per questo che le telefono, per parlare della sua pressione, dottor Pereira, il fatto è che lei non si fa mai vedere in redazione centrale, è questo il problema, se ne sta rinchiuso in quella stanzetta di Rua Rodrigo da Fonseca e non viene mai a parlare con me, non mi espone i suoi progetti, fa tutto di testa sua. Veramente, signor direttore, disse Pereira, mi scusi, ma lei mi ha lasciato carta libera, ha detto che la pagina culturale era di mia responsabilità, insomma, mi ha detto di fare di testa mia. Di testa sua va bene, continuò il direttore, ma non le pare che di quando in quando lei dovrebbe conferire con me? Sarebbe utile anche per me, disse Pereira, perché in realtà sono solo, troppo solo a fare la cultura, e lei mi ha detto che di cultura non se ne vuole occupare. E il suo praticante, chiese il direttore, non mi aveva detto che aveva assunto un praticante? Sì, rispose Pereira, ma i suoi articoli sono acerbi, per ora, e poi non è morto nessun letterato interessante, e poi è un ragazzo giovane e mi ha chiesto le ferie, deve essere a fare i bagni, è quasi un mese che non si fa vivo. E lei lo licenzi, dottor Pereira, disse il direttore, cosa se ne fa di un praticante che non sa scrivere e che va in vacanza? Lasciamogli ancora una possibilità, replicò Pereira, in fondo deve imparare il mestiere, è solo un ragazzo inesperto, deve fare un po’ di gavetta. In quel momento della conversazione si inserì la dolce voce della signorina Filipa. Mi scusi signor direttore, disse, c’è una telefonata per lei dal governo civile, mi pare urgente. Bene, dottor Pereira, disse il direttore, la faccio richiamare fra una ventina di minuti, intanto si svegli bene e sciolga un po’ di sale sotto la lingua. Se vuole la richiamo io, disse Pereira. No, disse il direttore, devo fare con comodo, quando ho finito la richiamo io, arrivederci.
Pereira si alzò e andò a fare un bagno rapido. Si preparò il caffè e mangiò un biscotto salato. Poi si vestì e andò nell’ingresso. Mi sta telefonando il direttore, disse al ritratto di sua moglie, mi pare che giri intorno all’osso ma non l’ha ancora azzannato, non capisco cosa vuole da me, ma deve azzannare l’osso, tu che ne dici? Il ritratto di sua moglie gli sorrise il suo sorriso lontano e Pereira concluse: beh, pazienza, sentiamo cosa vuole il direttore, io rimproveri da farmi non ne ho, almeno per quanto riguarda il giornale, non faccio altro che tradurre racconti francesi dell’Ottocento.
Si sedette al tavolo del salotto e pensò di mettersi a scrivere una ricorrenza su Rilke. Ma in fondo in fondo non aveva voglia di scrivere niente su Rilke, quell’uomo così elegante e snob che aveva frequentato la buona società, al diavolo, pensò Pereira. Si mise a tradurre qualche frase dal romanzo di Bernanos, era più complicato di quanto pensasse, almeno al principio, e lui era solo al primo capitolo, non era ancora entrato nella storia. In quel momento squillò il telefono. Buongiorno di nuovo, dottor Pereira, disse la dolce voce della signorina Filipa, le passo il signor direttore. Pereira attese qualche secondo e poi la voce del direttore, grave e pausata, disse: bene, dottor Pereira, dicevamo? Mi diceva che me ne sto rinchiuso nella mia redazione di Rua Rodrigo da Fonseca, signor direttore, disse Pereira, ma è quella la stanza in cui lavoro, dove faccio la cultura, al giornale non saprei cosa fare, i giornalisti non li conosco, la cronaca io l’ho fatta per tanti anni in un altro giornale, ma lei non ha voluto affidarmela, ha voluto affidarmi la cultura, e con i giornalisti politici io non ho contatti, non so cosa potrei venire a fare al giornale. Si è sfogato dottor Pereira?, chiese il direttore. Scusi, signor direttore, disse Pereira, non volevo sfogarmi, volevo solo dire le mie ragioni. Bene, disse il direttore, ma ora vorrei farle una semplice domanda, perché non sente mai la necessità di venire a parlare con il suo direttore? Perché lei mi ha detto che la cultura non è affar suo, signor direttore, rispose Pereira. Senta, dottor Pereira, disse il direttore, non so se lei è duro di orecchi o se proprio non vuole capire, il fatto è che la sto convocando, capisce?, sarebbe lei che di tanto in tanto dovrebbe chiedere un colloquio con me, ma a questo punto, visto che lei è duro di comprendonio, sono io che chiedo un colloquio con lei. Sono a sua disposizione, disse Pereira, a sua completa disposizione. Bene, concluse il direttore, allora venga al giornale alle diciassette, e ora arrivederci e buona giornata, dottor Pereira.
Pereira si accorse che stava leggermente sudando. Si cambiò la camicia, che era bagnata sotto le ascelle, e pensò di andare in redazione e di aspettare le cinque del pomeriggio. Poi si disse che in redazione non c’era niente da fare, avrebbe dovuto vedere Celeste e staccare il telefono, era meglio se restava in casa. Ritornò al tavolo della sala da pranzo e si mise a tradurre Bernanos. Certo era un romanzo complicato, e anche lento, chissà cosa ne avrebbero pensato i lettori del “Lisboa” leggendo il primo capitolo. Nonostante tutto andò avanti e ne tradusse un paio di pagine. All’ora di pranzo pensò di prepararsi qualcosa, ma la sua dispensa era sfornita. Sostiene Pereira di aver pensato che magari poteva mangiare un boccone al Café Orquídea, anche tardi, e poi andare al giornale. Si mise il vestito chiaro e la cravatta nera e uscì. Prese il tram fino al Terreiro do Paço e lì cambiò per la Rua Alexandre Herculano. Quando entrò nel Café Orquídea erano quasi le tre e il cameriere stava sparecchiando i tavoli. Venga dottor Pereira, disse cordialmente Manuel, per lei c’è sempre un piatto, immagino che non abbia ancora pranzato, è dura la vita dei giornalisti. Eh sì, rispose Pereira, specie per i giornalisti che non sanno niente come non si sa mai niente in questo paese, che novità ci sono? Pare che delle navi inglesi siano state bombardate al largo di Barcellona, rispose Manuel, e che una nave passeggeri francese sia stata inseguita fino ai Dardanelli, sono i sottomarini italiani, gli italiani sono fortissimi con i sottomarini, è la loro specialità. Pereira ordinò una limonata senza zucchero e un’omelette alle erbe aromatiche. Si sedette vicino al ventilatore, ma quel giorno il ventilatore era spento. Lo abbiamo spento, disse Manuel, ormai l’estate è finita, ha sentito il temporale di stanotte? Non l’ho sentito, rispose Pereira, ho dormito di un sonno solo, però per me fa ancora caldo. Manuel gli accese il ventilatore e gli portò una limonata. E un po’ di vino, dottor Pereira, quando mi dà la soddisfazione di servirle un po’ di vino? Il vino mi fa male al cuore, rispose Pereira, hai un giornale del mattino? Manuel gli portò un giornale. Il titolo di testa era: Sculture di sabbia sulla spiaggia di Carcavelos. Il ministro del Secretariado Nacional de Propaganda inaugura la mostra dei piccoli artisti. C’era una grande fotografia a mezza pagina che mostrava le opere dei giovani artisti da spiaggia: sirene, barche, vascelli e balene. Pereira girò la pagina. Nell’interno c’era scritto: Valorosa resistenza del contingente portoghese in Spagna. L’occhiello diceva: “I nostri soldati si distinguono per un’altra battaglia con l’aiuto a distanza dei sommergibili italiani”. Pereira non ebbe voglia di leggere l’articolo e posò il giornale su una sedia. Finì di mangiare la sua omelette e prese un’altra limonata senza zucchero. Poi pagò il conto, si alzò, indossò la giacca che si era tolta e si incamminò a piedi verso la redazione centrale del “Lisboa”. Quando vi arrivò erano le cinque meno un quarto. Pereira entrò in un caffè, sostiene, e ordinò un’acquavite. Era certo che gli avrebbe fatto male al cuore, ma pensò: pazienza. Poi salì le rampe di scale del vecchio palazzo in cui si trovava la redazione del “Lisboa” e salutò la signorina Filipa. Vado a annunciarla, disse la signorina Filipa. Non importa, rispose Pereira, mi annuncio da solo, sono le cinque in punto e il signor direttore mi ha dato un appuntamento per le cinque. Bussò alla porta e sentì la voce del direttore che diceva avanti. Pereira si abbottonò la giacca e entrò. Il direttore era abbronzato, molto abbronzato, evidentemente aveva preso il sole nel parco delle terme. Eccomi qua, signor direttore, disse Pereira, sono a sua disposizione, mi dica tutto. Tutto che è poco, Pereira, disse il direttore, è più di un mese che non ci vediamo. Ci siamo visti alle terme, disse Pereira, e lei mi sembrava soddisfatto. Le vacanze sono vacanze, tagliò corto il direttore, non parliamo delle vacanze. Pereira si accomodò sulla sedia davanti alla scrivania. Il direttore prese un lapis e cominciò a farlo girare sul piano del tavolo. Dottor Pereira, disse, mi piacerebbe darle del tu, se lei permette. A suo piacimento, rispose Pereira. Senti Pereira, disse il direttore, noi ci conosciamo da poco, da quando è stato fondato questo giornale, ma io so che sei un buon giornalista, hai lavorato per quasi trent’anni come cronista, la vita la conosci e sono certo che mi puoi capire. Farò il possibile, disse Pereira. Ebbene, disse il direttore, quest’ultima cosa non me l’aspettavo. Che cosa?, chiese Pereira. Il panegirico della Francia, disse il direttore, ha suscitato molti malumori negli ambienti che contano. Quale panegirico della Francia?, chiese Pereira con aria meravigliata. Pereira!, esclamò il direttore, tu hai pubblicato un racconto di Alphonse Daudet che parla della guerra con i tedeschi e che finisce con questa frase: viva la Francia. È un racconto dell’Ottocento, rispose Pereira. Un racconto dell’Ottocento sì, continuò il direttore, ma parla sempre di una guerra contro la Germania e tu non puoi non sapere, Pereira, che la Germania è nostra alleata. Il nostro governo non ha fatto alleanze, obiettò Pereira, almeno ufficialmente. Via Pereira, disse il direttore, cerca di ragionare, se non ci sono alleanze ci sono almeno simpatie, forti simpatie, noi la pensiamo come la Germania, in politica interna e in politica estera, e stiamo aiutando i nazionalisti spagnoli come sta facendo la Germania. Ma alla censura non hanno fatto obiezioni, si difese Pereira, hanno fatto passare il racconto tranquillamente. Alla censura sono dei cafoni, disse il direttore, degli analfabeti, il direttore della censura è un uomo intelligente, è mio amico, ma non può leggersi personalmente le bozze di tutti i giornali portoghesi, gli altri sono funzionari, poveri poliziotti pagati perché non passino le parole sovversive come socialismo e comunismo, non potevano capire un racconto di Daudet che finisce con viva la Francia, siamo noi che dobbiamo essere vigili, che dobbiamo essere cauti, siamo noi giornalisti che abbiamo esperienza storica e culturale, noi dobbiamo sorvegliare noi stessi. Sono io che sono sorvegliato, sostiene di aver detto Pereira, in realtà c’è qualcuno che mi sorveglia. Spiegati meglio, Pereira, disse il direttore, cosa vuoi dire con questo? Voglio dire che ho un centralino in redazione, disse Pereira, non ricevo più telefonate dirette, passano tutte attraverso Celeste, la portiera dello stabile. Si fa così in tutte le redazioni, replicò il direttore, se tu sei assente c’è qualcuno che riceve la telefonata e che risponde per te. Sì, disse Pereira, ma la portiera è un’informatrice della polizia, ne sono certo. Via Pereira, disse il direttore, la polizia ci protegge, vigila sui nostri sonni, dovresti esserle grato. Io non sono grato a nessuno, signor direttore, rispose Pereira, sono grato solo alla mia professionalità e al ricordo di mia moglie. Ai buoni ricordi bisogna sempre essere grati, accondiscese il direttore, ma tu, Pereira, quando pubblichi la pagina culturale me la devi far vedere prima, è questo che esigo. Ma io le avevo detto che si trattava di un racconto patriottico, insistette Pereira, e lei mi ha confortato assicurandomi che in questo momento c’è bisogno di patriottismo. Il direttore accese una sigaretta e si grattò la testa. Di patriottismo portoghese, disse, non so se mi segui, Pereira, di patriottismo portoghese, tu non fai altro che pubblicare racconti francesi, e i francesi non ci sono simpatici, non so se mi segui, comunque senti, i nostri lettori hanno bisogno di una buona pagina culturale portoghese, in Portogallo hai decine di scrittori da scegliere, anche dell’Ottocento, per la prossima volta scegli un racconto di Eça da Queiroz, che di Portogallo se ne intendeva, o di Camilo Castelo Branco, che ha cantato la passione e che ha avuto una bella vita movimentata fatta di amori e di prigione, il “Lisboa” non è un giornale esterofilo, e tu hai bisogno di ritrovare le tue radici, di ritornare alla tua terra, come direbbe il critico Borrapotas. Non so chi sia, rispose Pereira. È un critico nazionalista, spiegò il direttore, scrive su un giornale che ci fa concorrenza, sostiene che gli scrittori portoghesi devono ritornare alla loro terra. Io non ho mai abbandonato la mia terra, disse Pereira, sono piantato per terra come una zeppa. D’accordo, concesse il direttore, ma devi consultarmi ogni volta che prendi un’iniziativa, non so se hai capito. Ho capito perfettamente, disse Pereira e si sbottonò il primo bottone della giacca. Bene, concluse il direttore, credo che il nostro colloquio sia finito, mi piacerebbe che fra noi ci fosse un buon rapporto. Certo, disse Pereira, e prese congedo.
Quando uscì c’era un gran vento che piegava le cime degli alberi. Pereira si incamminò a piedi, poi si fermò per vedere se passava un taxi. Lì per lì pensò di andare a cena al Café Orquídea, poi cambiò opinione e giunse alla conclusione che era meglio andarsene a prendere un caffellatte a casa sua. Ma taxi non ne passavano, purtroppo, e dovette aspettare una buona mezz’ora, sostiene.